Nuvole in scatola
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I primi giorni di vita di un neonato ci riportano a una dimensione istintiva, animale, in cui il pensiero si allenta e lascia spazio ai sensi.
Quel primo amore è fatto tutto di scambi di sensazioni: il calore di quel corpicino abbandonato sul tuo, il profumo della sua testolina, la morbidezza della sua pelle, un fondersi di due stanchezze che a volte coincidono, a volte si scontrano, e sono strilla da un lato e sbadigli dall'altro.
(Sto scrivendo sotto l'effetto degli sbalzi ormonali da puerperio, si nota molto?)


Sensazioni che forse solo chi ha vissuto può capire. E infatti il libro che meglio le sa interpretare lo ha scritto... un uomo.
Ma dal momento che si tratta di Bruno Tognolini, abilissimo e magico cantastorie di tutto il mondo dell'infanzia, la cosa non dovrebbe stupire.

Mammalingua. Ventuno filastrocche per neonati e per la voce delle mamme esprime perfettamente lo spirito dei primi giorni di vita di un neonato.
Le sue parole hanno l'odore, il sapore, la morbidezza e persino il sonno di quel rapporto mamma-figlio ancora primordiale, animalesco, esclusivo e fortissimo.

Le ventuno filastrocche contenute, una per ogni lettera dell'alfabeto, raccontano questo mondo con dolcezza, ma senza sconti: accanto allo stupore e all'affetto, c'è anche l'esasperazione per i pianti inconsolabili:

Ohi come piangi, e io come faccio
Che non so fare che prenderti in braccio
Cosa ti punge, cosa ti duole
Per farlo smettere cosa ci vuole

Nelle parole di Tognolini, così come nelle delicate illustrazioni di Pia Valentinis, il bambino non è quasi mai un bambino, ma un uccellino, un orsetto, o spesso un pesciolino, mentre la mamma, così gigante e morbida e accogliente, è una balena pronta ad abbracciarlo.

È la dimensione liquida di questo insostutibile rapporto, che passa dal liquido amniotico, impetuoso e travolgente al momento del parto, alla dolcezza calma del latte materno.



Dormi
Dopo onde furiose ed enormi
Pesciolino arenato al mio fianco
Nel lenzuolo di un'isola bianca
Sei venuto dal mare e sei stanco
Son venuta dal mondo, son stanca

Le rime rivestono gli oggetti quotidiani di paesaggi, per delineare un microcosmo che appartiene solo a mamma (e papà) e bambino.
Ritmi e sonorità spaziano, secondo il tema trattato, dalla filastrocca

Ridi ridi pesciolino 
Sopra l'acqua lunamonda
Corri corri cavallino
Quando ridi corre l'onda

all'allitterazione che mima con la lettura la suzione del neonato:

Bocca che beve, becco che batte
Bava di luna, bevi il mio latte

Le pagine si susseguono tutte allo stesso modo: sulla sinistra la lettera dell'alfabeto e la filastrocca, a destra l'illustrazione.
(guest star in foto: la Piccola M nel suo penultimo giorno in pancia, quando stavo per iniziare a scrivere questo post, ma poi...)


È un libro perfetto fin dai primi giorni di vita, quando al bimbo non interessa altro che la voce della mamma, e la mamma, ritrovando le proprie sensazioni tra le rime, saprà dare a quelle parole le sfumature giuste di tono per farle diventare coccola. Il regalo perfetto per una neomamma o una mamma in attesa, che potrà iniziare a raccontare le sue emozioni al pancione.

Mammalingua è un libro a cui sono particolarmente legata, non solo per la sua poesia, ma perché ha accompagnato un momento intenso della mia vita, quando il Piccolo D era ricoverato per bronchiolite, a due mesi e mezzo, e io potevo solo stargli vicino, senza prenderlo in braccio.
Raccontargli quelle filastrocche, prima lette dal libro, poi a memoria, è stato il nostro modo di scambiarci qualche coccola in quei momenti, di trasmettergli quelle carezze che non potevo.

