Nuvole in scatola
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Quando ho sentito la notizia del possibile ritorno dell'educazione civica nelle scuole, la mia prima domanda è stata "E perché, l'avevano tolta?".
La seconda: "E perché l'avevano tolta?" (no, non è la stessa domanda: c'è una virgola, cruciale, di differenza).
Sono profondamente convinta che si debba imparare il più presto possibile ad essere buoni cittadini. Sono anche un'inguaribile idealista, e credo (ancora!) nel significato più antico della parola politica, quello che a partire dalla polis greca ci racconta di diritti, doveri, ma soprattutto di gestione di un bene comune, che appartiene alla società.
Spero di riuscire a trasmettere ai miei figli non un'appartenenza partitica, ma i valori che dovrebbero fondare un buon governo, perché possano un giorno scegliere in autonomia.
E se probabimente è presto per spiegare i concetti di politiche sociali ed economiche, di distribuzione della ricchezza e di rapporti diplomatici con l'estero, posso certamente già spiegare almeno cosa significhi democrazia.


Vi sembra complicato? Non lo è affatto. Ce lo dimostra Nella foresta non si parla d'altro. Le elezioni degli animali, un albo brasiliano uscito recentemente in Italia per Terre di Mezzo editore che ci spiega, ricollocandoli in una foresta, concetti e meccanismi delle elezioni e della democrazia.

A dare avvio alla vicenda è lui: il leone, il re.
Con una decisione del tutto autoritaria, ha deviato l'acqua del fiume per costruirsi una piscina.


È questo sopruso che fa nascere negli animali una coscienza sociale, uno spirito di ribellione all'ordine costituito.


Con striscioni, slogan e persino hashtag, gli animali manifestano, protestando contro il comportamento del re e reclamando i propri diritti.


Nasce così, dal basso, l'idea di trasformare la monarchia della foresta in un governo democratico. Vengono indette delle elezioni, con rigide regole alle quali attenersi (tra le quali "non divorare l'avversario": in mezzo alla foresta, sempre meglio specificare!), e ha inizio così la campagna elettorale: i candidati sono leone, scimmia, serpente e bradipa.
A ogni lista è dedicata una doppia pagina, con il simbolo e il motto sulla sinistra e il programma elettorale a destra.


Sotto forma di storia, con protagonisti ben tratteggiati, molti spunti divertenti e colori vivaci e accattivanti, Nella foresta non si parla d'altro pone all'attenzione dei bambini una panoramica molto ampia sul meccanismo elettorale, che si presta a numerose riflessioni e può essere letta a diversi livelli, soffermandosi più o meno sui dettagli e lasciando spazio ad approfondimenti più o meno impegnativi.
Con leggerezza e semplicità, si toccano i temi del voto segreto, del voto di scambio, dei conteggi elettorali. Si illustrano i meccanismi e gli strumenti della campagna elettorale, dal comizio al dibattito televisivo. Si affrontano diverse strategie e stili comunicativi: chi fa dell'esperienza al governo il suo punto di forza, chi sceglie una strategia aggressiva, di demolizione dell'avversario, chi si mette sullo stesso piano del popolo.

Discorsi, metodi e argomentazioni non mancheranno di far riflettere perfino gli adulti, che troveranno, semplificati e stereotipati, molti meccanismi propri della politica reale, nel bene e (soprattutto) nel male. Nella foresta non si parla d'altro è insomma un albo che parla, con voci diverse, a lettori di molte fasce d'età, trovando per ognuno uno spunto su cui lavorare.

L'albo nasce proprio da un laboratorio sulla democrazia svolto con i bambini di San Paolo e Florianópolis, e sono stati proprio loro a scegliere, con una votazione, chi tra i candidati della foresta dovesse vincere le elezioni.
Sul sito di Terre di Mezzo editore c'è anche la possibilità di ribaltare il risultato, leggendo i programmi e votando online (così da avvicinarsi anche al meraviglioso mondo dei grafici a istogrammi per la comunicazione dei risultati!).

