Nuvole in scatola
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Cos'hanno in comune Alla fiera dell'est, Nella vecchia fattoria e quel numero imprecisato di elefanti che si dondolavano su un filo di ragnatela?
La struttura a ripetizione e accumulo, una delle chiavi più importanti nella fascinazione dei bambini, specialmente i più piccoli.
Nella ripetizione, il bambino trova la rassicurazione del già noto, la sensazione piacevole della familiarità e la gratificazione del saper anticipare quello che verrà.
Nell'accumulo e nella variazione, l'elemento sorpresa che fa sì che sia interessante andare avanti nella lettura o nella canzone.


Questo meccanismo, su cui si basa il successo di molti libri per l'infanzia, è ben noto a Helen Oxenbury, famosissima autrice e illustratrice che abbiamo già incontrato in A caccia dell'Orso, Il gigante salterino, Dieci dita alle mani, dieci dita ai piedini.

Il suo albo Ãˆ il mio compleanno, uscito in Inghilterra nel 1994 e diventato un classico anglosassone, riprende esattamente questo schema, aggiungendo elementi di sicura presa con i bambini, come l'idea della festa e la presenza di tanti animali dalle movenze antropomorfe.
Lo ha riedito da pochissimo Pulce, casa editrice affacciata da pochi mesi sul mercato, con uno sguardo attento sul mondo dell'infanzia e il suo linguaggio, e che sta svolgendo un'interessante operazione di recupero di libri di valore usciti di catalogo e persi nel mercato editoriale.

Il protagonista (o la protagonista? Il suo sesso non è ben definito, così ogni bambino può identificarsi più facilmente) di  È il mio compleanno inizia dichiarando:

È il mio compleanno e voglio fare una torta.

Ma per fare una torta servono degli ingredienti, e il piccolo protagonista inizia a cercarli, uno alla volta.

È il mio compleanno e voglio fare una torta.
Mi servono le uova.



Di volta in volta, il bimbo trova un animale disposto ad aiutarlo nella sua ricerca: le galline, naturalmente, gli danno le uova, ma non tutti i contributi saranno così scontati.
E così il gatto prende burro e latte dal frigo, il maiale chiede un po' di sale a delle lontre che fanno un pic nic, mentre il cane va a comprare lo zucchero in un negozio, pagandolo alla pecora che lavora cassa.


A questa varietà di situazioni illustrate in modo tenero e curioso, tutte da esplorare con lo sguardo, si contrappone la rigida coerenza della struttura testuale: il bimbo ripete la sua intenzione di fare la torta, elenca gli ingredienti che ha (ogni volta uno in più) e infine quello che gli manca:

È il mio compleanno e voglio fare una torta.
Ho le uova, la farina, il burro e il latte,
ma mi serve un pizzico di sale.
Così, come in un gioco, la ripetizione dell'elenco stimola la memoria uditiva e invita al gioco, alla recitazione ad alta voce (e – perché no? – anche a inventare una canzone a tema per leggere).


L'ultimo favore che servirà al piccolo protagonista sarà quello di aiutarlo a mangiare la torta: perché le feste sono feste solo se si condividono con gli amici.


Se invece gli amici sono pochissimi, ma volete approfittare per cucinare con vostro figlio una mini-torta, con difficoltà di esecuzione, indicazioni e tempi di attesa a misura di bambino, provate la

torta in tazza.



Gli ingredienti:
  • una grande tazza da colazione (anche due)
  • 4 cucchiai di farina
  • 3 cucchiai di zucchero
  • 2 cucchiai di cacao amaro
  • 3 cucchiai di latte
  • 1 cucchiaio di olio di semi
  • 1 uovo
  • 1 pizzico di lievito per dolci
  • zucchero a velo

Si misura tutto a tazze e cucchiai, così è semplice anche per chi non ha dimestichezza con le unità di misura e le bilance.
E poi l'esecuzione è semplicissima, l'unica difficoltà è l'uovo da rompere. Tra le varie ricette che ho provato, questa è senza dubbio la più morbida e gustosa. Ecco come fare:

