Nuvole in scatola
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Non tossire in faccia a tuo fratello!
Non dargli i bacini sulle manine, ché poi le mette in bocca!
Lavati le mani prima di accarezzarlo!
Sono sempre stata dell'idea che i bambini debbano farsi anticorpi e non vivere sotto una campana di vetro, ma di fronte al Piccolo D, nato prematuro e poi ricoverato per una brutta bronchiolite, ho dovuto rivedere un po' la mia filosofia di vita: anticorpi liberi sì, ma aspettiamo di passare almeno i primi mesi di vita.

Ma come spiegarlo al Piccolo T? Come fare in modo che i divieti avessero un senso e non fossero puri e semplici divieti? Come spiegargli che con un semplice contatto col fratello avrebbe potuto trasmettergli una malattia, se il veicolo della malattia è così piccolo da non vedersi a occhio nudo?



Mi è venuto in soccorso un albo illustrato insolito, delicato e curioso al tempo stesso, tanto da aggiudicarsi il Premio Andersen 2016 come miglior libro di divulgazione: si tratta di Mini. Il mondo invisibile dei microbi, di Editoriale Scienza.



Mini racconta la vita dei microbi con un linguaggio chiaro e semplice, ma sempre rigoroso.
Semplifica, ma senza per questo sviare dalla realtà scientifica dei fatti.
Le parole di Nicola Davies fanno divulgazione con i toni del racconto, affascinando senza mai annoiare, e si intrecciano alle illustrazioni di Emily Sutton senza essere didascaliche, ma creando un gioco tra parola e disegno che rende la lettura ancora più coinvolgente.

Si comincia parlando di animali grandi e piccoli, per spiegare che i microbi sono infinitamente più piccoli dell'animale più piccolo che conosciamo.

Si continua spiegando che i microbi possono essere molto diversi tra loro, per forma, funzione e dimensione, e che oltre ai microbi che trasmettono le malattie ce ne sono altri che svolgono compiti importanti, come riciclare i rifiuti o trasformare il cibo.


E si spiega infine come si moltiplicano, questi microbi: dividendosi e dividendosi fino a diventare tantissimi (e come sbarrava gli occhi, il Piccolo T, guardando quella pagina piena di questi minuscoli disegni!). E anche se uno solo era troppo piccolo per essere visto, forse milioni di microbi uno vicino all'altro... ehi, questo mi ricorda qualcosa: un esperimento fatto alle medie con la mia indimenticabile prof di scienze.



Conoscete la capsule di Petri?
Sono dei contenitori che in genere vengono riempiti con uno speciale "terreno" gelatinoso in cui far crescere i microbi, appunto. Si usano in laboratorio proprio perché i microbi da soli sono molto difficili da vedere, mentre invece se si moltiplicano a sufficienza è più semplice riconoscerli.

Alle medie ne avevamo prese alcune per provare a fare una coltura in classe: era stato un esperimento affascinante. Chissà che non si possa ripetere a casa.
Sì, ma dove la trovo la capsula di Petri con il terreno da coltura?
La costruisco, è ovvio!
Così, cerca di qua e googola di là, ecco la ricetta.


Servono:
  • un bicchiere d'acqua
  • 12g di gelatina o, meglio ancora, un cucchiaio di Agar Agar*
  • due cucchiai di zucchero
  • un dado da brodo (i microbi non sono schizzinosi: non serve la gallina vecchia)
  • le piastre di Petri oppure dei contenitori di plastica con il coperchio, tipo Tupperware
  • delle etichette.
* l'Agar Agar sarebbe da preferire, sia perché la gelatina tende a sciogliersi con il calore, sia perché alcuni batteri tendono a liquefarla. In effetti, al termine del nostro esperimento, nelle capsule si era formato un po' di liquido.

Se si usano dei contenitori, meglio sterilizzarli prima facendoli bollire in acqua, in modo da evitare contaminazioni (si fa scienza seria, qui!).
Poi, si fa bollire il bicchiere d'acqua e si sciolgono al suo interno lo zucchero, la gelatina e il dado.
Si versa nei contenitori (meglio filtrare, altrimenti reseteranno visibili, come è successo a me, le impurità del dado) e si mette in frigorifero per un giorno a solidificare.

