Nuvole in scatola
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I bambini sono tutti un po' animisti: giocando, sanno attribuire pensieri, azioni e personalità a tutti gli oggetti che gli capitano a tiro.
Ricordo che alle medie avevo fatto sposare, durante l'ora di letteratura italiana, il mio rotolo di scotch con quello della mia vicina di banco (ricordo un po' meno la lezione di letteratura, come potrete intuire).

Anche Oliver Jeffers e Drew Daywalt devono essere un po' animisti, e più probabilmente un po' bambini, perché i loro Pastelli ribelli (ed. Zoolibri) hanno tutti una personalità forte e ben definita.
Così definita, che un giorno si ribellano al loro padrone, Dante, e gli recapitano un bel pacco di lettere.

Su fogli di carta rimediati qua e là, ogni pastello esprime il suo disappunto, ogni volta per un motivo diverso.
C'è il grigio che si stanca a furia di colorare tutte quelle balene e gli elefanti, il rosso che è stufo di lavorare anche a Natale,

il beige che non accetta più di farsi chiamare "marroncino".

C'è perfino un colore a cui è stata strappata la bandella di carta (lo avete fatto anche voi da piccoli, vero?) e ora si sente nudo. Oppure quello a cui vanno bene le cose così come stanno, ma parla (anzi, scrive) a nome di altri due pastelli che hanno litigato tra loro.

Alle lettere, scritte tutte a mano dal pastello (lo si capisce dal colore), Oliver Jeffers affianca l'immagine, sempre molto espressiva, del pastello stesso e alcuni dei disegni fatti da Dante in quel colore, oppure, in alcuni casi, quelli che il pastello vorrebbe facesse.

Pastelli ribelli è insomma un "albo epistolare", la cui forza non si ferma all'originalità della trovata, ma si esprime perfettamente nella declinazione di tutte le lettere presentate.
Ogni pastello ha una personalità diversa, che si evince non solo dal contenuto, ma dallo stile stesso della scrittura. Leggendo, verrà naturale dare espressione a caratteri e sentimenti, usando un tono di volta in volta depresso, arrabbiato, imbarazzato, sfinito.
Gli accostamenti non sono affatto scontati: il rosso non è arrabbiato, il nero non è depresso, il verde non è speranzoso. Anche in questo si riconosce la qualità di una scrittura che sa superare la retorica.
Il tocco in più lo danno alcuni rimandi tra una lettera e l'altra, che lasciano intuire non solo la personalità dei singoli pastelli, ma anche le relazioni tra di loro.

La trama si perde forse un po' sul finale, in un certo senso scontato, per quanto sia la degna conclusione di tutta la vicenda, ma fino a quel momento offre uno spaccato divertente e coinvolgente sulla vita dei piccoli colori. La scrittura di Drew Daywalt e la matita (o il pastello?) di Oliver Jeffers riescono magistralmente a trasformare una scatola di pastelli in una commedia.

Nota curiosa: a quanto pare, alcuni dei disegni contenuti nel libro (non tutti: in alcuni riconosco senza dubbio lo stile di Jeffers) sono stati fatti da bambini, che vengono ringraziati nel colophon.

Pastelli ribelli insegna (ma forse i bambini lo sanno già) che ogni oggetto può diventare un personaggio, con tutta la ricchezza di tratti caratteriali che nulla ha da invidiare a un protagonista umano o animale.

Sembra un invito a fare altrettanto, a scovare oggetti in casa e dar loro voce, magari per fare una piccola sorpresa ai bambini.
Basta non cadere nella tentazione di essere "didattici" (no ai giocattoli che chiedono di essere messi a posto o ai vestiti che chiedono di non essere sporcati!) e provare a divertirsi un po', così l'idea può diventare lo spunto per trovare nuovi giochi e nuove attività da fare insieme.
Forse una macchinina è stanca di correre sempre sulla stessa pista e vuole provare ad essere lanciata dallo scivolo del parco, oppure lo xilofono vuole suonare una canzone rock.

E la colla, stufa di essere usata solo per le schede didattiche sul quaderno scolastico? Cosa può voler fare? Ma soprattutto, come potrà esprimersi?
Magari potrà scrivere un messaggio con l'aiuto dell'amica forbice.

