Nuvole in scatola
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La fase che va suppergiù dall'anno e mezzo ai tre anni, quella dei "toddler", è caratterizzata in fatto di letture da una frase ricorrente: "Ancora!".
Se saprete proporre il libro giusto, adatto all'età, allo sviluppo cognitivo e ai gusti personali di vostro figlio, preparatevi a leggerlo e rileggerlo. E rileggerlo, e rileggerlo, e rileggerlo.


Nella selezione dei libri da proporre, diventa fondamentale, allora, che la scelta ricada su un titolo che piaccia al bimbo, sì, ma anche al genitore che glielo legge, e magari che "guidi" con la sua struttura verso una lettura partecipe, attiva, un po' interattiva (provate voi a leggere una poesia per quattrordici volte di seguito!), che permetta di superare la noia della ripetizione con quel pizzico di pepe in più.

Le mutande di Orso Bianco (edizioni Salani) risponde perfettamente a questi requisiti.
Sullo scaffale, spicca per il suo formato molto sviluppato in altezza e per... la sua bandella a forma di mutanda!

La storia, nata dal team creativo Tupera Tupera, è semplice e ricorsiva, adatta a un pubblico di piccoli, arricchita da sorprese, variazioni e momenti di ilarità. D'altra parte, impossibile non ridere quando il tema sono le mutande!



Dunque: Orso bianco non trova più le sue mutande, e un topolino lo aiuta a cercarle.
Pagina dopo pagina, gli fa vedere mutande di diversa foggia, colore e dimensione. Nessuna di queste, però, è la mutanda di Orso bianco.


In un meccanismo di "gira e scopri" e di fori nelle pagine, il bambino è coinvolto a ogni mutanda in un indovinello: attraverso una finestrella, la pagina fa vedere le mutande della pagina successiva, sfidando chi ascolta a indovinare di chi sono.

A chi apparterranno queste piccolissime mutande floreali? Dev'essere un animale piccolo, che ama particolarmente i fiori.
Girando pagina, scopriamo che si tratta di una simpatica farfalla.


Ci sono mutande a strisce, mutande con messaggi ambigui, mutande usate al contrario e infilate in testa.
Ogni volta un indovinello, ogni volta una risata, fino alla sorpresa finale: insomma, dove sono finite le mutande di orso bianco?

Oltre ad essere particolarmente coinvolgente e divertente, Le mutande di Orso Bianco aiuta a sviluppare la logica delle associazioni, del prima e del dopo e dei simboli attraverso un meccanismo di gioco.
Un gioco che può essere portato al di fuori delle pagine, preparando mutande di carta per i vari pupazzi di casa.


Basta ritagliare una semplice forma di carta da ripiegare poi sul pupazzo e fissare con un po' di nastro adesivo.
E poi, inventare il disegno perfetto per ogni mutanda e per ogni animale.


Le mutande del bruco potranno rappresentare la sua voglia di diventare farfalla, quelle dell'ape un alveare, la coccinella avrà mutande a pallini e la tartaruga? Un limite di velocità, naturalmente bassissimo.


Secondo l'età del bambino, il gioco potrà consistere semplicemente nell'abbinamento tra mutande e animaletti, oppure nella "caccia al padrone delle mutande", girando per casa. Ai più grandicelli potrà essere proposto di disegnare loro stessi la mutanda perfetta per ogni proprietario, immaginario o reale che sia (chissà che mutande disegneranno per mamma e papà!).


Un bacio "soffiato" da un bambino può fare tante cose.
Fa giravolte davanti al viso e si posa proprio dove lui voleva. Può essere acchiappato al volo e anche rispedito, facendolo volare ancora più lontano.


Nel loro Un bacio in viaggio, Manuela Monari ed Evelyn Daviddi (ed. Zoolibri) raccontano la storia di un bacino, spedito lontano da una bambina.


Il testo accompagna poeticamente il viaggio di questo bacio.
Ho spedito qualcosa.
Come una lettera nella buca dell’ufficio postale.
Come un piccione viaggiatore.
Come un telegramma dettato al telefono.
Come un bigliettino passato di nascosto.


Il bacio arriva a destinazione, dalla nonna, ma non si ferma, perché la nonna lo passa al nonno che sta per partire, e così il bacio continua il suo viaggio, attraversa luoghi diversi, reali e immaginati, e diversi tipi di amore, da quello romantico a quello materno, passando anche per l'affetto tra una padrona e il suo cane.




