Nuvole in scatola
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Non ho mai sopportato le domande del tipo "se tu fossi un colore, cosa saresti?".
Come ci si fa a identificare in un colore solo? A meno che la domanda non venga fatta a un pastello a cera, naturalmente.
Eppure anche in questo caso, la risposta non è sempre scontata come sembra.


Rosso è un pastello rosso, appunto. O almeno, così c'è scritto sulla sua etichetta.
Perché in realtà, quando si cimenta nel colorare qualcosa di rosso, non gli riesce poi tanto bene.


E a differenza dei suoi compagni di scatola, che fanno sempre esattamente quel che ci si aspetta da loro, Rosso sembra proprio non riuscirci mai.


Come succede sempre in questi casi, tutti hanno qualcosa da dire: ognuno di quei pastelli così perfettamente inquadrati nel proprio ruolo ha la sua interpretazione, magari velata dall'ombra di un giudizio.


C'è anche chi prova ad aiutarlo, come Matita, che poi è la voce narrante del libro.
Il fatto è che Rosso non ha "un problema": semplicemente ha addosso l'etichetta sbagliata. E per fortuna riuscirà a scoprirlo.




Rosso Ã¨ un Brutto anatroccolo moderno (ma in fondo senza tempo), metafora di tante situazioni che ritroviamo nel nostro quotidiano.
L'etichetta sbagliata appiccicata addosso a qualcuno può rovinare tutto e a volte, per stare bene, basta solo accettare di essere diversi da quello che gli altri si aspettano.

Pregiudizi, diversità, autostima, identità: sono temi profondi, attualissimi, seri. Eppure Michael Hall riesce ad affrontarli con leggerezza e semplicità, costruendo una storia divertente e coinvolgente, che però non si ferma alla superficie.

Ho voluto mettere alla prova il Piccolo T con un disegno (lo so: non ho una carriera da illustratrice davanti a me). Guardando i colori, doveva doveva appiccicare la giusta etichetta a ogni pastello, trovando la sua vera identità.


È un gioco che si può fare anche al contrario, partendo dalle etichette per colorare un disegno seguendo le scritte e non i colori. Un'attività che aiuta a riflettere, ad andare oltre le apparenze. Come Rosso.

Rosso. Una storia raccontata da Matita
Autore: Michael Hall
Anno di pubblicazione: 2016
Editrice Il Castoro
40 pagg, copertina rigida



Tutti i bambini sono degli inventori. Ogni giorno inventano navicelle spaziali, ricette dai gusti improbabili, nuove tecniche di salto sul materasso di mamma e papà.
Scoprire cosa c'è dietro le cose, per molti di loro, è più di una semplice curiosità: è voglia di replicare quello stesso meccanismo in una loro creazione.


Una piccola grande invenzione parla a bambini come questi: bambini come ero io, bambini come il Piccolo T, bambini cresciuti come il suo autore Anti Saar, che scrive libri per bambini ma costruisce anche flipper fai-da-te (li trovate qui).

Lo fa in una forma che è a metà tra il saggio e il romanzo: è il vero e proprio racconto di un'invenzione.

Una piccola grande invenzione (edito da Sinnos) racconta la storia di Ugo Piolo, l'inventore della molletta da bucato. In realtà non è chiaro se il vero inventore fosse proprio lui: il libro stesso ammette che di Ugo Piolo non c'è traccia sui libri di storia, anche se attribuisce la cosa a un errore di attribuzione, un po' come avvenne tra Meucci e Bell per il telefono.

Il tono di voce è leggero e curioso, ricco di trovate spiritose, ma mai fine a se stesse.
La narrazione, anche nei punti più umoristici, porta piccoli insegnamenti su come funzionano le invenzioni.

Il signor Bartalotti, ad esempio, aveva inventato degli scarponi che si consumano da soli senza utilizzarli, ma non ebbe mai molto successo.

La storia continua con Vincenzo Piolo, figlio di Ugo, che migliora l'invenzione del padre aggiungendo una molla.
Ma la storia della molletta, lo avrete capito, è solo un espediente per parlare di creatività, di soluzioni, ma anche di mercato (un'invenzione funziona solo se viene commercializzata e fatta conoscere, altrimenti muore).



Infine, la storia fa riflettere su come anche dietro gli oggetti più semplici e scontati ci sia un pensiero, un'idea.
Una molletta, nella sua semplicità, è una piccola opera di ingegneria. E può crearne di nuove.

Avete mai pensato a usare le mollette come elementi di una costruzione?
Se ci pensate, hanno due caratteristiche che le rendono perfette: stanno in piedi da sole, appoggiate sulle proprie "code", e possono tenere fermi degli elementi (che poi è il motivo per cui Ugo Piolo o chi per lui le ha inventate).