L'impatto sembra un po' minatorio, ma l'invito è inequivocabilmente amichevole; che ne dite?


Questo post è un po' un ritorno alle origini, a quando il blog alternava recensioni di libri a pure idee di fai da te. Non c'è un motivo, se non la voglia di darvi una piccola e velocissima idea per rallegrare l'avvento dei vostri bimbi.
Perché si sa, più che la realizzazione del calendario, il vero dilemma è cosa metterci dentro.



Ecco allora cosa abbiamo fatto l'anno scorso.
Ho fatto stampare (da uno dei tanti servizi online) una bella foto di famiglia su un puzzle da 25 pezzi.



Ho preparato un pacchetto per ogni pezzo, scomponendo il puzzle a ritroso e facendo attenzione che ogni nuovo pezzo si attaccasse a uno di quelli che sarebbero già usciti nei pacchetti precedenti, ma senza procedere con un ordine lineare.
Nel primo pacchetto ho inserito due pezzi, in modo che già la prima sera di avvento ci fosse un minimo lavoro creativo.
Ho poi timbrato ogni pacchettino con un numero da 1 a 24.


Infine, ho appeso tutti i pacchetti sul nostro calendalbero dell'avvento, di cui vi avevo già parlato qui.
E così, ogni sera si apriva un pacchetto e ogni sera si componeva, un pezzo alla volta, il nostro puzzle di famiglia.
Vi piace l'idea? Siete ancora in tempo, probabilmente, per farvi stampare il vostro puzzle (e ritrovarvi, come mi succede ogni anno, a preparare i pacchetti nella notte del 30 novembre).

Alzi la mano chi non ha mai sognato di trovare una mappa dei pirati, scavare nel punto segnato da una X e trovare un fantastico tesoro.

Anche Sam e Dave hanno questo sogno, evidentemente, ed è per questo che Sam e Dave scavano una buca:
 "non ci fermeremo finché non avremo trovato
qualcosa di spettacolare", dice Dave.
Inizia così questo libro di Mac Barnett, con le illustrazioni di Jon Klassen, edito in Italia da Terre di mezzo editore. La storia è raccontata attraverso un uso sapiente dello spazio-pagina, che diventa uno spaccato del terreno scavato dai due ragazzini.

I ragazzi scavano, e mancano di poco un piccolo diamante.
Se solo avessero iniziato a scavare un po' più in là!, pensa il lettore.
Ma sotto di loro, ecco un altro diamante, ancora più grande. Peccato che, giunti a pochi centimetri da questo tesoro, i due decidano di cambiare direzione e di scavare di lato.

La storia procede così, con diamanti sempre più grossi persi a causa di deviazioni sempre più improbabili. I ragazzi sembrano sempre sul punto di farcela ma non ce la fanno, e il risultato è sempre più divertente.

Il meccanismo narrativo è quello del narratore onnisciente, che però anziché raccontare a parole ciò che succede, ce lo fa vedere. L'albo è infatti un equilibrio perfetto tra parole e immagini: il testo sembra quasi spiegare il punto di vista dei protagonisti, mentre le immagini svelano la realtà nascosta. Nessuno dei due "dice" nulla in più del necessario, ed entrambi, insieme, raccontano qualcosa che da soli non avrebbero potuto raccontare.
In Sam e Dave scavano una buca, il lettore sa più cose di quante ne sappiano i protagonisti e riesce ad anticipare quelle che sarebbero dovite essere le loro mosse. È il meccanismo hitchcockiano della suspense, solo che in questo caso, anziché creare tensione, ha un effetto irresistibilmente comico.


E poi c'è il cane.
Il cane sta a metà tra i personaggi e il narratore. Non dice nulla (è un cane!), ma il suo sguardo parla per lui. I suoi occhi guardano sempre in direzione dei tesori, come se sapesse qualcosa in più.
Sarà proprio il cane a risolvere la storia, scavando in cerca di un osso e facendo catapultare Sam e Dave in un posto che sembra proprio casa loro (ma lo è davvero?), con una caduta che sfida ogni legge della fisica ma sfrutta ancora lo spazio-pagina per far percepire a chi guarda un senso di vuoto sotto i piedi.