Nelle illustrazioni di Evelyn Daviddi, il "bacio" non ha la classica icona dell'impronta delle labbra: è una sfera dai colori mutevoli, ma sempre vivaci. È qualcosa di materico ed evocativo al tempo stesso, e viaggiando colora e illumina i luoghi sui quali passa.


Perché un bacio è una forza universale, che rende più bello il mondo.

Ma ci si può allenare a "soffiare un bacino"?
In 5 minuti, io e il Piccolo T ci siamo inventato un gioco semplice e tenero. Un po' di rossetto, un foglio di carta e un paio di forbici per ritagliare i "bacini", e una piccola ciotola dove soffiarli.


Si posa il bacio sulle dita e con un soffio si prova a fare più centri possibile.


Cosa si vince? Un bacio, naturalmente. Così alla fine nessuno dei due giocatori ha davvero perso.

Se pensate a un libro di anatomia umana, che sensazioni vi vengono in mente? Probabilmente curiosità, interesse, rigore, forse anche un po' di noia.
Ma lo avete mai trovato un libro di anatomia che vi incantasse con le sue immagini? E uno che vi facesse ridere?


Eppure è proprio questo quello che succede quando si mettono insieme due autori, entrambi Premio Andersen, come Gek Tessaro e Andrea Valente. Da questa unione scoppiettante è nato Dalla testa ai piedi. Sopra sotto dentro fuori il corpo umano, un insolito "manuale di anatomia" di Editoriale Scienza, che fonde arte, scienza e humour.


Dalla testa ai piedi è suddiviso in sette sezioni, ognuna delle quali affronta un diverso aspetto del corpo umano. Che si tratti di un libro insolito è evidente già dal titolo di questi capitoli: " Con la testa sulle spalle", "Lo scheletro nell’armadio" e così via.


Sorprende la scrittura vivace e frizzante di Andrea Valente, precisa e rigorosa nei dettagli e nelle spiegazioni ma allo stesso tempo alla continua ricerca di farsi complice e strizzare l'occhio a chi legge.
E poi ci sono loro, le illustrazioni di Gek Tessaro, collage coloratissimi dai contorni apparentemente grossolani, che riescono a dare espressività anche alla sezione di una testa (con un occhio che guarda giù, verso la sua gola portata alla luce del sole), o a uno scheletro, che sembra perplesso di essere rimasto così, solo ossa.


È come se ogni spiegazione scientifica fosse accompagnata da una piccola opera d'arte, che aggiunge l'incanto dell'occhio a quello della scoperta.
In ogni pagina o quasi, alla parte divulgativa "anatomica" si aggiunge qualche curiosità linguistica, che racconta e spiega, sempre in toni leggeri e spesso scherzosi, tutti i modi di dire legati a quella parte del corpo.


Non manca il capitolo "Anche dentro le mutande", che con rigore e semplicità parla di vulva, pene e... sedere.


Dalla testa ai piedi è insomma un manuale che è anche un racconto, che è anche un incanto per gli occhi.
Le immagini materiche di Gek Tessaro si fanno vive sulle pagine; viene voglia di ritagliarle, di ricostruirle, di giocarci. Viene voglia di fare un collage, o un puzzle, magari preparando tanti pezzetti di carta colorata con la forma dei vari organi e ricostruendoli nel modo giusto.




Potete farlo con lo scheletro, ad esempio, ricalcando direttamente le immagini del libro o scaricando il mio pdf stampabile.


Un colpo di forbici, qualche fermacampioni, e siamo pronti per parlare in modo divertente di cranio, cassa toracica, tibia e perone.


Oppure per decorare la casa in vista di Halloween. Un po' presto, dite?


 
Qual è la prima cosa che vi viene in mente se vi dico "fenicottero"? La prima dopo tutti i vari accessori-moda degli ultimi anni, intendo.
Probabilmente il suo colore rosa.


Nelle illustrazioni di Marije Tolman certamente il rosa è un elemento fondamentale: è l'identità del protagonista che spicca in ogni pagina, qualunque cosa accada.
Sì, perché Felicottero (testo di  Kim Crabbels, edizioni Sinnos) è prima di tutto la storia di un personaggio e di come evolve restando se stesso.

Felicottero parla di disabilità, ma lo fa senza retorica, e mettendoci a volte un po' di poesia:
A Fenicottero manca una zampa,

e alla zampa manca Fenicottero.


Fenicottero era un campione acclamato in moltissime discipline (come i trampoli: in fondo, è un trampoliere!), sempre con un grande seguito di amici ad incitarlo.