Basterà quindi aggiungere qualche stecchino da gelato (o da ceretta, o abbassalingua) e il gioco è fatto.
Si procede creando strutture base composte da due mollette e uno stecco.

Su queste strutture, accoppiate, si può appoggiare un altro stecco per proseguire la costruzione in altezza.



Si possono costruire grattacieli, con la stessa logica dei castelli di carta.
O anche semplici sedie.


Certo, bisognerà inventarsi un cuscino, o la nostra sedia farà la fine degli scarponi di Bartalotti.


 
A scuola non ho mai amato particolarmente la storia, ma le storie, quelle sì, mi hanno sempre appassionato. L'uomo è fatto per ascoltare storie, e le storie sono il nostro filtro per leggere il mondo.
Credo che una storia sia anche il modo più giusto per raccontare la shoah ai propri figli.
Non "la" storia, fredda, impersonale, ma il racconto di un vissuto, di un'esperienza, di un frammento di vita che in quella storia ci è passato attraverso.



Il violino di Auschwitz Ã¨ una storia terribile, una storia bellissima, una storia vera.

È un violino a raccontarla, parlando in prima persona.
Acquistato da un padre per la figlia Eva Maria, detta Cicci, finisce con lei ad Auschwitz, dove per un po' le permette di vivere una condizione migliore rispetto a quella degli altri deportati, perché la ragazza, grazie alle sue capacità di musicista, entra a far parte dell'orchestra che suona per le SS.

Il violino racconta la sua storia con parole semplici, adatte anche a bambini. Senza troppe introspezioni, metafore o riflessioni. In fondo, è solo un violino.

C'è solo un punto in cui la narrazione si lascia scivolare su un piano più astratto, ed è quando la storia (quella di Cicci e del suo violino) incontra per la prima volta la Storia.
È anche l'unico punto in cui le immagini non si limitano ad aggiungere espressività al racconto, ma lo completano.

Il testo non dice nulla, allude. È il titolo del giornale disegnato a spiegare.
E per l'adulto che legge è un pugno nello stomaco.

Per il bambino che ascolta, invece (perché credo che, soprattutto per i bimbi che per la prima volta si approcciano a questo tema, sia doverosa una lettura mediata dall'adulto), è il momento di fare domande, e di capire cosa stava succedendo, ma solo attraverso la voce di mamma o papà.

Anna Lavatelli ha ricostruito i fatti senza cedere troppo agli elementi romanzeschi, se non forse in alcuni dialoghi iniziali. Ma sono dettagli che passano, di fronte all'intensità di una storia che non ha bisogno di fronzoli per colpire dritta al cuore.

Le illustrazioni di Cinzia Ghigliano dicono tutto ciò che le parole non hanno potuto fare, per non cedere alla retorica.
Ci mostrano Eva Maria felice come una ragazzina con il suo violino nuovo in mano.

Ce la fanno vedere improvvisamente più adulta di fronte alla scelta della fuga per salvarsi.

E la mostrano infine privata di ogni età, e di molta della sua umanità, accanto al filo spinato del campo di concentramento, per poi farle ritrovare luce, bellezza e passione soltanto nel momento in cui si lascia andare al suono del suo strumento.


C'è anche il fratello di Eva Maria, in questa storia, e un biglietto con su scritto "La musica rende liberi". C'è la speranza, e c'è la tragedia.

Il violino di Auschwitz è esistito davvero, e la sua storia è arrivata a noi grazie al racconto dei sopravvissuti e al cuore del collezionista che lo ha comprato, una volta tornato in Italia. 
Le ultime pagine del libro riportano brevemente i fatti documentati, il destino dei protagonisti, la ricostruzione dell'accaduto.
Ho pianto, leggendo questo libro.
Penso che aspetterò ancora qualche tempo, prima di parlare di shoa al Piccolo T, ma quando sarà il momento, credo sarà da qui che inizierò.

PS: Non ho potuto farne a meno: ho cercato in rete notizie sui protagonisti di questa storia.
Ho trovato anche una foto: Eva Maria era bellissima. 
Un po' più adulta di come l'avevo immaginata. Nella foto guardava lontano.

Il violino di Auschwitz 
Autore: Anna Lavatelli
Illustratore: Cinzia Ghigliano
Edizioni Le rane di Interlinea
86 pagg.
Anno di pubblicazione: 2018


Una cosa che i libri – tutti i libri – insegnano, è l'importanza di sognare.  Non importa se si tratta di un sogno grande o piccolo, realizzabile o irrealizzabile: sognare ci rende unici e ci tiene vivi.
E il bello è che tutti possono farlo. Anche un sasso.