E ora, via all'esperimento!
Prendete vostro figlio, appena tornato a casa dopo un pomeriggio di gioco. Fategli strofinare leggermente le dita sulla gelatina di una delle capsule e copritela (potete usare i coperchi del contenitore, ma è meglio chiudere con della pellicola trasparente, per vedere l'evoluzione della coltura. Abbiate cura comunque di sigillare bene il contenitore per evitare contaminazioni).
Etichettate questa capsula con la scritta:
MANI SPORCHE.

Ora, ri-prendete vostro figlio, lo stesso di prima, e fategli lavare accuratamente le mani con il sapone, strofinando bene. Poi fategli strofinare i polpastrelli sul secondo contenitore, copritelo ed etichettatelo:
MANI PULITE.


Siccome mi avanzava della gelatina, ho aggiunto un terzo recipiente, quello "di controllo" (ok, è un po' presto per spiegare nei dettagli il metodo scientifico al Piccolo T, ma l'ho fatto per me).

Ora, riponete i contenitori in un luogo non troppo caldo per qualche giorno. Andate a verificare di tanto in tanto l'andamento della vostra coltura.

Dopo cinque giorni, questo era l'aspetto del nostro contenitore "mani pulite" (nel cerchio rosso, l'unica colonia che si è sviluppata):


 E questo, invece, era il contenitore "mani sporche", che abbiamo esaminato con una lente d'ingrandimento:

(Per la cronaca, se ve lo state chiedendo, la capsula "di controllo" era perfettamente pulita).

Mi raccomando, dopo l'esperimento buttate via le gelatine contaminate, lavatevi bene le mani e lavate molto bene i contenitori (se possibile sterilizzateli di nuovo)!
E se vostro figlio vi chiede di comprare un animaletto da compagnia, no: i microbi non valgono (e i gatti di polvere, invece?).


Una cosa che ha sempre affascinato il Piccolo T sono le calamite.
Si diverte a sperimentare, a trovare le superfici su cui si attaccano, ad avvicinarle finché non si attraggono a vicenda. È da questi suoi esperimenti che mi è venuta l'idea di creargli un gioco:

La pista magnetica.




Per realizzarla vi serviranno:
  • il coperchio di una scatola di stivali (non avete una scatola di stivali? Correte a comprarvene un paio, presto! Poi dite che è per fare un gioco a vostro figlio),
  • dei magneti (come questi o questi),
  • il tubo di cartone di un rotolo di carta forno o alluminio,
  • cartoncino,
  • dei listelli di legno (io ho riciclato dei pezzi di una cassetta di frutta),
  • colla a caldo,
  • colori a piacimento.


IMPORTANTE: prima di tutto, controllate che i magneti si attraggano con sufficiente forza anche attraverso lo spessore del coperchio della scatola. Se non è così, procuratevi una scatola di cartoncino più leggero (ad esempio, quello delle scatole delle merendine), o dei magneti più potenti.

Ora, disegnate una strada sul lato interno del coperchio e colorate il vostro disegno a piacere.



Sull'altro lato della scatola, attaccate quattro cilindretti della stessa altezza ricavati dal tubo della carta forno: saranno i piedini della pista.


Sul cartoncino, disegnate due macchinine e ritagliatele. Sul retro, attaccate un magnete.
Ora preparate i due bastoncini, levigandoli (nel caso abbiate anche voi usato dei pezzi di cassette di frutta) e attaccando a una delle estremità un magnete.


Fatto! Ora potrete "pilotare" le macchinine muovendo i bastoncini sotto la superficie della pista.
E mi raccomando: rispettate le precedenze!



 
"Mamma, perché la mia ombra è luuuunghissima?", mi ha chiesto una sera il Piccolo T, durante una passeggiata al tramonto.
Ecco, era finalmente arrivato il momento che ogni mamma un po' nerd aspetta da tanto tempo: quello del "Te lo spiego con un esperimento!". Momento che, per bilanciare scienza e fantasia, abbiamo affiancato naturalmente a un "Te lo racconto con un libro".