E ora che ricomincia quel mistero e quella magia, Mammalingua è accanto a me e alla Piccola M, ad augurarci buon viaggio.

Non lo so cos'è un figlio
Però so che sei tu.


Una delle differenze sostanziali tra una mamma e un figlio, un gap generazionale assolutamente insormontabile, sta nella capacità di trovare le cose.
Sono certa che avrete visto anche voi i vostri figli perdere mezz'ora a cercare in una stanza qualcosa che voi riuscite a individuare in 30 secondi netti.


In Dov'è Orso? di Jonathan Bentley (Mondadori), la mamma non c'è (non si sa dove sia, ma questo nei libri non ha molta importanza), e quindi il bambino, prima di nanna, deve trovare il suo orso da solo.
In fondo, direte, che ci vorrà mai a trovare un orso?


Infatti, tra le pagine del libro, vediamo spuntare zampe e altri dettagli che innescano un gioco tra il lettore e il protagonista.
Mentre il piccolo continua a chiedersi "Dov'è orso?" e a ipotizzare posti in cui possa essersi nascosto (il testo è qui ridotto all'essenziale, la narrazione si svolge quasi tutta per immagini), viene quasi da urlargli "Ma non lo vedi? È lì, vicino a te!".


Il bimbo lo cerca disperatamente, e l'orso appare sempre, non visto da lui, anche se sembra non voler fare nulla per nascondersi, anzi: lo aiuta nella ricerca.
A volte vediamo le sue zampe reggere una scala, a volte vediamo il suo corpo riflesso allo specchio.


A volte è così grande che ci chiediamo come faccia il protagonista a non vederlo.
Ed è proprio su questo doppio piano che si basa tutto il libro: il protagonista che cerca, il lettore che prova ad aiutarlo. Il gioco diventa esplicito quando il bambino sembra sentire i suggerimenti del lettore e rivolge lo sguardo fuori dalla pagina, dritto davanti a sé, per interpellarlo.
È anche questo il motivo per cui consiglierei il libro dai tre anni in su, nonostante la semplicità della narrazione lo renda adatto già dai due anni: perché il fascino di questa storia semplice, veloce, divertentissima, sta proprio nel cogliere il dialogo implicito tra chi legge e chi vive questa storia.


Il finale? Non è per nulla banale e anzi, rovescia tutto quello che fino a quel momento sembrava scontato, facendoci sorridere ancora una volta.
Geniale, nella sua semplicità.
Non servono mille pagine o mille parole per fare un grande libro.


Quante volte avete sognato di possedere un'isola tutta vostra, sperduta in qualche oceano, lontana dalla civiltà? Avete mai pensato a cosa ci costruireste, o come vorreste che fosse?
Be', spiacente di farvi scendere dalle nuvole (proprio io!), ma devo comunicarvi che il vostro sogno non si realizzerà così facilmente.
In compenso, per voi, potrebbe realizzarlo vostro figlio. Almeno virtualmente, s'intende.


Terra in vista! di di Pieter Gaudesaboos e Brunhilde Borms (Sinnos editore) è un libro-gioco unico nel suo genere, sia per i toni utilizzati, sia per i contenuti.
Il lettore è subito coinvolto in una missione segreta (ai fini del libro non ha alcuna importanza che sia segreta, ma volete mettere il coinvolgimento?): il Consiglio Mondiale dei Paesi lo incarica du scegliere un'isola deserta e popolarla, anzi, inventarla da zero.


Ci sono sette isole a disposizione, ognuna con una caratteristica positiva e una negativa. Il primo passo da fare sarà quindi scegliere la propria.


Seguono diverse missioni (25, per l'esattezza), da compiere rispondendo a crocette, disegnando, compilando questionari, ritagliando e incollando immagini da un grande poster in fondo al libro.


