Nuvole in scatola
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Non so se sia giusto o meno, ma cerco sempre di non proteggere mio figlio dalle cattive notizie. Preferisco che conosca il mondo, e cerco di fare il possibile per stare accanto a lui a spiegarglielo.
Per questo capita spesso che guardiamo il telegiornale tutti insieme, e si finisca a parlare di alluvioni, terremoti, incendi.
Sono naturalmente argomenti di forte impatto, che coinvolgono e appassionano, e conta molto, per me, rassicurarlo e dargli una visione di speranza, fare in modo che sappia che da ogni brutta situazione c'è una via d'uscita.
E poi il lavoro di chi si occupa di soccorso e salvataggio ha sempre un fascino enorme per i bambini, vero? Immaginate allora il fascino del tema "soccorso" unito a quello di un libro pop up di grande formato (30,5x32,5cm), tutto da scoprire.



E infatti, sarà per il tema, per le dimensioni del libro o per i meccanismi di pop up, S.O.S. Missione salvataggio! di Editoriale Scienza è entrato immediatamente nel cuore del Piccolo T, che sta ormai diventando un esperto di salvataggi.
Ogni doppia pagina racconta una diversa situazione di emergenza (l'incendio, l'alluvione, il salvataggio in montagna ecc) e descrive chi interviene e come lo fa.
Aprendo finestre e spostando linguette, si esplora l'attività di vigili del fuoco, soccorso alpino, protezione civile e altri professionisti e volontari del soccorso.



Se leggendo "pop up" avete immaginato solo finestrelle che si aprono, siete sulla cattiva strada. S.O.S. Missione salvataggio! ha scale che si allungano per raggiungere le finestre dei piani più alti, montagne che si innalzano aprendo le pagine, persino barriere che si gonfiano per arginare l'acqua, oltre ad alcuni semplici giochini finali per rendere protagonista il piccolo lettore.


Nel libro "non muore nessuno". Le situazioni di pericolo si risolvono sempre grazie all'intervento dei protagonisti, così il messaggio generale è di speranza e di fiducia, che è esattamente quello che mi preme trasmettere.

E mentre il Piccolo T, con le sue dita, spostava pompieri e arginava le perdite di una petroliera, ho voluto renderlo ancora più partecipe e protagonista costruendogli

una casa da salvare.


Volete provarci? Basta il mio ingrediente preferito: una scatola.
Sceglietene una piatta, che abbia un lato ampio ma poca profondità. Se, come nel mio caso, si tratta di una scatola colorata, smontatela e rimontatela al contrario, poi ritagliate tutto un lato (potete lasciarne un po' in fondo per dare maggiore stabilità).

Ritagliate porta e finestre (una sopra l'altra o due per piano, secondo la forma e le dimensioni della scatola) e modellate il tetto, se vi va, oppure lasciatelo piatto, come fosse un grattacielo. Potrete dipingere e decorare la casa con tempere e washi tape.



Nell'aprire le finestre, non tagliate il lato inferiore, ma piegatelo in modo da creare una sorta di "davanzale" interno.
Qui attaccherete con un po' di nastro adesivo posto sul lato inferiore delle fiamme di cartoncino rigido.

 

Disegnatele e ritagliatele in modo che la base sia leggermente più ampia dell'apertura della finestra e posizionatele un paio di centimetri in dentro rispetto alla facciata della caca, in modo che stiano in piedi appoggiandosi ai bordi della finestra quando la casa è in piedi.
Bene. La casa in fiamme ce l'abbiamo.
Cosa manca? L'acqua per spegnere l'incendio.
Basta prendere dei pezzetti di carta azzurra e appallottolarli. Scopo del gioco è naturalmente spegnere l'incendio, ovvero abbattere le fiamme lanciando le palline di "acqua".
Quindi: posizionate la casa incendiata contro un muro, sollevate le fiamme, mirate e... fuoco! Ah, no: acqua!



Signor vigile del fuoco, corra, presto! C'è una mamma che ha bisogno di un bacino!