Già, perché l'esercizio della democrazia in prima persona è forse la palestra più utile per capire la politica. Per questo vi invito a creare a casa vostra un piccolo

parlamento democratico familiare

Per semplificare le cose, almeno all'inizio, cominciate col votare qualcosa,  e non qualcuno, e  scegliete un argomento facile e alla portata di tutti. Ad esempio: cosa si mangi oggi a cena?
Quanto al materiale, vi basterà preparare un'urna con una scatola di scarpe e delle schede elettorali. Se in famiglia ci sono bimbi che non sanno leggere, assicuratevi che nella scheda ci sia, accando al nome dei "candidati", un disegno comprensibile.
Nel mio pdf stampabile trovate il nostro ballottaggio: pizza o hamburger?



Tutto qui. Ognuno vota con una crocetta.
Secondo l'età del bambino, potete arricchire l'esperienza con:
  • comizi elettorali (ognuno deve convincere gli altri della propria scelta)
  • campagna elettorale (date un nome ai partiti, preparate insieme volantini e striscioni, ecc)
  • la tessera elettorale da completare (nel caso facciate più di una elezione)
  • la composizione del seggio
  • la creazione finale del grafico dei risultati
  • un ballottaggio, in caso di scelte superiori a due.
Sempre nel mio pdf stampabile trovate anche due schede bianche, da personalizzare con i vostri "candidati", alcuni loghi e scritte per rivestire la vostra urna elettorale e una tessera elettorale da riempire con le date e i "timbri", o meglio con i bollini da ritagliare e incollare.

A proposito, da noi ha vinto la pizza. Tre favorevoli, un contrario, un'astenuta: la Piccola M aspetta almeno di avere dei denti prima di esprimere una preferenza in merito.


Cambiare punto di vista: un esercizio difficile per un adulto, a volte. Figuriamoci per un bambino.
Che poi "punto di vista" significa tante cose: mettersi nei panni degli altri, vedere le cose da un'angolazione nuova, considerare una parola secondo un significato diverso da quello abituale, capire che il mondo cambia secondo il modo in cui lo guardi.


L'operazione che fa minibombo con Cose mai viste comprende parecchi di questi significati.
Si direbbe che questo albo continua e completa l'operazione iniziata con Ho visto una talpa, mettendo i lettori di fronte a piccoli dilemmi che si possono risolvere solo guardando le cose con altri occhi.
Se dopo questa premessa vi aspettate un trattato filosofico, o una storia con una morale profonda, o un testo riflessivo, be', probabilmente non conoscete abbastanza questa casa editrice, che è in grado di trasmettere i meccanismi narrativi più insoliti con immagini semplici e accattivanti, pochissimo testo e una struttura irresistibilmente comica.

Colori vivacissimi e il solito stile grafico e caricaturale di Silvia Borando illustrano in questo albo un breve e insolito catalogo di Cose mai viste, non perché non esistano, ma perché... non si riescono a vedere.


Si inizia infatti con una pecora molto lanosa, così lanosa che non si riesce a vederne il muso.


C'è poi un ragno troppo alto, tanto che esce dalla pagina e possiamo vederne solo le zampe, e a quel punto forse avete capito il meccanismo, e vi aspettate un altro animale che non si vede a causa di una sua caratteristica fisica.
E invece no, perché la Borando non smette di sorprenderci, continuando a spostare il significato di "cose mai viste", cosicché ogni pagina contiene una sorpresa, ma anche un piccolo esercizio di comprensione per essere colta e per scatenare la risata che inevitabilmente ne scaturirà.


Troviamo così una lumaca insolitamente veloce (che è già uscita un po' dall'inquadratura, lasciandoci solo la coda), ma anche una lucciola spenta, naturalmente di notte.
E qui mi fermo, per lasciarvi scoprire da soli l'incredibile carrellata di Cose mai viste, assicurandovi che le sorprese non mancheranno, fino all'ultima, comica pagina.

Non vi viene voglia di girare la testa (sia come contenitore, sia come contenuto) e cercare anche voi dei punti di vista nuovi da cui guardare le cose?
Come sarà la mamma vista da sotto?


E il Piccolo T quando va a dormire d'inverno?


E com'è un piatto di pasta dopo che è passato il papà?


PS: C'è anche un altro aspetto che adoro di Cose mai viste: è un perfetto incoraggiamento per chi dice di non saper disegnare; insegna a usare la creatività dove la tecnica non arriva.
"Non sai disegnare? Davvero? Prova con un ragno troppo alto".