  • preparare gli ingredienti
  • imburrare la tazza
  • infilare tutti gli ingredienti tranne lo zucchero a velo nella tazza (attenzione: deve restare almeno un terzo di tazza libera, per la lievitazione, altrimenti trasferite metà impasto in un'altra tazza)
  • mescolare con una forchetta finché non si sono ben amalgamati
  • cuocere in microonde a potenza massima per 3 minuti
  • aprire il microonde
  • non prendere la tazza in mano senza una presina, perché scotta
  • tirare un accidenti perché l'avevate presa in mano senza presina
  • spolverarla con lo zucchero a velo
  • mangiarla!
  • tirare un altro accidenti perché vi eravate dimenticati di ungere la tazza (ma no, tranquilli: si pulisce facilmente lo stesso).
E buon compleanno, o non-compleanno che sia. Non vi serve mica un'occasione speciale per fare una torta, vero?


Quando internet viaggiava sui modem a 56k, c'era la netiquette: bastava evitare di scrivere in maiuscolo, non fare spam scrivendo più volte lo stesso messaggio, non andare OT (off topic) e poco altro.
I social network non esistevano e per pubblicare una foto dovevi collegare al computer la macchinetta digitale, scaricarla sull'hard disk e poi fare l'upload: non una procedura particolarmente agile e invitante.



Poi sono arrivati gli smartphone, e Facebook, e tutti quei luoghi e quelle tecnologie che hanno cambiato il volto della rete, offrendo nuovi servizi e nuove opportunità, ma anche aprendo la strada a nuovi pericoli, non solo materiali.
Al giorno d'oggi, la prima protezione da dare ai bambini e ai ragazzini per andare online, prima ancora che tecnologica, deve essere psicologica. Se da un lato è importante capire l'infrastruttura che sostiene la rete, per comprendere il mezzo che si sta usando, con tutte le sue implicazioni, è altrettanto fondamentale essere preparati a una serie di meccanismi sociali e psicologici nuovi e diversi dall'esperienza offline.

Penso, parlo, posto. Breve guida alla comunicazione non ostile, inizia proprio da qui: non da regole tecniche, da linee guida o istruzioni, ma da una guida all'introspezione, valida non solo per la comunicazione online, ma per la vita.
Prima di comunicare, è importante chiedersi chi siamo (facile a dirsi!), cosa sentiamo, cosa vogliamo dire. Solo avendo chiari in testa questi presupposti potremo scegliere come comportarci.


Penso, parlo, posto Ã¨ pubblicato da Il castoro nell'ambito delle iniziative di Parole O_Stili, associazione no profit che ha lo scopo di diffondere la cultura di una comunicazione positiva e non ostile in rete, e dalla quale nasce il Manifesto della comunicazione non ostile, pubblicato nelle prime pagine di questo libro: un decalogo fondamentale che va oltre l'utilizzo di uno strumento digitale e si può applicare a ogni ambito della vita e della comunicazione interpersonale.


È a partire da questo manifesto che gli autori, Carlotta Cubeddu e Federico Taddia, articolano i capitoli del libro, ognuno dedicato a una delle dieci "massime".

Ogni argomento è affrontato con piccoli racconti in prima persona, situazioni concrete, ben calate nella realtà degli adolescenti e dei preadolescenti di oggi, colti nel loro privato e nella loro vita pubblica, sul web: un ragazzo bannato da un gruppo per aver espresso un'opinione, un "contest" tra youTuber, un amico fissato con i selfie, la pirateria, la condivisione di fake news e così via.

Il metodo espositivo è interessante: prima del racconto, un box introduce gli (S)Punti interrogativi: domande che guidano il ragazzo ad affrontare la lettura ponendosi delle domande.


Alla fine del racconto, un altro box propone dei pensieri e delle reazioni a quanto letto.
Attenzione: il box non dice cosa il ragazzo dovrebbe pensare! Prova invece a esprimere alcune possibili sensazioni che potrebbero emergere, alcune opinioni su quanto letto. Non a caso, alcune delle frasi sono anche in contraddizione tra loro: persone diverse potrebbero pensarla diversamente (e non necessariamente uno dei due ha ragione e l'altro torto).