"Mamma, se piantiamo questo cosa nasce?"
Il Piccolo T me lo chiede di ogni seme che trova: da quelli delle piante ai bordi della strada a quelli della frutta che mangiamo. Soprattutto quelli della frutta. Ogni sera, a ogni cena.
Così, ho sfidato il mio pollice nero, e anziché ravanelli di feltro o cactus di sasso ho voluto tentare con delle piante vere.



Ma come si pianteranno le mele? Basterà mettere sotto terra i semi, pensavo. Nel dubbio, ho fatto un giro su qualche sito di giardinaggio e ho scoperto che non è proprio così semplice.
Ma se ce l'abbiamo fatta io e il Piccolo T, ce la farete anche voi.

Prima cosa: mangiare le mele.
Il che sembra ovvio, e lo è, ma l'ho scritto per sottolineare che "facciamo crescere una piantina di melo" può diventare un ottimo metodo per convincere vostro figlio a mangiare più frutta. Il Piccolo T, per tutto il tempo della raccolta dei semi, si è trasformato in un grande divoratore di mele.

Seconda cosa: conservare e asciugare i semi. Da quello che ho letto, ne germogliano circa il 30% (noi siamo stati più fortunati), e di questi ne resistono ancora meno una volta piantati, quindi mettetene da parte un bel po'.
I semi vanno appoggiati su carta assorbente e fatti seccare.


Terzo step: simulare l'inverno. Ohibò, questa non me la sarei proprio aspettata: per far germogliare i semi bisogna metterli in frigorifero!
Per fare questo, ho avvolto i semi in un foglio di carta assorbente bagnato e strizzato e li ho chiusi in un contenitore per alimenti. Di tanto in tanto, aggiungevo qualche goccia d'acqua perché non si asciugassero.
Dovranno restare in frigo qualche settimana (almeno tre, in genere), poi li vedrete germogliare.


Quarto step: nel vaso!
Quando i germogli saranno lunghi almeno un paio di centimetri, potrete piantarli.
Preparate un vaso mettendo sul fondo dei sassi per drenare l'acqua.



Aggiungete la terra e piantate i semi, coprendoli.
Pensando di aiutarli, avevo lasciato che alcuni germogli sporgessero dalla terra: errore. In realtà da quei germogli si svilupperanno le radici, quindi meglio lasciarli sottoterra. Quelli che avevo lasciato all'esterno si sono seccati e non sono cresciuti.


Tenete la terra umida e aspettate con pazienza: presto vedrete crescere i vostri piccoli meli.


"Quando faranno le mele, mamma?"
Ecco, forse per quelle è meglio confidare negli alberi del nonno, però.


PS: Una lettura a tema? C'è Ravanello cosa fai? di Emanuela Bussolati.
Un libro per imparare a coltivare i semi e ad avere pazienza. Ve lo ricordate? Ne avevo parlato qui.

 
La strana metamorfosi che investe chi diventa mamma di uno o più maschi comprende anche l'incredibile fenomeno della simpatia per i ragni. Ok, magari non quelli che si autoinvitano negli angoli di casa tua, ma quelli dolci come Amico Ragnolo, o curiosi e divertenti come quello di Chi ha il coraggio?, ecco: quelli sì.
E poi c'è lui, il ragno più amato da tutte le mamme.
 

Whisky il ragnetto mi ha salvata in molti momenti di nervosismo e di noia del Piccolo D: mi basta intonare la canzoncina, magari mimando le gesta di Whisky, e lui subito mi guarda attento e sorridente, smettendo di piangere.
A volte mi piazzo davanti a lui e scalo con le mani montagne invisibili, a volte sono le dita a trasformarsi nelle zampette di Whisky e il suo pancino è la montagna da scalare facendogli il solletico.

Il fatto è che la filastrocca non me la ricordavo mai bene, per questo nella mia ultima incursione in biblioteca mi sono presa il libro con l'idea di studiarmi bene il testo e usare il cd solo per imparare bene la melodia.

Whisky il ragnetto fa parte di una collana di Gallucci editore di libri con cd audio, che illustra (e canta) le più famose filastrocche musicali per la prima infanzia (c'è n'è anche un'altra tra le nostre preferite: La canzone della felicità). Si tratta di libretti con simpatiche illustrazioni che descrivono semplicemente il testo della canzone in poche pagine cartonate e resistenti, perfette per essere maneggiati anche dai più piccoli.