Di Klassen adoro l'espressività ricca di sottintesi dei suoi personaggi, gli sguardi tra l'ingenuo e l'ambiguo che già mi avevano divertito in Voglio il mio cappello! e che anche in questo caso riescono a rendere perfettamente tutte le sfumature della narrazione.

Sam e Dave scavano una buca ci ha fatto ridere, tantissimo.
E anche per questo ho voluto che restasse con noi anche dopo la lettura, inventando

il gioco di scava scava.

PREPARAZIONE.
Per realizzarlo anche voi, incollate bene tra loro due fogli, uno bianco e uno marrone.
Poi ricavate 100 quadratini, tutti uguali.
Disegnate su uno dei quadrati (dal lato bianco) un osso, e su dieci quadrati un diamante.
Create due segnalini con una freccia.
Ora costruite il vostro "dado" con un disco di carta (potete usare del cartoncino o attaccare la carta a un vecchio cd) diviso in sei settori e una freccia di cartoncino, da fissare al centro con un fermacampioni.
In alternativa, usate un dado normale dando un valore diverso a ogni punto:
1 - vai avanti di una casella nella stessa direzione in cui ti stavi muovendo.
2 - vai avanti di due caselle nella stessa direzione in cui ti stavi muovendo.
3 - vai avanti di una casella cambiando direzione.
4 - vai avanti di due caselle cambiando direzione. 
5 - vai avanti di tre caselle nella direzione che desideri.
6 - salta il turno.

Per tutte queste cose, potete anche scaricare il mio pdf stampabile.


REGOLE.
Il gioco è per due giocatori.
Disponete tutte le tessere in un quadrato 10x10, tenendole con il lato marrone verso l'alto.
Posizionatevi a due lati opposti del quadrato, piazzando i segnalini dove volete.
A turno, girate la freccia (o lanciate il dado) e muovetevi secondo le indicazioni: nella stessa direzione in cui vi trovavate (fa fede la direzione delle freccia disegnata sul segnalino) oppure in direzioni diverse, di un numero di caselle corrispondente a quello indicato.



Passando sopra un quadrato, "scavate", ovvero giratelo dal lato bianco, se è marrone.
Se la tessera è già "scavata" (ovvero girata dal lato bianco), passateci sopra senza fare nulla.
Se non potete muovervi secondo le indicazioni (ad esempio, se vi trovate al bordo del quadrato, con la freccia verso l'esterno e le indicazioni prevedono di continuare dritti), passate il turno o effettuate la mossa solo parzialmente (ad es. solo di una casella anziché due), finché potete.

Se trovate un diamante, raccoglietelo.
Se trovate l'osso, il gioco finisce.
Scopo del gioco è accaparrarsi il maggior numero di diamanti prima di trovare l’osso che ferma il gioco. Naturalmente la partita si chiude anche se non è ancora uscito l'osso ma avete trovato tutti e 10 i diamanti.



Ci ha divertito molto, questo gioco, quasi quanto il libro.
Dovrò mettere mano alla plastificatrice per fare in modo che le pedine durino un po' di più.

(Mi piace testare i giochi con il Piccolo T: è curioso e molto paziente anche quando mi rendo conto che qualcosa non funziona e cambio le regole durante la partita. Ed è stato un bravo "disegnatore di segnalini" quando mi sono resa conto che senza una freccia per ricordare la direzione sarebbe stato impossibile giocare.)



Sam e Dave scavano una buca
Autore: Marc Barnett
Illustratore: Jon Klassen
40 pagg
Prima pubblicazione: 2015 

Ci avete mai fatto caso? Le persone più affascinate dai lavori in corso sono i bambini e gli anziani, forse perché i primi non lavorano ancora e i secondi non lavorano più.
Ma si sa: giocare fa rendere belli anche le mansioni più faticose, oltre ad essere un meraviglioso modo di imparare, il più efficace di tutti.

Il cantiere di Editoriale Scienza è un libro-gioco perfetto per unire il divertimento, la passione per i lavori in corso e quella per i cantieri, appunto.
Si presenta come un bauletto cartonato.