Nero-Coniglio è un libro sulle paure da esorcizzare, sul conoscere se stessi, su quell'entità che appartiene al tuo corpo e allo stesso tempo non fa parte di te che è la tua ombra. Questo per noi. Per i bambini è un libro divertente e un po' pauroso, con una bellissima storia da raccontare.

La storia è quella di un coniglietto che un giorno esce dalla sua tana e si trova di fronte Nero-coniglio, un coniglio gigante e tutto scuro, che non se ne vuole andare via.
Prova a correre, a nuotare, ma niente. Solo addentrandosi nel bosco (al riparo dal sole) non vedrà più Nero-coniglio. Ma là, tra gli alberi, lo attende un altro predatore feroce.



Il coniglietto non capirà mai che Nero-coniglio è in realtà la sua stessa ombra, ma imparerà a conviverci, soprattutto quando scoprirà che Nero-coniglio può essere un suo alleato perché fa paura agli animali che lo vogliono catturare.

Il libro non usa mai la parola "ombra", ed è qui la sua forza. I migliori albi illustrati sono quelli in cui testo e immagini non sono l'uno la descrizione dell'altra, ma lavorano in sinergia creando un significato nuovo.

Inoltre, Nero-Coniglio contiene quella giusta dose di brivido che cattura i bambini senza spaventarli, e li incuriosisce e li "lusinga" con il meccanismo tipico della suspense: il lettore sa qualcosa (cioè, l'identità di Nero-coniglio) che il protagonista non sa.


Ma torniamo alle ombre e alla domanda iniziale del Piccolo T. L'ombra del coniglietto faceva paura perché era lunga e grande: il racconto si svolge infatti di primo mattino, col sole ancora basso.
Ecco allora che ci siamo armati di una pila, un foglio di carta, una matita, dei pennarelli e uno dei suoi giocattoli per sperimentare con le

ombre da colorare

La stanza deve essere semibuia o comunque non troppo illuminata.
Abbiamo appoggiato il giocattolo su un foglio bianco e puntato la pila accesa.
Ho fatto notare al Piccolo T che quando la pila era alta, l'ombra era più corta, e viceversa.



Poi, cercando di tenere la pila più ferma possibile, l'ho invitato a ricalcare i contorni dell'ombra, prima con la pila alta e poi con la pila via via più bassa.

Infine, abbiamo colorato le diverse ombre, per vedere meglio le differenze tra una e l'altra.



"Vedi, amore? Quando il sole si alza, le ombre sono più corte, poi quando va giù si allungano di nuovo."
(Ehm, secondo voi quand'è l'età giusta per passare dal sistema tolemaico al copernicano?)


Chiariamo subito: con questo titolo non voglio protestare contro l'abbondanza di cromosomi Y nella mia famiglia. Non è l'azzurro a infastidirmi, insomma, sono proprio i fiocchi in quanto tali. Quelli di stoffa, a forma di fiocco, ecco.

Per questo, per annunciare l'arrivo del Piccolo D, ho pensato a una soluzione alternativa.
"Ehi, aspetta!", diranno i più attenti di voi, "Ci hai già parlato della fiocconuvola per il Piccolo D".
È vero, ma non vi avevo detto che di "fiocchi non fiocchi" ne avevo fatti cinque: due per noi, uno a testa per i nonni e uno per una zia. La felicità va condivisa il più possibile, giusto?

Ecco allora come ho preparato i fioccocuori per tutta la famiglia.


Per prima cosa, ho comprato le basi: dei cuori di rattan bianco, di varie dimensioni.
Ho studiato poi le composizioni ritagliando i diversi pezzi su carta e appoggiandoli sui cuori.


Poi ho creato i pezzi.
Trattandosi di elementi puramente decorativi, non serviva un legno particolarmente resistente, perciò ho usato la soluzione più economica possibile: le cassette della frutta.

Per i "festoni", ho ritagliato dei triangolini che ho poi forato con il Multiutensile Dremel (ma andrà benissimo un trapano con una punta sottile).