 
Alzi la mano chi, quando disegna, fa ancora gli omini con "gli stecchi".
Io sì, lo ammetto. In fondo sono un modo sintetico ed efficace di comunicare, quindi perché sforzarsi di fare il Van Gogh se non si desidera diventare pittori?


Lo pensa anche il bambino protagonista di Il diario di Stick Dog,  di Tom Watson (edizioni Le Rane di Interlinea) che, a dispetto del nome (ma perché non hanno lasciato il titolo originale, che era semplicemente Stick Dog?), non è affatto un diario, ma un racconto scritto un bambino poco "inquadrato" ma molto creativo.


Il diario di Stick Dog è difatti un libro diviso in due, con due protagonisti e due storie innestate a matrioska l'una sull'altra.
Dapprima c'è il protagonista, lo scrittore-bambino, che si presenta e parla in prima persona in tutto il primo capitolo. Racconta qualcosa di sé e del suo rapporto con gli insegnanti, non proprio idilliaco.
La sua insegnante d'arte, ad esempio, lo rimprovera perché disegna "con gli stecchi". Gli fa notare che i cani non hanno angoli retti e che, disegnati così, sembrano tutti uguali.
Ma lui ci dimostra il contrario disegnando molti cani "spigolosi" e assolutamente riconoscibili.


E poi c'è l'insegnante di italiano, con le sue regole ferree: non si iniziano le frasi con la "e", niente battute nei temi...
Al nostro protagonista (di cui non conosciamo il nome) queste regole stanno un po' strette. Non è un bambino ribelle o indisciplinato: la sua scrittura è allegra e schietta ma mai eccessiva o insolente.
È semplicemente un bambino creativo, che trova il suo modo di esprimersi oltre i paletti di una scuola che forse non riesce a stare al passo con quello che gli studenti hanno dentro.

E così, dopo essersi scusato con il suo pubblico perché non sa disegnare (il divertente sottotitolo di Il diario di Stick Dog è "Una storia bellissima disegnata così così") e perché scriverà a modo suo e non secondo le regole della sua insegnante, il nostro protagonista apre il secondo capitolo e comincia a raccontare una storia che ha inventato: quella del secondo protagonista del libro, Stick Dog.

Stick Dog è un cane randagio, allegro e ottimista, vive in un tubo sotto un cavalcavia e ha quattro amici: un barboncino, una bassottina, un dalmata e un meticcio.
La storia narrata nel romanzo è l'avventura di questi cinque amici a quattro zampe alla conquista degli hamburger che una famiglia di umani sta cuocendo al barbecue durante un pic nic. La trama è piuttosto semplice, con un lieto fine abbastanza prevedibile, ma è il modo in cui la storia è narrata ad essere dirompente. I protagonisti sono tratteggiati in modo caricaturale, ogni cane con le sue piccole psicosi, come l'idiosincrasia verso gli scoiattoli, tutti un po' naïf, come solo i cani possono essere.

Stick Dog, vero leader del gruppo, sa gratificarli anche quando inventano piani assurdi e improbabili, e con un'abile strategia, riesce a convincere tutti che il suo piano è il migliore.
Qua e là, rispunta il primo protagonista, il bambino, che condisce la narrazione con le sue riflessioni o con qualche aneddoto personale, per non farci dimenticare che quella è la sua storia, la sua creazione (anche la scelta di impaginare il romanzo su fogli rigati come quelli di un quaderno ci aiuta in questo senso).

Il risultato è un libro che si divora, dall'inizio alla fine, ricco di siparietti comici, che ci dimostra che si può essere espressivi anche disegnando "con gli stecchi" e che a volte certe regole sono solo dei paletti inutili.


I disegni "con gli stecchi" non sono soltanto un modo veloce di disegnare, ci insegnano anche ad andare alla sostanza delle cose, alla struttura, allo scheletro che le sostiene.
Ecco perché sono ottime da trasporre in 3D, quando si gioca con pongo, didò o simili.


Basta aggiungere qualche stuzzicadenti, ed ecco Stick Dog.


O un omino con braccia e gambe.