Poi un brutto un giorno, in seguito a una caduta, perde una gamba. Fenicottero resta solo, una macchia rosa desolata in un fondo deserto, tra palme che piegano i rami come lui piega la testa, intristito.


Sarà un millepiedi (proprio lui, che di zampe ne ha fin troppe!) a spiegargli, anzi, a dimostrargli senza parole ma con una certa arguzia, che può ancora farcela, che è ancora il campione di una volta, che basta solo cambiare prospettiva, e volare.

Sarà sempre lui a richiamare attorno al fenicottero coloro che lo avevano abbandonato, perché a Fenicottero manca una zampa, ma più di ogni altra cosa, mancano i suoi amici.


Fenicottero riprende a volare, diventa Felicottero, e in questa storia ci insegna, a volte in modo esplicito, a volte lasciandolo intuire, tante cose sulla disabilità.
Ad esempio, che la vera differenza non la fanno le tue capacità, ma lo sguardo e soprattutto la vicinanza delle persone attorno a te.
Oppure, che non è un'abilità in più o in meno a cambiare ciò che sei: Fenicottero resta sempre del suo rosa sgargiante, deve solo ritrovare il suo coraggio di andare avanti. E in fondo, da prima, non è cambiato poi molto: non è un caso, credo, che per raccontare questa storia (ispirata peraltro all'atleta paralimpico Marc Herremans) sia stato scelto un uccello che già normalmente vediamo poggiarsi su una zampa sola, come se l'altra non esistesse.

Felicottero è un racconto mai patetico, alleggerito da un testo ironico e dalle immagini colorate, perché così dovrebbe essere la nostra visione della diversità: semplicemente come un colore tra tanti nel nostro mondo.

E voi, lo volete costruire un Felicottero?
Probabilmente sapete già fare (o lo avrete vsto da qualche amico) un "elicottero" partendo da un rettangolo di carta.


Basta fare qualche piccola modifica, e inserire un collo e un becco tra le due eliche (ops, ali), per trasformare l'elicottero in Felicottero. Nel mio pdf stampabile troverete la traccia di entrambe le versioni: quella classica e quella "glamour" (vanno ancora di moda i fenicotteri?).


Basta ritagliare lungo le linee continue e piegare lungo le linee tratteggiate. Il piede del fenicottero, una volta ripiegati i due lembi, uno da un lato e uno dall'altro, va ripiegato su se stesso e bloccato con un fermaglio che servirà anche come peso per dargli la giusta direzione di volo.
Le ali vanno piegate una da un lato e una dall'altro, lasciando dritta la testa.


Ora non basta che scagliarlo lontano da sé, leggermente verso l'alto, per vederlo scendere ruotando le ali come un elicottero.


Come Felicottero insegna, è tutta una questione di buttarsi e lasciarsi andare.


Quando in copertina leggo i nomi di Michaël Escoffier e Matthieu Maudet, so già che ho davanti un libro imperdibile.


A taaavola! (ed. Babalibri, come tutta la serie "Buongiorno...", tra cui Buongiorno dottore di cui avevo parlato qui) non delude certo le aspettative.

La situazione descritta la conoscete bene, ne sono certa: la mamma che mette in tavola la minestra, il bimbo che si rifiuta di mangiarla.


La mamma insiste perché almeno la assaggi, ma il bimbo se ne esce con le solite scuse.


È allora che la mamma perde la pazienza e passa alle minacce:
"Se non mangi, sarà il lupo a mangiare te"
E siccome non siamo nella cucina di molte di noi, ma nella fantasia straripante di Escoffier e Maudet, al richiamo della mamma il lupo arriva davvero!

Peccato che anche lui si metta a fare i capricci. I bambini non gli piacciono.
Ma la mamma è sempre la mamma, e neanche dal lupo accetta un "non mi piace" senza nemmeno un assaggio.


Il lupo replica lo stesso copione del bimbo, con le stesse parole.


Che fare? Ovvio: per mettere a tacere il lupo con i suoi capricci, si chiama un orco che mangi il lupo!
E il finale? A sorpresa (eppure, in un certo senso e per quanto possibile in questo assurdo contesto, vero e "credibile"), di quelli a cui Escoffier e Maudet ci hanno abituato.

Scoppiettante, irresistibile, semplicissimo nelle sue 36 pagine con pochissimo testo e grandi immagini, A taaavola! si presta ad essere letto ad alta voce, nella sua comicità teatrale, ma anche ad essere imparato a memoria dai bimbi e sfogliato in autonomia grazie alle pagine cartonate.