La forza di Penso, parlo, posto Ã¨ proprio in questo approccio maieutico: il libro non dice mai cosa un bambino dovrebbe fare o pensare, e nemmeno come dovrebbe pensare.
Dà degli stimoli, degli strumenti per sviluppare un pensiero autonomo.

In coda a questi episodi raccontati c'è naturalmente una breve spiegazione di alcune dinamiche, con alcune raccomandazioni, a volte di natura legale, a volte di natura psicologica, sempre dettate dal buon senso. Ma il clima generale di questo saggio è sempre aperto alla libera scelta e alla libera riflessione sulle motivazioni e le conseguenze delle proprie azioni (o non azioni).

Un'ottica ammirevole, che a volte rischia però di peccare di eccesso di astrattismo: senza "dettare" ai lettori cosa dovrebbero scrivere, non avrei disdegnato qualche esempio concreto di frase posta bene o posta male (ad esempio, per far capire la differenza tra mettere in discussione una persona o le sue idee).

Ad alleggerire la lettura, le illustrazioni di gud, che a volte strappano un sorriso, a volte riescono a trasmettere sensazioni che le parole da sole non riuscirebbero a fare con altrettanta efficacia.


Viviamo in un mondo in cui il virtuale è sempre più reale e presente nelle nostre vite.
Negarlo ai bambini sarebbe una lotta contro i mulini a vento, e non avrebbe nemmeno molto senso, perché significherebbe privarli di strumenti che, se usati bene, possono essere cruciali in molti aspetti della vita.
L'unica soluzione è insegnare loro la capacità di discernere, di pensare, di capire, di scegliere.
Sono i nostri figli il futuro del mondo, e sono loro a poterlo rendere migliore, anche attraverso la rete.

Penso, parlo, posto Ã¨ questo, come ben spiega nell'introduzione: il tentativo di

cambiare il mondo, una parola alla volta.



Gli amici sono una risorsa preziosa, una delle più grandi ricchezze della vita, ma, come ogni relazione interpersonale, anche l'amicizia ci pone di fronte a compromessi, incomprensioni, piccoli battibecchi.
Poi ci sono gli amici immaginari: quelli almeno sono perfetti e fanno sempre tutto quello che vogliamo noi. O forse no?


In Merenda con gli indiani di Delphine Bournay, gli amici immaginari giocano ad Anita qualche brutto scherzo.
Il papà la chiama per la merenda, mentre lei sta giocando con Powa e Pawo, due pupazzetti di pellerossa. Prima della merenda, però, deve sistemare i suoi giochi, e prova a farlo con la forza della magia.


In una svolta a metà tra gli incantesimi di Mary Poppins (Basta un poco di zucchero...) e il viaggio nell'immaginazione di Nel paese dei mostri selvaggi di Sendak, Anita si ritrova in un isola deserta, dove i suoi pupazzi hanno preso vita.

I due, però, non sembrano molto collaborativi e, anzi, iniziano a canzonarla, facendo il verso a quello che dice.



Anita deve capire da sola che se vuole mangiare i bignè preparati dal padre dovrà uscire dalla sua bolla fantastica e darsi da fare, da sola.

Nel secondo dei due episodi narrati nel libro, Anita sta guardando un western con il papà, ma le scene di azione e violenza le mettono paura, e quando si tratta di andare a dormire "vede indiani dappertutto".

Ancora una volta, i suoi pupazzi Powa e Pawo prendono vita, ma anziché aiutarla la inquietano ancora di più, fino a spingerla nel letto del papà (che però, lo sappiamo, era da subito il suo obiettivo).



Merenda con gli indiani gioca sul filo sottile tra paure e immaginazione, facendoci entrare in un mondo mentale che però sfugge al controllo della protagonista, che ancora non ha pieno controllo della propria emotività.
È un libretto di piccolo formato, della collana Superbaba, la nuova linea editoriale di Babalibri dedicata ai primi lettori, con titoli semplici scritti in stampatello maiuscolo o minuscolo.

Nel libro, vediamo Anita avere a che fare solo con il suo papà: una visione oltre gli stereotipi di un ruolo genitoriale moderno.