 
È un modo carino e semplice per introdurre ai libri anche i bambini che proprio non ne vogliono sapere di stare fermi: la canzoncina, specialmente cantata dalla mamma, è sempre un'attività attraente per tutti, e vederla materializzata in una serie di disegni sarà una scoperta bellissima.
In fondo, se i bimbi apprezzano i libri in rima, o quelli con le onomatopee, per la musicalità della voce, un libro cantato svolge questa funzione ancora meglio, no?

Questi libri sono anche una "salva-mamme" quando il bimbo (un po' più grande, stavolta) torna dall'asilo canticchiando una canzone sconosciuta imparata dalla maestra e magari chiede "La cantiamo?" (e noi via a googolare alla disperata ricerca del testo e della melodia!).

E così, tra una sfogliata di libro e una canzoncina, ho pensato di far diventare la ragnatela un gioco. E siccome negli ultimi tempi il Piccolo T soffre un po' per le attenzioni dedicate al fratellino, ho cercato un gioco due in uno, che andasse bene per il minore ma anche per il maggiore.

Per prima cosa, ho preso un rotolo di spago e una bacinella da bucato, di quelle forate ai lati (la mia era forata solo nei lati lunghi, ma se i fori sono su tutti e quattro i lati tanto meglio).


Passando il filo tra i fori, ho creato una ragnatela disordinata che coprisse più o meno tutta la superficie della bacinella.

Versione 1: per il piccolo di casa.

Si prende la bacinella con la ragnatela e si infilano sul fondo alcuni giocattoli o altro materiale.



Ve lo ricordate il cestino dei tesori? Ecco: questo è un cestino "evoluto", che affianca alla scoperta degli oggetti e dei materiali la sfida di toglierli e metterli attraverso questa rete.
Un gioco che "sviluppa le capacità di problem solving", direbbero gli esperti.
Un gioco che lo diverte, dico io, ora che il semplice cestino dei tesori lo stava annoiando un po', da quando gatton gattoni ha deciso che poteva esplorare non solo un cestino ma tutti gli scaffali di casa.

Ed ora, la

Versione 2: per bimbi "grandi" e temerari.

Chi è rimasto catturato nella ragnatela di Whisky? Ma certo: sono dei viscidi e orrendi insetti!
Per l'esattezza, degli insetti di gomma che ho infilato sul fondo della bacinella, per poi munire il Piccolo T di una molletta da bucato, con lo scopo di acchiapparli e liberarli dalla ragnatela senza toccare i fili.

 
In entrambe le versioni di gioco, si possono aggiungere dei fili quando vedete che la sfida è diventata troppo facile.

In questa versione, la "ragnatela" è utilissima per sviluppare la motricità fine e l'attenzione. E anche per assicurargli che "Sì, ma certo: il gioco l'ho preparato per te!".





   
Chissà come mai la paura è spesso associata al divertimento.
Le montagne russe, i film horror: sono tutte cose che cerchiamo per provare un brivido piacevole, forse per esorcizzare qualcosa che temiamo davvero. È un meccanismo che funziona fin da piccoli: lo sa bene chiunque veda le risate di un bambino per un "buh!" fatto a sorpresa.
E anche la festa di Halloween, non è nata proprio per questo? Un po' come questo libro di Minibombo, così pauroso che fa sbellicare dalle risate.



Chi ha il coraggio? è una rassegna di bestie viscide, molli, sporche e spaventose, e naturalmente buffissime.



Disegnati a colori vivaci e con tratti giocosi su pagine tutte nere (una scelta decisamente originale, ma perfetta per il tema), i protagonisti del libro sono anticipati ogni volta da un piccolo dettaglio del loro corpo e da un indovinello in rima.
Così, come accade sempre con i libri di questa caasa editrice, la lettura è anche un gioco, che sfida il bambino ad anticipare cosa succederà nella pagina successiva.

È un libro da leggere come si vede fare nei pigiama party dei film americani: al buio, sotto una coperta, con una torcia che illumina le pagine scure e la voce un po' spettrale.