Che bandiera avrà quest'isola? Come saranno le strade? Quali sono le feste nazionali? Quali i piatti tipici che un turista potrà gustarsi?
L'isola è una tabula rasa, un foglio bianco su cui disegnare e costruire, inventando un Paese unico, il proprio.

Tra le missioni, creare la bandiera (dando anche un significato ai suoi elementi e non accostando semplicemente dei colori a piacere), disegnare le strade della capitale (guidati da una legenda che spiega i diversi tipi di strade esistenti).


Ma anche progettare i cartelli stradali, in una logica che unisce regole e fantasia: come nella realtà, ci saranno cartelli di pericolo, di obbligo, ecc, ma obblighi e divieti possono essere tra i più assurdi e disparati, come attraversare con una gamba sola o fare attenzione alle palme volanti.
Perché in fondo il terreno più fertile per l'immaginazione non è mai l'assoluta libertà, ma la libertà entro alcuni binari tracciati.


Ogni missione è un gioco, ma anche una riflessione sulle differenze tra un Paese e l'altro, sulla cultura, la società, le regole, le spiegazioni logiche o l'arbitrarietà dietro a ognuna di esse.

Il bello di Terra in vista! non è soltanto l'interazione, ma l'occasione di vedere cose quotidiane (il cibo, le strade, le feste) con un'occhio nuovo, senza darle per scontate ma interrogandosi su di esse.
È un fantastico supporto per chi viaggia, una chiave di lettura per scoprire e apprezzare le differenze tra i diversi Paesi che si visitano, per apprezzarli con una consapevolezza più piena.

È anche lo spunto per inventare nuovi "territori" nel quotidiano.
In fondo tutti noi viviamo in un'isola chiamata casa, che ha confini segnati e regole diverse dal mondo esterno.

Quale potrebbe essere la segnaletica in casa vostra? Quali gli obblighi, quali le cose a cui fare attenzione, quali i divieti? Inventarli insieme può essere un gioco divertente. Si potranno unire regole vere (non si gioca a palla in sala) ad altre completamente inventate e puramente ludiche.


A casa nostra, bisogna fare attenzione ai mattoncini quando si cammina.


C'è l'obbligo della lettura pre-nanna e del bacino della buonanotte, e bisogna stare molto attenti ai draghi che attraversano il corridoio.


Non che ce ne sia mai capitato uno, ma è importante essere sempre pronti. I draghi, si sa, sono imprevedibili.


Sole di candito, luna caramella.
La vita ha più sapore insieme a una sorella.
(Luna di gelato sole caramello, di Chiara Carminati e Simona Mulazzani; Carthusia)



Benvenuta al mondo, Piccola M.
Un mondo senza istruzioni, ma con qualche buon compagno di viaggio
che non vede l'ora di scoprirlo insieme a te.

Cos'ha di così affascinante il tendone di un circo?
Forse il fatto di nascondere un mondo a cui può accedere solo chi paga il biglietto, forse la promessa di meraviglie mai viste prima, forse il suo essere "a termine", perché si ferma per un po' e poi se ne va.


E non serve che il circo prometta spettacoli in grande quantità. Ne può bastare anche uno solo, se è veramente fuori dal comune. Ad esempio, se dentro il tendone vi aspetta La più straordinaria bestia del mondo.


Il breve romanzo di Guido Sgardoli (Notes edizioni), agile da leggere anche per i primi lettori autonomi che abbiano preso confidenza con testi un po' più lunghi del normale albo, inizia così: con un uomo che arriva di notte nella piazza del paese e allestisce il suo tendone, con tanto di insegna che promette di mostrare, per l'appunto, La più straordinaria bestia del mondo.


La narrazione si dipana in un racconto corale, che tratteggia il microcosmo di paese, con i negozianti, gli artigiani e i diversi personaggi che lo animano e che, uno dopo l'altro, vengono attratti da questa misteriosa creatura.
All'interno del tendone può entrare una sola persona per volta, e anche questa regola ferrea contribuisce ad alimentare la curiosità attorno all'evento.
La protagonista è Miriam, una bambina molto curiosa ma troppo povera per potersi permettere il soldo del biglietto.