Merenda con gli indiani, dedicato a un pubblico che si affaccia alle letture in stampatello maiuscolo, alterna testi brevi a fumetti, per rendere la lettura ancora più semplice. Anche la scansione in due storie stimola la motivazione del lettore alle prime armi, che può raggiungere un primo traguardo già a metà del libro.
Come tutti i titoli della collana, anche questo è accompagnato da un "dossier pedagogico", che si trova sul sito di Babalibri, con proposte di lavoro piuttosto eterogenee tra loro (dall'esercizio lessicale alla ricerca scolastica), a mio parere un po' troppo standardizzate e generiche per risultare davvero incisive e interessanti.

Ma anziché cercare i verbi o il lessico nuovo nel testo, io ho preferito costruire un copricapo indiano.
Ho preso una striscia di cartone sottile, della carta colorata e alcuni stuzzicadenti (normali, per un copricapo a misura di bambola. Se ne volete uno per carnevale, usate stuzzicadenti da spiedino).

Ho ritagliato diverse sagome a forma di piuma (applicando dei tagli ai bordi per renderle più realistiche) e le ho incollate a due a due, con lo stuzzicadenti in mezzo.
Ho poi inserito le piume così ottenute infilando la parte sporgente dello stuzzicadenti tra i buchi nello spessore del cartone, fermandole con un po' di colla.


Con due tagli opposti alle due estremità, da infilare l'uno nell'altro, ho chiuso il copricapo.


Così proprio tutti possono giocare a fare gli indiani.



Purché alla fine i giocattoli si mettano a posto, con o senza magia.


"Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo": così iniziava Tolstoj la sua Anna Karenina.
Ed è questo il motivo per cui le fiabe non iniziano mai con "e vissero tutti felici e contenti".
Ma si può cercare una cifra comune dell'infelicità? Si può narrare una storia di solitudine che sia universale?


Ci prova Catherine Pineur in Vai via, Alfredo! (edizioni Babalibri).
Vai via, Alfredo! Ã¨ una storia minimale, quasi astratta: più che una narrazione, è il suo scheletro, che può essere rivestito con una moltitudine di situazioni diverse.

"Alfredo è un tipo strano"

Non si sa perché, non si sa cosa lo differenzi dagli altri.
È diverso, tutto qui. E a causa di questa diversità, nessuno lo vuole.
Alfredo ha una sedia. Ancora una volta, non si sa perché la porti sempre con sé, ma rappresenta in qualche modo la sua stranezza, la sua diversità, un po' come Il Pentolino di Antonino (se lo conoscete).



Lo vediamo presentarsi accanto a nidi e tane, ma nessuno vuole Alfredo a casa propria, e tutti, con una scusa o l'altra, lo allontanano ("mia mamma non è d'accordo", "sei troppo pesante").


Finché Alfredo arriva a casa di Sonia.
Sonia gli somiglia, non solo fisicamente, ma perché anche lei conosce la solitudine.
Sonia sta bene a casa sua,
sola, in fondo al bosco.
Così nessuno la vede.

Ma anche Sonia non lo accoglie: ha paura. Finché il giorno dopo, trovandolo ancora fuori da casa sua, decide di offrirgli un caffè.



L'ultima immagine, muta, ci fa vedere Alfredo e Sonia seduti uno accanto all'altra, con una tazza in mano.
Chissà cosa si stanno dicendo, chissà che argomenti hanno trovato in comune.
Non è questo l'importante. Quello che conta è che è bastato fare un passo, superare la propria diffidenza, offrire un caffè.
A volte a farci paura è solo quello che ci sembra diverso, ma basterebbe provare a conoscerlo per scoprire la ricchezza dentro questa diversità.

Vai via, Alfredo! Ã¨ una storia che racconta poco, ma apre la porta a domande le cui risposte si possono adattare a tantissime situazioni diverse, offrendo lo spunto per affrontare situazioni concrete di emarginazione, bullismo, diversità.

Le illustrazioni, che fanno largo uso del tratto, lasciano un senso di incompiutezza che ben si armonizza con lo stile generale di una narrazione fatta di spazi da riempire.
Le pagine lasciano spazio a qulche sorriso, come quando Alfredo si appoggia sui fili della luce, piegandoli, ma restano essenzialmente minimali, volutamente generiche.