Cos'altro potete inventare?

Ci si avvicina al mondo degli albi illustrati perché si è genitori, o educatori, o insegnanti.
Ma sempre più spesso accade che poi in quel mondo ci si fermi anche per se stessi, attirati da una forma comunicativa e artistica che fonde in modo originale immagine, testo e narrazione e tocca corde che altri mezzi non riescono a fare.
Ed è così che alcuni autori di libri per bambini allargano il campo e si rivolgono anche agli adulti, senza mutare il loro linguaggio, ma semplicemente adattandolo a un messaggio diverso.


Di Oliver Jeffers mi sorprende sempre la capacità di unire delicatezza e una lieve ironia nel veicolare messaggi ed emozioni, con uno stile capace di coinvolgere i piccoli, ma anche i grandi.

Il cuore e la bottiglia, edito da Zoolibri, tocca un sentire molto più adulto che bambino. In questo albo Jeffers trasforma in storia una metafora, raccontando l'elaborazione di un lutto.
Il cuore e la bottiglia parla di una ragazza, una come tante.


Una ragazza curiosa, che non si limita a guardare il mondo, ma si interroga su di esso, con un'immaginazione bambina e mai banale.
Accanto a lei vediamo un adulto: il padre, o più probabilmente il nonno, che la accompagna in questo viaggio nella meraviglia che ci circonda. L'adulto legge per lei, condivide le sue osservazioni, risponde alle sue domande, senza mai tarpare le ali della sua curiosità.


Un giorno, però, la ragazza trova una sedia vuota.
Il libro non dice nulla più di questo. La morte non è esplicitata, ma solamente evocata: la sedia (o meglio, la poltrona) è la stessa su cui sedeva l'adulto, sua guida.

La luce cambia, cambia l'atmosfera.
Dove prima le immagini erano vive e brulicanti di fumetti, pensieri, domande e risposte, ora c'è buio e vuoto. La capacità di Jeffers di evocare una sensazione attraverso l'ambiente è potente.



La ragazza non sa gestire la sua nuova situazione.
Così mette il suo cuore al sicuro in una bottiglia. Per il momento, questa sembra la soluzione migliore.

Ancora una volta, Jeffers evoca senza dire: non nomina il lutto, non nomina il dolore, non nomina la paura di affrontare il mondo dopo la perdita.



Con il cuore dentro la bottiglia, la ragazza si sente protetta, ma la sua curiosità e la sua meraviglia sono svanite.
Tutte le cose che prima la emozionavano, ora non smuovono più nulla. È come se tutto si limitasse a "funzionare" in modo meccanico e basta.

Finché un incontro con una bambina (è sua figlia? Oppure l'immagine di lei stessa bambina? Oppure non ci interessa davvero sapere chi sia?) riporta la ragazza di fronte a quello che ha perso, e la voglia di ritrovare la curiosità e la meraviglia si fanno vive.
Ma come fare, se il cuore è ormai chiuso in una bottiglia che non si riesce a rompere?

La soluzione, a volte, è più semplice di quanto sembri: basta usare occhi bambini, e la mano giusta.

Il cuore e la bottiglia lascia molti spazi aperti e molti ruoli indefiniti. È così che la metafora può parlare a tutti, e ognuno può riempire i vuoti nel modo più consono alla propria esperienza, colmando le distanze tra sé e l'albo dando un'identità all'adulto, alla bambina, forse anche alla bottiglia.

È un albo che può piacere anche a un bambino, ma parla pienamente solo a un adulto, che attraverso quel dolore ci è passato, che ha messo in qualche modo il cuore in una bottiglia (isolandosi dal mondo, o anche solo dimenticando la gioia di vivere) e ha poi imparato a elaborare il lutto. O anche, naturalmente, a chi quel percorso lo deve ancora completare.

Come sempre, Jeffers riesce a strappare un sorriso anche nel dolore (come quando la ragazza cerca di prendere il cuore usando delle tenaglie) e a rendere magiche cose altrimenti scontate.
Meravigliosi i dialoghi tra l'adulto e la ragazza, in cui i due linguaggi, quello della scienza e quello della fantasia, si incontrano senza che l'uno abbia il sopravvento sull'altro. Mentre lui racconta le costellazioni, lei immagina che le stelle siano api in fiamme. E non c'è una versione giusta e una sbagliata, soltanto la ricchezza di unire ragione e immaginazione.