Ce lo racconta Petra, albo curioso e leggero di Marianna Coppo per edizioni Lapis.
Petra è una montagna.
Fiera e un po' vanitosa, si racconta, guardando in faccia il lettore.

La sua fantasia disegna attorno a lei corone, mantelli, paesi e microcosmi.

Finché a un certo punto... ops.
Il cambio di prospettiva ci fa vedere le cose in modo un po' diverso. Petra non è una montagna, è solo un sasso.
"Solo"? No, Petra non lo accetta. Lei sogna più in grande.

E allora si immagina uovo, e poi isola, e anche se ogni volta c'è qualcuno o qualcosa che la riporta con i piedi (o meglio, la pietra) per terra, lei non si arrende, e continua a sognare, finché una ragazzina, con un semplice pennello, la aiuterà a trovare la sua strada, trasformandola.



È la fantasia a mutare Petra in qualcos'altro, così come era stata la fantasia a farla sognare.
Basta un po' di colore e anche un sasso può diventare ogni giorno qualcosa di diverso.

Petra è una storia leggera, che fa sorridere. Il candore di questo piccolo sasso sognatore emerge dai suoi tratti semplici e dalle immagini pulite, elementari.
L'azione si svolge in poche pagine in cui il lettore, prima incantato, si trova a ridere un po' della piccola Petra e poi a fare il tifo per lei, perché trovi la sua strada.
Il linguaggio è diretto, con qualche gioco di parole di troppo (la citazione "nessun uovo è un'isola" strizza l'occhio a un pubblico adulto ma non viene colta dai bambini), ma efficace nel raccontare la storia senza tediare mai.

Come spesso accade, sono le storie più semplici a portare con sé i messaggi più profondi. Petra ci insegna ancora una volta che le cose possono apparire diverse secondo la prospettiva con cui le guardi, ma anche che i sogni sono alla portata di tutti, solo che a volte non basta inseguirli per raggiungerli: bisogna saper cambiare strada e punto di vista.

In onore della piccola Petra, abbiamo voluto realizzare i sogni di qualche sasso, armandoci di pennelli e colori e cimentandoci in uno dei giochi più belli di sempre. Un gioco che inizia da una passeggiata nella natura, alla ricerca di pietre che non vogliono essere semplici pietre.

Il Piccolo T ha scelto un sasso lungo e uno rotondo.


Ha detto che sognavano di diventare un pinguino e una coccinella.


Il mio sasso, invece, sognava di diventare protagonista di un libro. Potevo forse non accontentarlo?







Petra
Autore: Marianna Coppo
edizioni Lapis
20 pagine, rilegato
Prima pubblicazione: 2016

Lasciare un pennarello in mano al Piccolo D significa ritrovarsi in poco tempo originali graffiti su qualche parete e sulla maggior parte dei giocattoli.
È difficile insegnare a un bambino il senso del confine, quando si tratta di esprimersi e sperimentare.

L'elefante pittore di Hey Jin Go (edito in Italia da Sinnos) è un po' così: come un bambino che non conosce ancora bene le regole su dove si può disegnare e dove no. Così inizia a dipingere sui muri.


Naturalmente ai proprietari di questi muri la cosa non sta bene, e l'elefante è dispiaciuto. Come un bambino, semplicemente non si era reso conto che questo non si potesse fare.

Gli animali non sono arrabbiati, capiscono la sua esigenza e gli procurano dei fogli.


Ma i fogli sono sempre troppo piccoli, o troppo stretti, o della forma sbagliata. È un elefante, lui: ha bisogno di spazio!

Ancora una volta, l'altruismo, la resilienza e la collaborazione fanno nascere l'idea vincente: gli animali uniscono i loro fogli e ne ricavano uno a dimensione elefante, perfetto per la sua opera d'arte, che farà felici tutti i protagonisti.



Insomma: se i "bordi" non bastano, a volte, basta allargarli.

La storia, semplicissima e con una struttura ripetitiva che cattura i bambini, nasconde in modo giocoso tanti insegnamenti, che passano soprattutto dal "clima" che si respira nella storia: sorridente, amichevole, positivo. I protagonisti, senza perdersi d'animo, imparano a superare le difficoltà anziché lasciarsi sopraffare da esse.

Perfetto dai 2-3 anni, può anche essere adatto a una prima lettura autonoma, perché scritto con font ad alta leggibilità in stampatello maiuscolo.

Quando l'ho letto, ho subito pensato a tutti i ritagli di carta rimasti dai miei diversi progetti.


Certo, da un  materiale così è difficile ricavare un foglio "a misura di elefante" perfetto e regolare come quello della storia.