Quella di Alfredo è insomma una storia di tanti, scritta nella speranza che non sia più la storia di nessuno.

È estate. L'editoria va in vacanza (e anche i blog), ma le buone letture no.

Ecco perché ho pensato di approfittare di questo periodo per promuovere la bellezza di leggere facendo girare sui social media tanti bei libri per bambini e tante belle foto, ma per farlo ho bisogno anche del tuo aiuto.

Vuoi provarci?



Leggo sulle nuvole è la sfida social di lettura per regalare ai tuoi bambini un’estate di storie.

Nelle nove settimane di luglio e agosto, ti proporrò nove minisfide tutte da leggere.
Cosa devi fare?

1. UNISCITI ALLA SFIDA
Condividi questo post su Facebook oppure segui @nuvoleinscatola su Instagram.

2. PARTECIPA ALLE MINISFIDE settimanali pubblicate sulla pagina di Nuvole in Scatola: scegli un libro che corrisponda alla descrizione e leggilo con tuo figlio.

3. FOTOGRAFA il tuo momento di lettura e pubblicalo taggando @nuvoleinscatola e aggiungendo l’hashtag #leggosullenuvole.

Le istruzioni sono tutte su questo post su Facebook o su Instagram.


Nessuno di questi passi è obbligatorio, perché… non si vince nulla.

Perché? Per almeno per due ragioni:
  1. Mi piace la legalità. Mettere in palio dei premi significa quasi sempre instaurare un meccanismo di concorso a premi per il quale servono autorizzazioni ministeriali e burocrazia varia (sì, la maggior parte dei giveaway che trovate online è illegale).
  2. Mi piace la sincerità. Non mi interessa conquistare nuovi fan che si avvicinano solo per ottenere un premio ma non sono realmente interessati a quello che scrivo.
    Mi piace l'idea di costruire attorno al mio blog una bella comunità di genitori, insegnanti e adulti in generale appassionati agli albi illustrati e alla letteratura per l'infanzia, e di diffondere attraverso i social network questo amore e questa passione. Tutto qui.

In fondo, se ci pensi, un premio per questa sfida alla fine c'è: si vincono storie, coccole e complicità da condividere con le persone che ami di più. Non sono forse il premio più bello?


Allora, accetti la sfida? Conto su di te. ;)
La prima minisfida ti sta già aspettando su Facebook e su Instagram. Quale libro sceglierai?

Buona lettura, e buona estate!
A cominciare dalla Storia infinita, ho sempre subito il fascino delle metanarrazioni, quei racconti che scardinano i meccanismi della storia rendendoli protagonisti della storia stessa.


Una storia molto in ritardo (Terre di mezzo editore) usa questo stratagemma per parlarci di creatività, di intraprendenza, di iniziativa.
Il libro inizia con una pagina bianca, che si popola piano piano di personaggi, animali colorati non sempre ben identificabili, disegnati con i tratti minimali di Marianna Coppo (l'avevamo già incontrata con Petra). I personaggi si guardano attorno, non sanno bene cosa fare.


Poi capiscono: sono in un libro. Solo che, come in uno scenario pirandelliano, i personaggi ci sono ma manca una storia.


I personaggi si fermano e aspettano. Aspettano. Aspettano.
Dalla pagina accanto si avvicina un coniglio chiedendo loro se vogliono giocare, ma no: loro devono aspettare.


Il libro prosegue così: nell'ampio spazio bianco della pagina i quattro personaggi si scambiano frasi minimali, di circostanza ("Freddino, eh?" "È l'umidità"), con qualche citazione che strizza l'occhio al lettore adulto (cosa mi rispondete se vi dico che "potrebbe andare peggio?").
L'effetto è comico, anche per i volti impassibili degli animali.

Nel frattempo, però, nella pagina di sinistra, il coniglio si dà da fare. Non ha voglia di stare fermo ad aspettare, così la sua storia se la costruisce da solo, coltivandola, disegnandola, realizzandola con le proprie mani.
In poco tempo, crea uno scenario in cui domina l'immaginazione, tra unicorni, case sull'albero, altalene e pinguini in mongolfiera.


Riuscirà a coinvolgere i quattro personaggi in attesa e a dimostrare che la noia e l'attesa possono dare vita a mondi fantastici?