Al suo interno, si trovano un libro e tutto l'occorrente per costruire il proprio cantiere-gioco.


Libro e gioco insieme raccontano e spiegano come funziona un cantiere, seguendo passo passo la costruzione di una scuola.
Nel libro, ogni doppia pagina racconta una fase o un aspetto del lavoro di cantiere: i ruoli di chi ci lavora, la fasi di costruzione, e naturalmente anche loro, le più amate: le macchine da lavoro.

La confezione, invece, si trasforma nella scuola in costruzione. Le alette laterali  diventano una strada che viene terminata con altri cartoncini contenuti all'interno, che si montano come puzzle, mentre da altri cartoncini pretagliati si possono staccare i pezzi che comporranno i lavoratori e soprattutto le macchine da cantiere: un bulldozer, un escavatore e un autocarro ribaltabile.

Nonostante siano fatti di semplice cartoncino, seppur resistente, i modellini e gli incastri tra i pezzi sono studiati così bene che, anche dopo l'esercizio di costruzione, giocarci resta divertente, perché il braccio dell'escavatore è snodabile e il cassone dell'autocarro si ribalta davvero, rendendo le macchine pronte a simulare egregiamente il loro lavoro.

Insomma: dalle spiegazioni ai singoli elementi, qui dentro trovate tutto quello che serve per far "funzionare" un cantiere-giocattolo.
Be', tutto tranne la gru, a onor del vero, da sempre la preferita del Piccolo T. Quella allora l'abbiamo fatta noi, partendo da alcuni pezzi di cartone non troppo spesso.

Da tre rettangoli ho ricavato tre tubi a sezione triangolare, due larghi più o meno allo stesso modo, il terzo che entrasse dentro uno dei primi due.

Sul pezzo più lungo, dopo averlo decorato, va praticato un foro per far passare da parte a parte una cannuccia pieghevole. Prima di infilare la cannuccia, fate passare dall'interno del tubo dello spago, che dovrà uscire dal foro. L'estremità del filo andrà incollata alla cannuccia (che sarà poi tagliata in modo che sporga di poco): sarà il meccanismo che solleva il filo.

Con uno stuzzicadenti, forate l'altro tubo grosso, mentre quello piccolo è al suo interno, in modo da bucare anche quello.
Quindi allungate orizzontalmente  il foro del tubo grande, in modo che lo stuzzicadenti riesca a scorrere.

Lo stuzzicadenti dovrà restare infilato (tagliando gli eccessi) e far scorrere il tubicino interno: sarà il meccanismo che allunga il braccio della gru.

Ora, si assemblino i pezzi (perdonate i colori delle foto, scattate in una giornata di pioggia e di lampadine fulminate). Alle estremità dei tubi di cartone ho aggiunto del nastro da pacchi, per aumentare la resistenza e perché mi piaceva l'effetto.
Il filo che esce dal tubo base andrà fatto passare attraverso il tubo superiore, debitamente forato, e il suo tubicino interno, per poi legare un gancio alla sua estremità. Quindi, sarà il momento di incollare i pezzi.

La gru stessa può essere resa girevole se anziché incollarla alla scatolina che userete come base la infilerete in un foro circolare, largo quanto il tubo principale, fissandola poi con un altro stuzzicadenti, che permetterà la rotazione senza pericolo di far rovesciare la gru.

Ed eccola pronta, con la sua base girevole, il braccio allungabile e il gancio retraibile.

Cosa sarà in grado di sollevare? Forse solo il morale. Ma in una grigia giornata di pioggia, anche quello può essere un carico importante.

Italiano e friulano: madrelingua. Inglese: discreto. Spagnolo: sufficiente.
Piripù: eccellente.
No, probabilmente non aggiungerò il Piripù tra le competenze linguistiche del mio curriculum, ma a leggere bei libri per l'infanzia succede anche questo: di imparare una lingua nuova. Una lingua inedita, fatta per bambini.