Per ritagliare l'interno della lettera D, ho praticato un foro (sempre con lo stesso multiutensile) e ci ho infilato la lama del Dremel Moto-Saw, con la quale ho ritagliato con precisione tutto il foro. Sempre con il Dremel Moto-Saw ho ritagliato tutti gli altri pezzi.



Dopo aver colorato tutti gli elementi, li ho assemblati, incollandone alcuni con la colla a caldo e fissandone altri (come i festoni) con della lana colorata.


Evviva i fiocchi azzurri: di legno, però.

       
Vi ricordate di Corso d'arte di Editoriale Scienza?
Ve ne avevo parlato in questo post, in cui avevamo applicato la tecnica del frottage ai Lego.
È un libro che accompagna i bambini alla scoperta dell'arte e delle sue tecniche, spiegando nozioni sul colore e la sua composizione, suggerendo tecniche e attività in modo curioso, giocoso e interattivo, come è tradizione di questa casa editrice.
 


Da quando lo abbiamo esplorato per la prima volta, il Piccolo T è rimasto particolarmente colpito dalla pagina in cui si invita a sperimentare i tratti di diverse penne, matite e pennelli.


Così, abbiamo approfittato delle prime giornate calde per metterci all'opera.
Prima fase: la raccolta.


Ecco il nostro  bottino: un rametto, fiori, foglie e boccioli di tarassaco e una spiga.


A questo punto, è bastata un po' di tempera allungata con l'acqua per dare sfogo al "talento artistico" del Piccolo T.


Il suo pennello preferito? Il fiore, che ha usato dal lato dei petali, con la punta del gambo e anche appoggiando il gambo interamente sul foglio.

"Mamma, lo appendi, adesso?"
Non sarà davvero convinto di diventare il prossimo Van Gogh?


Potrebbe in effetti essere una forma di invidia, la mia: se il Piccolo T si diverte tanto nell'orto, con le piante del nonno, perché non potrebbe farlo anche con le mie?
Semplice: perché le mie muoiono. Tutte. Inesorabilmente.

Ma forse qualcosa si può fare lo stesso. Insomma: non sarò un mago delle piante vere, ma forse con quelle finte me la posso cavare.
Fatta: prepariamo insieme dei cactus di sasso!


Si comincia con la parte più divertente: una passeggiata sul greto del fiume.
Scegliete sassi lisci e regolari, ovali e allungati o piatti, che vi ricordino la forma di una pianta grassa. Raccoglietene qualcuno in più di quelli che pensate vi possano servire: a casa deciderete poi come comporli nel vaso.



Dopo aver fatto una prova di composizione e scelto i sassi, siamo passati alla colorazione.
Io preparavo i colori, il Piccolo T dipingeva.
Per conservare il colore più a lungo (almeno il tempo di attendere che si asciugasse da un lato per dipingere dall'altro) l'ho miscelato in un pezzo di carta stagnola che ho poi richiuso a pacchetto, come avevo spiegato qui.


Adesso è il momento di aggiungere le "spine" (questo l'ho fatto da sola: il Piccolo T non si è offeso).
Con un pennellino sottilissimo ho disegnato delle spinette (singole, a V o a "stellina") bianche sui cactus verde scuro e verde scuro sui cactus più chiari.
Con un cotton fioc ho aggiunto dei piccoli pois bianchi su altri sassi.


Ora, la composizione: prendete un vaso, fate un fondo con della gommapiuma o altro materiale (potrebbero essere anche dei vecchi stracci pressati) e ricoprite con dei sassolini piccoli (io ho comprato quelli decorativi), nei quali "pianterete" i vostri cactus.


Voilà. Potete usare da subito un vaso decorativo, oppure inserire un vaso normale in un contenitore, come ho fatto io con la mia cassetta di legno (eredità di una vecchia piantina, pace all'anima sua).


E finalmente ho in casa delle piante che riuscirò a non far morire.
Con il post della scorsa settimana ho iniziato a raccontarvi le prime avventure mie e del Piccolo D nel mondo dei libri, descrivendovi i nostri titoli preferiti e i generi più adatti ai primi mesi di vita.
Ma leggere ai piccolissimi non è solo una questione di cosa, ma anche di come.