Un "must have" che ironizza su capricci, minacce, punizioni e sui bambini che dicono "non mi piace" senza assaggiare.

Ma senza chiamare in soccorso il lupo, c'è un modo per rendere le minestre un po' più accattivanti agli occhi dei bambini?
A volte un bimbo si rifiuta di assaggiare un piatto solo per l'aspetto o il colore poco rassicurante ("Cos'è quella cosa verde, mamma?"). Una carrellata su Pinterest con la chiave "food art for kids" può dare molti spunti per rendere divertente e appetibile anche una semplice minestra.

I giapponesi creano delle sculture incredibili con delle palline di riso: orsetti e cani che fanno il bagno nella zuppa, omini che sembrano a mollo nella vasca da bagno, addirittura personaggi come Snoopy, con tanto di muso e corpo.
Senza diventare necessariamente artisti del basmati, però, potete usare una semplice formina a semisfera e con un pezzetto di carota creare il becco di una simpatica paperella.
(fonte).
Se ve la cavate col disegno più che con la "scultura", armatevi di siringa o sac à poche.


Potete divertirvi a disegnare una faccia, un oggetto o un'intera scenetta sulla superficie di una passata colorata usando della panna o della panna acida.

(fonte)
Qualcosa di più semplice?

Disegnate occhi e bocca alla vostra minestra con delle formine ritagliate nella mozzarella.

(fonte)

Oppure:

Se usate delle ciotoline piccole, "uscite" con la vostra creazione dai limiti della minestra creando delle orecchie-crostino.

(fonte).

Infine: perché limitarsi a decorare un piatto, se il piatto può diventare anche un gioco?

Create dei crostini-pesciolini e sfidate i bambini a pescarli con il cucchiaio!
Probabilmente abboccheranno. ;)


Le temperature sono improvvisamente salite, le maniche si sono accorciate e l'erba in giardino allungata (è ora di tagliarla!). Quale momento migliore per... un libro sull'autunno?

Con uno strano tempismo, Zoolibri ha da poco ristampato un libro amatissimo, Il domatore di foglie di Pina Irace e Maria Moy.

È arrivato l'autunno (nell'albo, intendo), le foglie si sono fatte marroni e secche, ma... non si staccano dagli alberi.
Manca lui (è scomparso!): il Domatore di foglie.

Lui che, con la bacchetta da domatore, insegna alle foglie i volteggi, le piroette, gli svolazzi, le salite, le discese, i mulinelli, le danze, i prilli, le giravolte, le planate e le cadute.


Come una squadra rimasta improvvisamente senza allenatore, le foglie non sanno come muoversi, e si rifiutano di staccarsi dai rami. Gli alberi iniziano ad essere stanchi.


Finché una sola, piccola fogliolina ambiziosa, decide di spiccare il volo – letteralmente – da sola.


Le immagini di Maria Moya ci regalano degli umani oservatori e una natura incredibilmente espressiva: è lei. indubbiamente, la protagonista, quella con più carattere.
Il modo in cui gli alberi si piegano o le foglie volteggiano è già un racconto.

Le parole di Pina Irace incantano con un lessico semplice, senza troppi ricami: è il contenuto, la storia ad essere poesia, senza sovrastrutture lessicali.


Il domatore di foglie, nella sua atmosfera magica, si consente anche qualche piccolo intermezzo ironico, e il finale stesso lo è, e strappa un sorriso nel raccontarci dov'era finito questo incredibile personaggio.

Sì, la natura può raccontare ed esprimere tante storie, e la primavera è il momento ideale per rappresentarle tutte, con i materiali che ci offre.
Con i vostri bambini, potete provare a raffigurare le stagioni partendo soltanto da quello che potete trovare in giardino (e un cartone, e un po' di colla).


Quattro legnetti un po' ramificati saranno gli alberi di partenza.
Su di essi, si possono incollare fiori per far sbocciare la primavera, foglioline verdi estive, qualche foglia secca (in qualche angolo ne troverete certamente ancora qualcuna) per l'autunno.

E la neve invernale?


Se osservate bene, troverete qualcosa di morbido e bianco per rappresentare anche lei.


Potete così dipingere senza pennelli né colori, solo osservando, raccogliendo e incollando.
Mi raccomando: alla fine, fotografate la vostra opera d'arte, perché non durerà a lungo: meno ancora di quanto durano ormai le mezze stagioni.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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