È questo che rende unico Tararì tararera, capolavoro di Emanuela Bussolati per Carthusia Edizioni. Un libro che spesso lascia perplessi e disorientati i genitori che lo devono leggere, perché, per l'appunto, scritto in una lingua che non esiste.
Il fatto è che Tararì tararera (che non a caso ha come sottotitolo "Storia in lingua Piripù per il puro piacere di raccontare storie ai Piripù Bibi") non è un libro da leggere, ma è un libro da recitare, da vivere. Andrebbe scoperto non solo sfogliandolo ma ascoltandolo, magari durante una lettura in biblioteca (in mancanza di meglio, si trovano delle belle letture su YouTube).
È un libro che per esprimersi ha bisogno di essere condiviso.

Ma una volta capito il meccanismo, una volta colto il legame tra quei suoni e la storia, allora diventa irresistibile, e chiarissimo.
Seguiremo la famiglia Piripù come fosse la nostra, divertendoci ed emozionandoci con Piripù Bibi (il più piccolo della famiglia), che si annoia e decide di avventurarsi nel bosco. Ci riconosceremo in Piripù Ma, che ritrovandolo lo abbraccia sollevata ma anche lo sgrida per essere scappato.


E impareremo con naturalezza cos'è un Gonende, o uno Zivisi, e soprattutto cosa significa Rulba, rulba!
La lingua Piripù della Bussolati ha radici onomatopeiche, che insieme alle immagini e agli accorgimenti tipografici, aiutano a trovare il tono giusto, e quindi il significato di ciò che si sta leggendo.
Basta lasciarsi andare ai suoni, al salire e allo scendere e all'ondeggiare delle parole che si muovono sulla pagina e interagiscono con le illustrazioni, per imparare a leggere (o ad ascoltare) Tararì tararera. Bisogna, insomma, lasciar cadere qualche barriera, mettersi in gioco, saltare e cadere e inciamparsi con la voce, e sarà proprio questo a mettere in comunicazione i grandi con i piccoli.

È questa la chiave che rende speciale questo libro: è capace di annullare le distanze tra adulti e bambini. Non c'è più un genitore o un maestro che padroneggia la lingua e la sa leggere di fronte a un bambino che la sta imparando, ma due persone che scoprono insieme un modo di esprimersi, che probabilmente è più vicino al bambino che all'adulto.


L'adulto che legge deve necessariamente spogliarsi di strutture e soprattutto di imbarazzo, interpretare rumori, pianti, suoni, e il bambino ne resterà conquistato.
Tararì tararera (Premio Andersen 2010 nella sezione 0/6 anni) è la dimostrazione che leggere a un bambino è più una questione di relazione e di espressione che di storia.
Non è solo un libro simpatico, con una storia ricca di azione e coinvolgente: è un invito a scoprire le gioie della lettura ad alta voce.

In lingua Piripù, Emanuela Bussolati ha scritto anche Rulba rulba! e Bada... búm.


Tararì tararera

Autore e illustratore: Emanuela Bussolati
ed. Carthusia
36 pagg 
Prima pubblicazione: 2009
 


   
Una delle cose che ho aspettato più a lungo, da piccola, è stato l'arrivo di Posi e Nega, che mi donassero una meravigliosa capigliatura viola e una splendida voce intonata.
Il fatto che certi sogni, oggi, siano stati stati rapiti e banalizzati dai talent show televisivi non deve rendere meno bello o dignitoso sognare: qualunque bambino deve avere il diritto di immaginarsi su un palco con un microfono in mano, o all'inaugurazione della propria mostra personale.


Voglio fare l'artista è la proposta di Editoriale Scienza per giocare con questi sogni in modo creativo e divertente, accompagnando il bambino nei suoi primi passi nel mondo della musica, dell'arte, della recitazione.


È un libro che è anche un invito a mettersi alla prova.
Alle descrizioni, semplici ma accurate, di ciò che ruota attorno a una professione artistica, si accompagnano infatti materiali da staccare, sfilare, compilare e utilizzare subito.

Con soluzoni cartotecniche che caratterizzano molti libri di questa casa editrice, il bambino è invitato ad andare a caccia di informazioni: in un "libro nel libro" scoprirà i diversi generi musicali e i diversi tipi di strumenti, oppure i generi teatrali o qualche nozione di storia dell'arte.
I vari box colorati nella pagina parlano invece in modo leggero e a volte scherzoso dei trucchi per coltivare il proprio talento o di piccole nozioni pratiche su come organizzare un concerto, una mostra, uno spettacolo, oppure riunire una band o scrivere una sceneggiatura teatrale.
Non c'è spazio solo per la "star principale", ma si coinvolgono le diverse professionalità, raccontando un mondo che non è fatto solo di cantanti, attori e pittori, ma anche di autori, costumisti, custodi delle mostre.