Si legge l'indovinello, si lascia un po' di suspense prima di girare pagina, poi si avvicina di colpo il libro al viso del bambino, come se la bestia svelata gli dovesse finire addosso.
Il Piccolo T si è divertito tantissimo: giocava a indovinare l'animale, aiutato dalla rima, e rideva come un pazzo facendo "bleah" al momento dello svelamento.

Certo, con delle bestie di carta è facile averlo, il coraggio.
E con dei vermi gommosi? Ecco: il perfetto coronamento di un libro del genere (soprattutto durante una festa di Halloween) è proprio questo. Un bel piatto di:

vermiverdi


Tranquilli: è tutto perfettamente commestibile. Soprattutto perché non ho inventato la ricetta io, ma ho usato quella delle caramelle Gelèe della mia amica Letizia, sostituendo il succo d'arancia con quello di mela e aggiungendo del colorante verde.

Usate quindi questi ingredienti:

  • 200g di zucchero semolato
  • 100g di succo di frutta a scelta
  • 20g di succo di limone
  • 12g di gelatina
  • un po' di colorante alimentare (io uso quelli in gel della Wilton)
e andate sul blog di Letizia per seguire il procedimento, fermandovi prima di mettere il composto negli stampini, perché qui dobbiamo fare dei vermi, mica delle caramelle.

Dimenticate gli stampini a forma di cuoricino, allora, e procuratevi delle cannucce "con la piega" (la parte zigrinata servirà a creare le pieghette al corpo del verme). Raddrizzatele ed estendetele, legatele strette strette con un elastico e infilatele in un contenitore stretto e alto (io ho usato dei vasetti di spezie), riempiendolo il più possibile.



Versate il composto nel contenitore (non serve "mirare" per versarlo nelle cannucce: per il principio dei vasi comunicanti il liquido entrerà comunque da sotto) e dimenticatelo in frigo fino al giorno dopo.
A questo punto, togliete le cannucce dal contenitore (per separarle e pulirle esternamente potete aiutarvi con un po' d'acqua, ma non troppo calda, altrimenti i "vermi" si scioglieranno). Poi, su un piatto, estraete i vermi tenendo ben premuta la cannuccia dal lato vuoto e spingendo le dita in avanti.
Questa è l'operazione più difficile, ma dopo un paio di tentativi troverete la giusta dose di forza e velocità (con un movimento deciso il risultato è migliore).


Ed eccoli qui, pronti da servire, possibilmente subito dopo aver letto il libro e accompagnandoli da un piccolo indovinello in rima:

Non si cuocion sui fornelli,
non son gnocchi, né tortelli.
Chi ha il coraggio di mangiare
questi orrendi vermicelli?



Potete anche cuocere dei muffin al cioccolato, che simulino la terra, e farli fuoriuscire dalla calotta superiore. Oppure, potete usare la frutta:
La sua buccia profumata
già qualcuno l'ha provata.
Chi ha il coraggio di mangiare
questa mela assai bacata?





 
Più del primo passo, più della prima parola, forse anche più del primo sorriso, una delle cose che, da mamma, mi emoziona di più, è il primo segnale che il bambino capisca le nostre parole, anche se ancora non le sa usare.
Per il Piccolo D, questa emozione è passata attraverso uno dei nostri libri preferiti.



È stato durante un cambio, sul fasciatoio, quando ho detto al Piccolo D: "Mi dai una manina, così la assaggio?". Non mi aspettavo reazioni da parte sua se non un sorriso in risposta al mio, ma lui, per la prima volta, me l'ha allungata, e sapevo che il merito era di Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini.

Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini è ormai un classico per la prima infanzia, ed è forse, tra quelli che conosco, il primo "vero libro" adatto fin dai primi mesi, nei quali di solito ci si limita ai
cosiddetti libri-dizionario (quelli che accostano in ogni pagina una singola immagine a una singola parola).