Passando tra i concittadini in fila per entrare e quelli che sono appena usciti, Miriam sente le voci e le esperienze sull'aspetto di questa strana bestia. Incredibilmente, sembra che ognuno abbia visto delle cose diverse. Qualcuno dice che ha peli, qualcuno che ha squame, qualcuno è certo di aver visto delle strane orecchie, altri giurano che si tratti di corna.
Come spesso accade, soprattutto tra le "voci di paese", la verità non è mai una sola, e ognuno ne ha una sua versione. Ognuno, nelle cose, vede quello che vuole vedere.

Ma come sarà fatta davvero questa creatura?


Sarà proprio Miriam a scoprirlo, e a capire che la cosa più straordinaria non sempre è l'aspetto, ma il cuore.

La più straordinaria bestia del mondo colpisce per la curiosità che suscita, per il mistero che sottende, ma anche per i siparietti tra i diversi personaggi, per la loro visione diversa di una stessa cosa, per come le caratteristiche dei personaggi si riflettano a volte sul loro modo di vedere "la bestia".

Il lettore non saprà mai, nemmeno alla fine del libro, l'aspetto reale di questa creatura, ma avrà sognato e immaginato, mettendo assieme i pezzi e gli indizi, e formando nella propria testa una sua idea di come possa essere.

Col Piccolo T mi sono divertita a inventare anche una "nostra" bestia, che fosse corale come il libro, in un gioco di disegno e fantasia che abbiamo chiamato

L'inventabestie.

Per giocare, serve un dado.
Un dado da personalizzare con dei simboli ad hoc, da disegnare e incollare sulle sei facce con del nastro biadesivo (proprio come avevo fatto nel mio post precedente).
Ogni simbolo indicherà una parte della bestia da disegnare: corpo, occhi, viso, mani, piedi, bocca.


A turno (si può giocare in due o più) si tira il dado e ognuno disegna la parte del corpo che esce.
Se esce due volte la stessa parte, si può arricchire di particolari ("viso" significa tracciarne la forma, ma anche le orecchie, i capelli, o le corna) o aggiungere qualcosa (ci sono già due occhi? E chi lo dice che non può essercene un terzo?).


Il disegno finisce dopo un certo numero predefinito di lanci oppure quando i giocatori si dichiarano soddisfatti.
Non c'è un vincitore, solo il gusto di creare qualcosa insieme.


Questo il nostro primo risultato.
Oh, be', la "bestia" doveva essere straordinaria, mica bella, giusto?







I libri fanno sognare, viaggiare, imparare. Questo vale per tutti i libri del mondo (vabbe', facciamo che escludiamo Moccia e simili?).
Ma i libri per bambini hanno una magia in più: creano relazione.
Un libro letto insieme al papà o alla mamma è molto più di una storia con delle belle immagini: è una coccola, un momento passato insieme, un modo per conoscersi e per scambiarsi affetto.


E ci sono libri che più di altri rappresentano questa idea di "libro-coccola". Uno tra i miei preferiti è senza dubbio Morsicotti, letto, straletto e consumato dal Piccolo T e dal Piccolo D.

Più protostoria che storia (e perfetto per questo già da un anno di età se non prima), Morsicotti ha come protagonisti un topolino e un bimbo (gli stessi di Cucù. Di chi è questa manina?, sempre di Cri e Ninie e sempre edito da Zoolibri, di cui vi avevo parlato qui).
Il topolino inizia a chiederedere al bimbo cosa succederebbe se lui gli desse un "morsicotto". Ogni volta, il bimbo risponde con dei versi di animali.
"E se ti mordicchio una guancia?"
"Bau! Bau! Abbaio come un cane."


A volte i versi sono casuali, a volte sono legati alla parte del corpo rosicchiata. Così, al morsetto su una mano, il bimbo risponde pizzicando come un granchio, con le manine trasformate in chele, mentre in risposta a un morso sul culetto, be'... fa "Prooot!" come una puzzola!