E poi, c'è spazio per il gioco e la sperimentazione.
Tra le mille tasche incluse nelle pagine si trovano maschere, premi Oscar da costruire, stilosissimi occhiali da rock star.


E ancora, inviti a sviluppare la propria creatività, come testi di canzoni e copioni da completare, programmi da scrivere, perfino cartoline da riempire e autografare.


Voglio fare l'artista, insomma, è una "spintarella". Non nel senso di raccomandazione, beninteso, ma nel senso di piccolo sprone a scatenare la fantasia e la creatività e a costruire da soli i propri sogni di gloria, senza turbarli con l'ambizione, ma solo giocandoci un po', come è sano che sia.

E voi, l'avete mai composta una canzone?
Noi, in casa – sarà per il passato da punk rocker del papà – ci divertiamo spesso a farlo. La cosa più semplice è creare delle "cover" partendo dalle note di una canzone che conoscete, così dovrete inventare solo il testo. Già, ma il testo?

Liberissimamente tratti da Grammatica della fantasia. Introduzione all'arte di inventare storie di Gianni Rodari, nonché dalla quinquennale esperienza del premiato duo mamma-Piccolo T, ecco a voi:

Cinque modi per inventare una canzone.


1. Il protagonista sei tu 
Facile facile: basta sostituire il nome di un componente della famiglia a quello del protagonista della canzone. Il resto verrà da sé.

Sulle note della canzone delle dita:
Dov'è la mamma, dov'è la mamma?
Sono qua. Sono qua.
Come stai quest'oggi? Molto bene grazie.
È ancora più divertente se oltre ai nomi si cambia qualche altra caratteristica (vi ho mai detto che ho un figlio lievemente logorroico?):
Trema, il regno del silenzio e della pace
dalla sua cameretta adesso arriva
coi suoi discorsi atomici Tommaso.

2. Canzoni a rovescio
E se ribaltassimo la prospettiva e cantassimo il contrario di tutto quello che sappiamo sul protagonista di una canzone?

È l'uomo Tigre
che lotta contro il bene
combatte solo contro la bontà
È un gran fifone, scappa con terrore
nessun incontro vincere lui sa.

3. "A sbagliare le canzoni"
Che succede se proviamo a sbagliare apposta qualche parola di una canzone? Magari ne esce una storia del tutto nuova.
Un elefante si dondolava
sopra il filo della biancheria
e trovando un bel paio di mutande
andò a chiamare un altro elefante.

4. La canzone mentre fai qualcosa
Qui ci distacchiamo completamente dal testo originale (mantenendo per praticità giusto qualche rima o assonanza): prendiamo la musica di una canzone e ci cantiamo sopra tutto quello che stiamo facendo o che vogliamo dire.
Questa, ad esempio, immaginatela sulle note di Hanno ucciso l'uomo ragno:
Dai, Tommaso vieni a cena,
te lo dice anche il papà,
forza lavati le mani,
il tuo piatto aspetta qua.

5. Insalata di canzoni
Questo è il mio metodo preferito: basta mettere le parole di una canzone (adattando un po' la metrica) sulla musica di un'altra.

Sulle note di Lady Oscar:
O  Whisky, Whisky il ragnetto,
sali la montagna
e poi ti bagni un po'.
O  Whisky, Whisky il ragnetto,
la pioggia sai ti bagna,
e tu cadi giù.
O perché non sostituire Ransie con una strega più "letteraria"?
Rossella è una strega molto bella e deliziosa, sai
"sulla mia scopa", dice "sali, dai!".
Se vi sembra difficile, provate: basta dare il "la" e i bambini vi seguiranno, a modo loro, inventando regole nuove e ancora più fantasiose.
Poi però non vi lamentate se al posto di Ransie la strega ci finite voi, eh?