Il cuore e la bottiglia Ã¨ un abbraccio sotto forma di libro, un albo da regalare a chi ha subito una perdita e l'ha affrontata, o sta ancora cercando il modo di farlo.

Accompagnandolo magari con un biglietto speciale:

un messaggio in bottiglia


Per crearlo, procuratevi una bottiglietta, meglio se di piccole dimensioni (io ho usato quella di uno shampoo che avevo rubat portato a casa da un hotel).
Aggiungete qualche decorazione (brillantini, cuoricini di carta, sabbia colorata) e un filo per reggere il messaggio.



Scrivete il vostro messaggio su un fumetto piccolissimo con un pennarello a punta fine e incollate il fumetto allo spago.


Infine, fissate lo spago con della colla al collo della bottiglia e chiudete il tappo.


Sarà il primo messaggio in bottiglia che, anziché chiedere aiuto, lo darà.


Credo che i bambini abbiano un recettore particolarmente sviluppato per il colore verde. Non mi spiego in altro modo la precisione chirurgica con cui i miei figli riescono ad indicarmi anche la più microspcopica fogliolina di prezzemolo in qualsiasi preparazione.


Per questo, un albo come Piccolo Asinello verde, della spagnola Anuska Allepuz (Lapis edizioni) ha da subito un effetto comico per il suo contrasto immediato con la propria esperienza personale: Piccolo Asinello, infatti, adora l'erba.
Mangerebbe solo erba da mattina a sera, ne decanta le lodi, si inventa perfino una canzone a tema.


La mamma prova a fargli assaggiare altro, ma non c'è verso (vi ricorda qualcosa?).


Ma ecco che, a furia di mangiare erba in grande quantità, Piccolo Asinello si trasforma. Si guarda in uno specchio d'acqua e si ritrova verde.
Che farà? Innanzitutto, cercherà di nascondere la cosa alla mamma, vergognandosi di aver mangiato così tanta erba; ma le mamme, si sa, si accorgono sempre di tutto.


E poi, finalmente, si deciderà ad assaggiare qualcosa di nuovo, anche se gli esiti non saranno esattamente quelli sperati, portando a un finale dallo spirito comico.

Piccolo Asinello verde Ã¨ un libro "facile", che arriva dritto ai bambini, li coinvolge (impossibile non identificarsi con il protagonista! Io stessa mi sono immaginata mentre mi trasformavo in un'immensa tavoletta di cioccolato), li diverte, senza la pedanteria di una morale che, se c'è (e potrebbe essere qualcosa del tipo "assaggia prima di dire che non ti piace") è ben mascherata e in qualche modo resa "inoffensiva" dal buffo finale.

Un libro tutto da gustare, da cantare, da ridere, in cui al testo semplice e diretto si affiancano illustrazioni tenere e vivaci. Un libro che racconta anche la relatività delle cose, perché qualcosa di verde può essere per qualcuno il cibo più gustoso del mondo.

Anche a casa può essere divertente, di tanto in tanto, giocare con:

cibo e colori


Senza l'intento di mascherare o camuffare le verdure o altri sapori sgraditi, si può semplicemente rendere più sorprendente e diverso dal solito qualche pasto.
Lo avevamo fatto (ricordate?) con Prosciutto e uova verdi, ma in rete si trovano tante altre idee per divertirsi colorando i propri piatti.

Una delle cose più semplici da colorare sono le uova, e quindi sarà piuttosto facile preparare dei bei pancakes nella tinta preferita.
Fonte: refinery29

Oppure, potete aggiungere un tocco di colore al formaggio spalmabile, per creare toast monocromatici, oppure toast arcobaleno, tutti a strisce.
Fonte: sugarandcloth


E anche se l'idea fa un po' impressione, per una volta possiamo mettere da parte la nostra italianità in nome del gioco e colorare addirittura gli spaghetti.
Fonte: kidsactivitiesblog







Certo, a noi non sembreranno molto invitanti, ma sono sicura che i nostri piccoli asinelli verdi li sapranno apprezzare.



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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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