Il libro è una grande filastrocca, ritmata e con una struttura ripetitiva, che presenta tanti bimbi che vengono da ogni parte del mondo. Sono tutti diversi tra loro per molte caratteristiche, ma tutti
 "si sa, come tutti i bambini,
hanno dieci dita alle mani
e dieci dita ai piedini" 
(in inglese Ten Little Fingers and Ten Little Toes, se volete usare questo libro, così ritmato e memorabile, come primo approccio a una lingua straniera).



A prima vista può sembrare un libro "difficile" per i bimbi più piccoli, ma i motivi del suo successo sono tanti, e tanti i motivi per amarlo.
Innanzitutto, il testo è musicale e ricco di rime. La voce della mamma diventa così una cantilena in cui il bimbo trova conforto. E anche la struttura ripetitiva, con un "ritornello" ricorrente, crea dei suoni riconoscibili e rassicuranti.
Ma soprattutto, ci sono le manine e i piedini da toccare, coccolare e stuzzicare ogni volta che il testo li nomina, così la lettura diventa una coccola piacevole per la mamma e per il bimbo, oltre che un modo per imparare a dare un nome alle mani e ai piedi (e a emozionare la mamma sul fasciatoio).

Il risultato è questo: il Piccolo D si apre in un sorriso irresistibile ogni volta che prendo in mano Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini, e se glielo metto davanti insieme a un paio di libri perché ne scelga uno, si butta a capofitto su quello (e cerca di mangiarlo: è il suo modo per esprimere apprezzamento).

Sull'onda dell'entusiasmo per la nuova scoperta del Piccolo D, ho voluto creare una piccola attività che lo aiutasse a riconoscere le parti del proprio corpo.
Per prima cosa, ho stampato e ritagliato due foto (identiche) del suo viso, più la foto di una mano e la foto di un piedino (dopo innumerevoli tentativi falliti di farlo stare fermo in modo da fare delle foto decenti, ho optato per delle immagini trovate sul web).



Ho incollato le foto su un cartoncino, le ho ritagliate e le ho "plastificate" ricoprendole di nastro adesivo trasparente alto (se avete una plastificatrice tanto meglio). Delle due copie del viso, ne ho lasciata una intera, e dall'altra ho ritagliato occhi, naso e bocca.



Infine, le ho proposte al Piccolo D, facendogliele vedere (insieme a uno specchio dove guardare la propria immagine), indicando le diverse parti e nominandole ("Questi sono gli occhietti"), e anche provando a stimolarlo chiedendogli dove fossero ("Dov'è la manina?").
Il Piccolo D ha dimostrato per ora il suo interesse prendendo in mano i cartoncini e cercando di mangiarli. In fondo, è quello che faccio sempre io con le sue manine e i suoi piedini: come dargli torto?



 
Non credo nei "libri medicina": quelli che dovrebbero servire per parlare di un argomento, per affrontare dei problemi, risolvere dei capricci. Quelli con la morale, che insegnano ai bimbi a fare qualcosa. Un libro, per me, deve divertire, appassionare, non avere toni didattici: solo così può davvero insegnare qualcosa.

Non credo nel "libri medicina", dicevo, ma quando ero incinta del Piccolo D ci sono cascata lo stesso. Ho cercato un albo che parlasse al Piccolo T del suo nuovo ruolo da fratello maggiore, di cosa significasse non essere più l'unico bimbo in famiglia. Risultato? Un disastro.
Tutti i libri sul tema raccontavano storie di vita reale (ovviamente diverse da quelle che poi avremmo vissuto realmente, perché ogni famiglia è a sé) e lo schema era più o meno sempre lo stesso: nasceva un fratellino, il bimbo inizialmente contento passava in seguito una fase di odio/gelosia verso il piccolo, per poi scoprire, quando il bimbo cresceva, che avere un fratellino è bellissimo.