 
Se leggendo il titolo di questo post avete pensato a un libro di educazione sessuale, siete molto molto lontani dalla verità. Qui, infatti, i bambini non li portano le cicogne, ma le cornacchie. Una cornacchia, in particolare, dal nome altisonante di Pompeo Tiburzio.


Voglio anch'io è la sua storia, nata dall'estro di Gek Tessaro e edita da Terre di mezzo editore.
Pompeo Tiburzio, fiero come il nome che porta, non si accontenta di essere una cornacchia e vuole fare la cicogna. Riesce ad ottenere il suo incarico, verso una meta apparentemente vicina, e parte con il suo fagotto.

In realtà sbaglia indirizzo, e anziché a Venezia in via Perugia, porta il suo carico a Perugia in via Venezia. Sconsolato, visto che è solo una piccola cornacchia e non riesce a fare molta strada, sta per arrendersi, ma incontra il Capitano di Ventura Sigismondo Bernardino della Cialda.

Insieme a lui e con il suo aiuto, affronterà mille avventure per portare a termine il proprio compito, incontrando draghi, principesse, animali fuggiti dallo zoo, fenicotteri e pirati, e salendo su un treno molto rodariano, che collega due stazioni pur stando fermo, perché è lungo esattamente dall'una all'altra.

Con Voglio anch'io, l'estro e l'umorismo di Gek Tessaro trovano uno spazio multiforme in cui esprimersi: dalle illustrazioni dei protagonisti, tutti con una certa dose di goffaggine, agli intrecci improbabili tra i quali si dipana la trama.
Alla nobiltà del Cavaliere e all'altisonanza del nome di Pompeo si accompagna un lessico particolarmente caratterizzato, ricco di termini ricercati e un po' arcaici, tipici di un racconto cavalleresco d'altri tempi: viene quasi spontaneo leggerlo con voce impostata, questo libro.
E tutto questo crea un contrasto delizioso e irrimediabilmente comico con gli errori grossolani di Pompeo e dei suoi compagni di avventura, con i loro contrattempi schiocchi da sketch comico.

Voglio anch'io è un breve romanzo a capitoli, perfetto da leggere un po' alla volta, la sera, preparandosi a mille "Cosa vuol dire?" di fronte ai termini usati dall'autore.
È una storia senza tempo e senza regole, che fa incontrare cavalieri medievali, treni, animali parlanti disegnando un microcosmo di sensato nonsense.
Il neonato nel fagotto non lo vedremo mai: è solo un espediente (un "MacGuffin", direbbe Hitchcock) attorno al quale sviluppare la storia, il simbolo di una missione che il piccolo Pompeo affronta con tutta la tenacia di cui una cornacchietta può disporre.

Di tutto il libro, a me e al Piccolo T ha fatto ridere più di ogni altra cosa l'idea di questo treno, immobile sui binari, che collega due stazioni. È da qui che mi è venuta l'idea di questo gioco dell'oca ispirato alla storia di Pompeo:

 

missione venezia.


Anche questa volta, potrete trovare plancia di gioco e carte nel mio pdf stampabile.
Per preparare il gioco, ritagliate (e plastificate, se possibile) le carte e procuratevi un dado e una pedina.
Scopo del gioco è aiutare Pompeo a portare il suo fagotto a Venezia.



Per giocare, si parte dalla casella-fagotto.
Ogni giocatore, a turno, tira il dado e va avanti di tante caselle quante ne indica il dado. Se finisce esattamente su una stazione (casella rossa) può prendere il treno, ovvero prendere, al turno successivo, la scorciatoia passando dal treno per arrivare alla stazione successiva (il treno, essendo fermo, conta come una casella).


Se finisce su una casella verde (con il simbolo delle carte) deve pescare una carta:
  • Carta cicogna: porta la pedina fino alla stazione successiva.
  • Carta drago: salti un turno per combattere contro il drago.
  • Carta pirati: porta la tua pedina fino alla successiva casella con i pirati.
Vince chi arriva per primo a Venezia.
Buon divertimento (con il libro, prima di tutto)!


Voglio anch'io
Gek Tessaro
Copertina rigida, 56 pagg
Prima edizione: 2017

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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