Ma come i protagonisti del libro, ho provato a cercare una soluzione oltre i confini del foglio: e se fossero i pezzi di foglio stessi a creare un disegno?
Basta qualche pezzo di nastro adesivo e da una serie di ritagli informi può nascere qualsiasi cosa, anche l'elefante della storia.


E la sfida continua: attaccando dei pezzetti un po' a caso, che disegno ci suggerisce la fantasia?


Le curve del foglio possono diventare onde del mare, su cui naviga una barca illuminata dalla luce di un faro.



In fondo l'arte è questo: restare dentro i bordi, e riuscire ugualmente a uscire dagli schemi.


Viviamo in un mondo in cui ogni forma di comunicazione, dalle frasi di un'intervista agli spot pubblicitari, viene passata sotto la lente d'ingrandimento del politically correct, alla ricerca spasmodica di qualcosa che non va. E se si parla di (ai) bambini, il fenomeno assume propozioni smisurate.
Manca ormai quella sana spensieratezza con cui si sono sempre accettate le storie per quello che sono: delle creazioni della fantasia, che non dovrebbero perciò subire processi o sottostare alle leggi vigenti.


L'aspetto che più ho apprezzato di Il cavallino ammaestrato, da poco uscito in Italia per Le Rane di Interlinea, è proprio questo: ritrovare il gusto di una storia senza regole bacchettone e ipercorrette.
Dentro ci sono animali usati come protagonisti di spettacoli, e addirittura venduti all'asta, e bambini in età scolare che vengono mandati da soli in città a cercare lavoro.
Sembra una storia d'altri tempi, e infatti lo è. John Yeoman l'ha scritta, e Quentin Blake (famoso e premiatissimo illustratore di tanti libri di Roald Dahl) l'ha illustrata, nel 1977.


Il cavallino ammaestrato è la storia di Vicky e Bertie Priddy, due gemelli mandati dai genitori a comprare un cavallo che li possa portare a scuola.

"Non spendete più di due ghinee"
raccomanda il papà, regalando subito un gusto vintage alla storia.
Al mercato, i gemelli Priddy restano ammaliati da un cavallino ammaestrato bianco a pois, che ricorda tanto quello di Pippi Calzelunghe.


È un cavallino piccolo (troppo piccolo per portarli a scuola), ma estremamente intelligente, che fa operazioni di matematica e conosce la geografia.
Così intelligente che ho passato la prima lettura aspettando il colpo di scena che mi mostrasse l'umano nascosto sotto la pelliccia di cavallo. E invece no: il libro è del 1977, e nel 1977 i colpi di scena non erano necessari per creare una buona storia. Bastava una buona storia e basta.

E la storia prosegue con tanti ingredienti di quelli che non si trovano più: la crisi che costringe i genitori a mandare lontano i figli a cercare fortuna (perché lo sappiamo bene: i genitori sono sempre di troppo nelle storie per ragazzi), una compagnia teatrale che ingaggia i gemelli, la regina che li chiama a Buckingham Palace, attratta dalla fama di questo simpatico cavallino.


Il cavallino ride, con tutto il suo candore, per tutta la durata della storia, e sorridono quasi sempre anche i gemelli Priddy, contenti di affrontare un'avventura che ai grandi, forse, sarebbe preclusa.

Mentre le parole tracciano un racconto semplice e senza ribaltamenti, ma ricco di azioni e avventura, la matita di Quentin Blake tratteggia scenari ricchi di fascino, facendoci passare dalla vegetazione rigogliosa della campagna al calore di un grande camino, dalla fredda ma accogliente città con le sue botteghe al caos colorato e creativo del palcoscenico.
Nonostante la povertà, il viaggio da soli e le disavventure, le immagini descrivono un'atmosfera sempre rassicurante: il cavallino e i gemelli stanno bene, non si sentono soli, né impauriti,  né sfruttati.

È la magia delle storie di una volta: quelle in cui bastava un po' di fantasia.

E se sognate anche voi un cavallino ammaestrato, avete tre possiblità: sorridere insieme a quello del libro, usare la fantasia (immaginandolo e basta), oppure costruirvene uno.

Nel mio pdf stampabile lo troverete già in due dimensioni diverse, per mani grandi e piccole.


Basterà aggiungere del cartoncino, incollare e ritagliare, facendo i buchi per le dita, anzi, per le zampe.


Il vostro cavallino ammaestrato personale è pronto a eseguire ogni vostro comando.
"Chi vuole essere un bravo cavallino ammaestrato?"
Ecco, visto? Ha alzato la zampa lui.


Venghino, siore e siori! 


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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