E voi, ci avete mai pensato che da un'attesa e da un ritardo può nascere un gioco?
Provate a giocare a

Il gioco delle risposte in ritardo.

Un gioco di memoria e di concentrazione (e un po' anche di strategia). Si gioca almeno in tre.
Si fa così: il primo giocatore fa una domanda.
Il secondo giocatore non risponde e ne fa un'altra.
Il terzo giocatore risponde alla prima delle due domande, e pone una terza domanda.
Il giocatore successivo (di nuovo il primo, se si gioca solo in tre) risponde alla domanda posta dal secondo giocatore, e fa una quarta domanda.
In sostanza, ognuno deve ricordarsi di rispondere non all'ultima domanda posta, ma alla penultima.

Il gioco si può complicare ulteriormente in caso di più giocatori, rispondendo ad esempio alla terzultima domanda (sarà ancora maggiore lo sforzo di ricordare la domanda giusta a cui rispondere).


Esempio:
G1: Di che colore è il tuo cappello?
G2: Come stai oggi?
G3: Giallo. Che giorno è oggi?
G1: Bene, grazie. Quanto fa 2 + 2?
G2: Domenica. Qual è il tuo frutto preferito?
G3: Quattro.

Con un po' di esperienza e di allenamento, si può arrivare a combinare strategicamente domande e risposte in modo buffo.
Quello che conta, è cogliere l'occasione per giocare, senza aspettare che il gioco, come la storia del libro, arrivi da solo.


Chi ha un cane in casa sa che l'arrivo di un bebè non turba solo gli equilibri degli umani.
Anche gli animali domestici soffrono di gelosia e possono essere diffidenti nei confronti di questo nuovo esserino che cattura tutte le attenzioni di casa.


Buddy e Spillo e il bebè gigante, terzo capitolo delle avventure di Buddy e Spillo (Maureen Fergus
e illustrazioni di Carey Sookocheff, LupoGuido) sembra trattare questo tema.
Dico "sembra" perché, come già avevo notato nella precedente recensione, Buddy e Spillo sono molto poco animali e molto, molto bambini.

Lo confermano in questa storia, in cui, alla notizia della visita della signora Cunningham col suo bebè, si dimostrano entrambi entusiasti, senza però sapere bene di cosa stanno parlando.



"Evviva!" urlò Spillo, che adorava ogni genere di entusiasmo.
Poi tutto contento si voltò verso Buddy e disse:
"Ma dimmi! Che cos'è un bebè?"

È in fondo la reazione di molti bambini, entusiasti all'idea di avere un fratellino ma non ben consapevoli dell'impatto che avrà sulla loro vita.


Spillo scatena la sua solita fantasia immaginando varie funzioni e identità di questo bebè che però, quando arriva, non presta attenzione né a Buddy né a Spillo e inizia a girare per casa toccando tutto.

È particolarmente buffo il rovesciamento che si compie in questo capitolo della serie: se negli altri libri vedevamo Buddy e Spillo fare danni in casa per seguire i propri giochi, stavolta sono loro a lamentarsi della confusione provocata dal piccolo umano.


Il rovesciamento raggiunge il suo apice di comicità quando il cane Buddy si preoccupa che il bebè gli riempia di germi l'osso, leccandoglielo: è una bellissima finestra sui punti di vista altrui, sulla relatività delle cose.


Buddy e Spillo si tranquillizzano quando il bebè viene messo a riposare nel lettino con le sbarre ("nella sua gabbietta", dice Spillo), ma il piccolo riesce a scappare e inizia ad esplorare le diverse stanze della casa.

I due lo cercano, preoccupati, mentre come al solito la fantasia di Spillo costruisce attorno a lui scenari pericolosi e molto improbabili. Nonostante la sua incontrollabile esuberanza, il cane e il riccio alla fine scoprono che un bebè non è poi così male e che i suoi sorrisi ripagano dei piccoli danni lasciati qua e là.