Prima di tutto, il tono di voce: a un bimbo piccolissimo bisogna parlare lentamente, sorridendo, condendo le frasi con molte esclamazioni (oooh, uuuh!), facendo vocine e vocione, pensando più alla musicalità della voce che alle parole che si pronunciano, che il bimbo ancora non sa capire.

Poi, il momento: il libro va proposto nei momenti di veglia tranquilla, quando il bimbo non ha fame né sonno né mal di pancia (sì: esistono momenti del genere).



E poi? Una volta individuato il momento giusto, cosa si fa? Ecco come leggiamo i nostri libretti io e il Piccolo D.

Sul cuscinone.

O sulla sdraietta, se preferite. Noi ci mettiamo a terra, sulla trapunta che usiamo per giocare; appoggio il Piccolo D sul cuscinone da allattamento, a pancia in su, e mi siedo di fronte a lui.
In questo modo riesco a fargli vedere bene sia le pagine del libro sia il mio viso, cosa che per un bimbo piccolo è molto importante, perché la lettura è prima di tutto relazione.


(in foto: Guarda che faccia!, il preferito del Piccolo D, come si può notare dalla sua reazione.)


Sulle ginocchia.


Sempre sulla trapunta o, meglio ancora, sul divano, con la schiena ben appoggiata al muro o allo schienale, piego le gambe e sistemo il Piccolo D sulle mie cosce, con la testa sulle ginocchia. Anche questa posizione consente di mantenere il contatto visivo mentre si fa vedere il libro.


(in foto: L'uccellino fa..., il fantastico libro delle onomatopee.)


Sul cuscinone (lato B).

Ve lo avrà detto il pediatra: tenete i bambini a pancia in giù, quando sono svegli, così allenano i muscoli del collo e non appiattiscono la testa.
Prendete allora la solita trapunta e il solito cuscinone e appoggiateci il bimbo, stavolta dall'altro lato, con le braccia che sporgono dal cuscino (altrimenti scivolerà all'indietro). Accucciatevi su di lui e aprite il libro davanti ai suoi occhi.

Ma come? E il contatto visivo? In questo caso è sostituito dalla vostra vicinanza: fate in modo di toccarlo con le braccia, dategli qualche bacino sulla testa (tanto lo so che non resistete!), parlategli vicino all'orecchio. Ma è inutile che vi dia suggerimenti: scommetto che sapete benissimo fargli le coccole da sole!


 (in foto: Gnam! A me piace..., il cartonato con le finestrelle di Yusuke Yonezu.)


Come i bimbi grandi.

Potete naturalmente, dai tre mesi o da quando sostiene bene la testa, far sedere il bambino in braccio a voi, facendogli appoggiare la schiena sulla vostra pancia e sostenendolo con le vostre braccia. Così, il contatto è assicurato e potrete tenere il libro aperto davanti a lui, proprio come fate con i bimbi più grandi. È anche la posizione migliore per iniziare a fargli prendere contatto con il libro, appoggiandoci le manine.


(in foto, "Animali - Primi libri in bianco e nero".)
EDIT: Oggi questo titolo non si trova più, ma si trovano comunque alternative altrettanto se non più valide come I miei animali di Xavier Deneux o Black on White di Tana Hoban.

E... lasciando fare a quell'altro.

Rassegnatevi: se avete un figlio più grande, non sarete voi il vero eroe del vostro piccolo; sarà il primogenito a rubarvi la scena. Ma c'è una buona notizia: potete volgere tutto questo a vostro favore e ricavare una delle cose più preziose che ci siano per una mamma: interi minuti per voi.

Leggete una volta i libri in presenza del fratello: sono così semplici che li imparerà subito, così poi...
"Piccolo T, ti va di leggere questo libro al Piccolo D mentre la mamma si trucca?"


Esperimento riuscito.  Loro due si sono intrattenuti a vicenda e io sono riuscita a truccarmi. Quasi.
Ci sarei riuscita se non avessi perso tempo a scattare questa foto, ecco.


(Le descrizioni dei libri le trovate nella prima parte del post.)

                   
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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