E di volta in volta, nelle diverse pagine, il bimbo si trasforma nell'animale di cui parla, finché il topo non rinuncia ai suoi morsicotti e dà un bacino al bimbo, che si addormenta.


I motivi per amare Morsicotti e per proporlo ai bimbi sono tanti:
  • le illustrazioni tenere, simpatiche e adatte anche ai più piccoli, con colori e contorni netti e figure di facile comprensione.
  • La struttura ripetitiva (provocazione del topolino - reazione del bimbo, con verso e spiegazione), che rassicura i bambini e li invita ad imparare a memoria il libro e ad anticiparne i passaggi.
  • Le onomatopee, che catturano, coinvolgono e divertono.
  • Gli animali, sempre fonte di grande curiosità per i bambini.
  • Il valore didattico: leggendo, il bimbo impara a conoscere i versi degli animali, ma anche le parti del corpo, e ad acquisire consapevolezza di sé.
Ma il motivo principale, quello che lo rende un libro speciale, è un altro: Morsicotti non è solo un libro (divertentissimo), ma un'occasione per riempire di coccole e solletico il vostro bimbo.


Sì, perché è praticamente d'obbligo, leggendo, rifare al bimbo le stesse cose che gli farebbe il topolino: pizzicottare il nasino, mordicchiare l'orecchio o la pancia, fare solletico sul pancino.
Così il vostro bimbo lo vorrà ascoltare (e voi lo vorrete leggere) non solo per il testo, le immagini e i suoni, ma anche perché ogni lettura si trasformerà in un momento di gioco e contatto con voi.

È uno splendido modo per avvicinare alla lettura anche i bimbi più restii, o i genitori convinti che leggere a un bimbo significhi solo raccontare fiabe con lunghi testi e nessuna interazione. Scopriranno entrambi che leggere è tutt'altro che un'attività statica e noiosa.

E per continuare la coccola anche dopo aver riposto il libro (dopo le consuete duemila letture di seguito), ci siamo ispirati al bimbo e al topolino per creare

i dadi delle coccole


Per prima cosa, abbiamo creato  simboli da mettere sui dadi.
Un dado indica il gesto da fare: bacino, solletico e carezza (ho evitato pizzicotti e morsi nel timore che il gioco degenerasse, o di creare meccanismi che poi potessero essere ripetuti all'asilo con i compagni).
L'altro dado indica la parte del corpo a cui il gesto si rivolge: piedini, pancino, orecchio, viso, manina o gamba (in questo caso ho evitato parti intime come il culetto, proprio per non avallarle come gioco, in un'ottica di prevenzione degli abusi).


Disegnati i simboli su un foglio di carta, li ho applicati con il biadesivo ai dadi.


La cosa più semplice è attaccare la striscia di nastro biadesivo direttamente sul retro della carta per poi ritagliare i dischetti con l'adesivo già applicato.
Ed eccoli pronti. Giocateci come volete: potete tirarli a turno, oppure insieme, e farvi reciprocamente la stessa coccola.
Un dado decide cosa fare, l'altro dove farlo. È un modo divertente per imparare le parti del corpo, ma anche le prime regole di gioco (rispettare il responso del dado, aspettare il proprio turno per tirarlo).


Noi ci abbiamo passato una mezz'oretta a giocarci in tre: io, Piccolo T e Piccolo D.
Solletico sulle gambe!


E... bacino sul pancino.
Anzi, sul pancione.


Ops. Forse c'è qualcosa che ancora non vi avevo detto.  :)


   
Tutti i bambini sono inventori. Basta mettergli in mano un oggetto qualsiasi per vederlo trasformarsi in astronave, castello, sottomarino, casa.
Dev'essere per questo che i personaggi "inventori" hanno una presa così forte su di loro (o vale così solo per me e la mia generazione di piccoli nerd?).