Ho parecchi motivi per non apprezzare libri del genere:
  • Raccontano situazioni in modo troppo didascalico. Non c'è astrazione, non ci sono metafore, solo una storia di vita quotidiana raccontata in modo fin troppo quotidiano, come se un bambino potesse immedesimarsi solo in qualcuno che gli assomiglia anziché, come fa ogni giorno, in un drago, un cavaliere, un dinosauro o una fata.
  • Non divertono e non emozionano. Cercano di raccontare dei sentimenti anziché farli vivere, il che, secondo me, è il modo peggiore per comunicarli.
  • Suggeriscono sentimenti negativi nei confronti del fratellino, come se fosse necessario averne.
  • Suggeriscono una soluzione, che però non può arrivare solo perché un libro la racconta. Nessuno può amare perché ha letto che un giorno lo farà.
Questa lunga premessa (scusate) l'ho fatta per dirvi che alla fine, per caso, ho trovato un libro perfetto per un bimbo che sta per diventare fratello maggiore. E, guarda caso, è un libro che non parla affatto di bambini, di fratelli o di sorelle.



Tu (non) sei piccolo è prima di tutto un libro che fa ridere.
È un albo fatto da disegni semplici, con personaggi buffi e curiosi e una sola battuta per pagina. La storia? Eccola: ci sono un mostriciattolo arancione e un mostriciattolo viola che si "accusano" a vicenda di essere, rispettivamente, troppo piccolo e troppo grande.



Entrambi si ritengono normali perché conoscono un sacco di altri mostriciattoli uguali a loro.
("Vedi? Loro sono esattamente come me. Sei tu che sei piccolo!")


A dirimere la questione arriveranno tanti mostriciattoli minuscoli e un mostro gigantesco, che faranno scoprire ai protagonisti che tutto è relativo: "Tu sei piccolo, ma anche grande", con un finale tutto da ridere.

Ecco: secondo me è questa la grande rivoluzione che si trova ad affrontare un bimbo a cui nasce un fratellino. Improvvisamente non è più il piccolo di famiglia. È grande, deve prendersi alcune responsabilità e capire che non c'è spazio solo per lui. Ma resta piccolo, è ancora un bambino che ha bisogno delle coccole e del tempo della sua mamma e del suo papà.

Non c'è stato bisogno di spiegarlo, al Piccolo T. È stato lui stesso a dirmi, una volta, "Io sono grande rispetto a D. e sono piccolo rispetto a te e al papà".
E a quel punto l'ho rassicurato: "Tu sarai sempre il nostro piccolo".

Cosa si può fare di un concetto tanto serio e profondo? Giocarci sopra!
Mi piaceva l'idea di sdrammatizzare il nostro essere tutti grandi e piccoli allo stesso tempo, e così ho trovato su Pinterest l'ispirazione per un gioco in cui tutti possono diventare grandi e piccoli:

Il gioco dei personaggi mattoncini




Per cominciare, si preparano le pedine, stampando e ritagliando le foto di tutti i componenti della famiglia (lo so, il Piccolo D non può ancora giocare, ma ho preparato una pedina anche per lui). Si possono disegnare o stampare anche delle immagini di piccole mani e piccoli piedi.



Ora, aprite la vostra scatola di Lego e iniziate a comporre le pedine. Dovrete attaccare con un po' di nastro adesivo la testa e le mani su un mattoncino e i piedi sotto un altro mattoncino (guardate la figura per capire come attaccarli).
Attaccate tra di loro i due pezzi del Lego e avrete ottenuto le pedine da muovere sulla plancia di gioco.



La plancia di gioco potete stamparla dal mio pdf. In ogni casella troverete un'indicazione: dovrete ogni volta aggiungere o togliere mattoncini al vostro personaggio, attaccandoli tra la testa e i piedi fino a farlo diventare altissimo o bassissimo.
Ci sono delle caselle speciali in cui si regala o si toglie un mattoncino agli altri giocatori o rinunciare a tutti i mattoncini che avete.

Ci si muove sulla plancia di gioco tirando un dado. Il gioco termina dopo un certo numero di giri che avete stabilito all'inizio, altrimenti potete giocare a tempo utilizzando una clessidra o un timer. Vince chi al termine del gioco ha il personaggio più alto.




La nostra prima partita è finita così, con il Piccolo T molto più grande di me. Io ne ho approfittato per fare un po' di capricci e farmi fare le coccole.


EDIT (giugno 2019): Il libro, esaurito, è finalmente tornato disponibile, in versione bilingue, con testo italiano-inglese e in due versioni: con copertina rigida e in formato tascabile.



   
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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