Sebbene Buddy e Spillo e il bebè gigante si apprezzi meglio se letto di seguito ai primi due capitoli della serie, cogliendone richiami ed evoluzione dei personaggi, è un albo che può essere letto anche indipendentemente, per ridere un po' delle piccole e grandi rivoluzioni che porta con sé un nuovo arrivo in famiglia, immedesimandosi nei pensieri e nel candore di questi due animali, più umani che mai.


   
Osservare non è un'attività così semplice come sembra.
Possiamo guardare molte cose senza vederle realmente. Non si tratta di trovare le risposte in ciò che abbiamo davanti, ma piuttosto di saper fare le domande giuste.
È questo il senso dell'istruzione e dell'educazione (o almeno: questo è quello che dovrebbe essere): non infondere concetti, ma fornire gli strumenti.


Con le mani nella terra. Alla scoperta del mondo vegetale Ã¨ un fantastico libro di strumenti che guida alla scoperta della natura e del mondo vegetale. Emanuela Bussolati, che già aveva affrontato questa tematica in Ravanello cosa fai,  sempre di Editoriale Scienza (lo ricordate?), fornisce molte nozioni, ma soprattutto invita a porre alla natura le domande giuste, a sperimentare in prima persona mettendo, per l'appunto, le mani nella terra.
Non a caso, la Bussolati coinvolge il lettore nel viaggio chiamandolo "Terranauta".


L'approccio è multidisciplinare: la botanica passa attraverso la storia, la biologia, l'ecologia, e non si fa mancare qualche spazio dedicato al gioco (non pensate anche voi che la ricreazione sia una delle materie scolastiche più importanti?).

Nato in collaborazione con l'orto botanico dell'Università di Padova, questo libro inizia proprio indicando i vari ruoli che ruotano attorno a una realtà di questo tipo: amministratori, ricercatori, giardinieri, fitopatologi e così via.
È un modo per introdurre l'idea che le piante possano essere viste e studiate secondo approcci molto diversi tra loro.



Delle piante si racconta poi la funzione ambientale e quella industriale (indicando ad esempio da quali specie ricaviamo cibo, indumenti, medicine, materiali edili e altro ancora). E naturalmente se ne spiega il funzionamento, dall'impollinazione alla crescita, soffermandosi su come condizioni diverse portino a risultati molto distanti tra loro.


Uno degli aspetti più interessanti è proprio l'invito all'osservazione: il modo in cui cresce una pianta può dire molto sulla sua storia, le sue caratteristiche biologiche, il tipo di terreno in cui è cresciuta.
Portando numerosi esempi, accompagnati da eloquenti illustrazioni, scopriamo perché un seme può avere una certa forma, a cosa servono le diverse radici, quali sono le tipologie di foglie che una pianta può avere.


Qua e là, tra i vari argomenti, troviamo anche piccoli consigli per la coltivazione, ma prima di essere un manuale pratico di giardinaggio, Con le mani nella terra Ã¨ una base da cui partire per comprendere e "saper fare", senza dipendere sempre dai consigli degli altri.

La stessa copertina, con inserti ruvidi, invita ad essere toccata, mettendo l'esperienza in primo piano.

Non mancano piccoli esercizi, schede da compilare, progetti e suggerimenti pratici, che si rifanno a una dimensione tipicamente bambina dell'approccio al mondo vegetale.
Leggere la pagina dedicata ai giochi con le piante mi ha fatto un po' tornare a quando per me i prati e i fossi erano un meraviglioso parco giochi naturale (non sono così vecchia, sia chiaro: avevo anche il Nintendo!).


Voi ci giocavate, con le piante, da piccoli?

I miei giochi preferiti erano:

1) Lanciare le infiorescenze della piantaggine.


Bastava fare una piega sullo stelo, passarci l'infiorescenza e poi tirare per farla staccare.
Così:


2) Fischiare con gli steli d'erba.
Facile facile: bastava tenderne uno tra i pollici e poi soffiarci dentro.



3) Scoppiare i calici della silene.
Di questo non ho immagini: sorry, siamo fuori stagione. ;)

4) Infilare pratoline.


Qui l'unica difficoltà era trovarne una con il gambo abbastanza lungo per fare "collane" più lunghe possibile, così:


Il parco giochi più bello, in fondo, è quello che abbiamo sempre sotto i nostri occhi.

 
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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