Gli acchiappacattivi ci ha catturato prima di tutto per questo: perché non si può resistere a un gatto che ha costruito una macchina per prendere a calci i cani (o i gatti cattivi).

Ma torniamo all'inizio: Mus, il primo dei due protagonisti, è un topo a cui piace sferruzzare. Crea dei bellissimi berretti di lana, che però non sono molto apprezzati dai suoi amici topi.


Un brutto giorno, Mus incontra il cattivo gatto Kat.



Ma per fortuna, in suo aiuto, interviene Mis, il gatto inventore (un gatto che però non mangia i topi!), con la sua scalciacani.


Mus e Mis, ognuno a suo modo diverso dagli altri esemplari della propria specie, diventano amici, anzi: alleati. Sono gli Acchiappacattivi!
Con il loro ingegno e la loro collaborazione, costruiranno un rifugio che nasconde il laboratorio segreto, dentro al quale sapranno creare un'ingegnosa macchina acchiappacattivi che metteranno subito all'opera.

Con Gli acchiappacattivi di Rasmus Bregnhøi, Sinnos ci regala una nuova "quasi-graphic novel" (come era stato ad esempio per Il ladro di panini di cui vi avevo parlato qui), adattissima per avvicinare al genere i bambini, ma anche per accompagnarli alla lettura autonoma di testi più lunghi di quelli a cui sono abituati, grazie al font ad alta leggibilità e la ricchezza delle immagini che rende leggero il testo.


I dettagli delle illustrazioni sembrano fatti apposta per incuriosire i piccoli inventori, sfidandoli a capire i meccanismi, a ricostruire il percorso di creazione del gatto inventore.
A questo si uniscono un linguaggio semplice ma non piatto, la giusta alternanza di pagine piene o a fondo bianco, pagine con  molto o poco testo, pagine con soli fumetti, con testi descrittivi o entrambi, a rendere più avvincente e movimentata la lettura.


Viene naturale sentirsi parte della "squadra", e magari diventare un po' inventori e provare a costruire una propria versione di

macchina acchiappacattivi.

La nostra, ad esempio, è fatta quasi interamente di Lego.
Dopo vari studi, e ispirandoci al libro, abbiamo cercato di creare un meccanismo che scattasse appena il cattivo lo avesse calpestato.
Serviva quindi una leva, che al suo passaggio facesse attivare qualcosa, ad esempio una biglia, che scivolando su un piano inclinato scorresse poi in avanti per far scattare qualche altro meccanismo (lo vedremo dopo).
Se volete replicarla, guardate bene la figura, facendo attenzione ad alcune cose:
  • meglio fermare le ruote con due pezzi sottili per tenere la leva al suo posto.
  • dal lato della biglia, ho preferito aggiungere un piccolo rialzo, altrimenti la forza del "cattivo" non sarebbe bastata a farla alzare.
  • il piano inclinato, non essendo ortogonale rispetto agli altri Lego, non può essere bloccato, va quindi semplicemente appoggiato, avendo cura di mettere attorno ad esso dei pezzi che lo tengano al suo posto.

E il meccanismo da far scattare? Ho preso un bicchiere di plastica e l'ho tagliato (se ne avete uno da caffè, basterà usare quello), aggiungendo un peso per farlo cadere giù una volta scattato il meccanismo.
Ho legato uno spago sottile al fondo del bicchiere e aggiunto una graffetta aperta all'altra estremità.
L'altro lato della graffetta dovrà avere una piega leggerissima, per permettere al meccanismo di restare agganciato ma anche di sganciarsi facilmente al passare della pallina.


Ora, è necessario aggiungere un sistema a carrucola che tenga sollevata la trappola-bicchiere, agganciandosi, con la piega della graffetta, al bordo finale della trappola.
Passando sulla leva, il cattivo farà andare sul piano inclinato la pallina, che sgancerà la graffetta facendo cadere il bicchiere e intrappolando il cattivo.


Esattamente così:



Non sarebbe bello, se fosse sempre così facile catturare i cattivi?


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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