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Sono in genere due i modi in cui i bambini ingigantiscono le piccole sventure: le rendono tragiche, ma allo stesso tempo le rendono eroiche.

La ferita

Lo racconta in modo efficace e autentico Emma Adbåge in La ferita, un albo edito da Camelozampa che conferma la capacità dell'autrice di leggere l'animo dei bambini, come già avevamo visto in Il regalo.

La narrazione, svolta in prima persona, inizia a scuola, dove il protagonista cade e si procura una ferita a un ginocchio. Come spesso accade, in questi casi, un evento del genere impressiona i bambini, ma li fa anche sentire importanti: le attenzioni puntate su di lui, il rosso del sangue, il rito della cura che termina con "il cerotto più grande della mia vita".

La ferita

Se agli occhi di un adulto questa storia sembra piccola, forse quell'adulto ha scordato quelle sensazioni che ogni bambino conosce bene.

Adbåge dissemina qua e là, sempre con molta naturalezza, dettagli di quel filtro sulla realtà di cui solo l'infanzia è capace: quel "ho proprio dovuto togliere un angolino del cerotto per controllare", o il sollievo di quando il protagonista si sente dire che di quella ferita resterà una cicatrice.

Qualsiasi adulto spererebbe il contrario, ma per un bambino è diverso: quella ferita è un segno di coraggio, di eroismo, di una prova superata, di un'esperienza che lo rende più grande e importante.

Forse è questo uno dei tanti passi che ci fanno lasciare alle spalle l'infanzia: la voglia di cancellare le cicatrici, anziché portarle con fierezza. Forse è questa, una delle cose che da grandi dovremmo essere capaci di recuperare.

Si dice sempre che un genitore debba dare a un figlio radici e ali.

Forse per questo sembra meno surreale di quanto non sia, questo albo di Jon Agee.

papà è un albero

Papà è un albero, edito da Il Castoro, affonda le sue radici (per l'appunto) in molti temi cari ai bambini: la natura, il gioco all'aria aperta, la vicinanza del genitore.

Maddy, la piccola protagonista, propone al papà di fingersi un albero, per poter stare fuori tutto il giorno.

papà è un albero

Quello che nasce come un gioco assume presto contorni iperbolici: subito gli uccellini si posano e fanno il nido su di lui, un ragno tesse la sua tela, uno scoiattolo deposita noccioline nella sua tasca.

Non è solo un papà-albero, quello a cui dà vita la piccola Maddy: è anche un papà-casa, un papà-natura, un papà-coccola. È un essere accogliente verso il mondo.

papà è un albero

Tutti questi animaletti iniziano a dare fastidio, e poi c'è la pioggia, ma Maddy continua, pagina dopo pagina, a dire al papà che tutto questo non importa: lui è un albero e agli alberi queste cose non fanno nulla.

Manca forse una vera e propria storia, con un punto di svolta narrativo, un ostacolo da superare: accadono piccoli episodi, illustrati con gli sguardi un po' ironici tipici di Jon Agee, e l'albo è tutto qui. Ma in queste scene semplici Papà è un albero (link affiliato) riesce a toccare corde molto importanti per un bambino: il legame con la natura, ma prima ancora la gioia di un padre che non ha paura di "perdere tempo", di dedicarsi alla figlia, di stare alle sue regole, di giocare nel senso più pieno.

La gioia di un papà che accoglie, come fa un albero con i suoi ospiti.
 

Ogni tanto faccio qualche incursione nel mondo degli Young Adults, sarà che non voglio perdere il contatto con "quella" me di "qualche" anno fa, o sarà che ora ho effettivamente un preadolescente in casa (sì, quel Piccolo T al quale agli esordi del blog leggevo Piccolo blu e piccolo giallo!).

[Piccola nota: sono detti Young Adults quei libri pensati per ragazzi dai 12-13 anni in su. Si potrebbero chiamare "libri per teenager", ma chissà perché suona un po' riduttivo. Non sono libri riduttivi, non necessariamente.]

eterno ritorno di clara hart

Il target di L'eterno ritorno di Clara Hart,  di Louise Finch, pubblicato da Terre di mezzo con la traduzione di Paolo Maria Bonora, è proprio questo, il che non significa che non me lo sia goduto io stessa, nonostante non sia "teen" da un po'. Sulle prime mi è dispiaciuto non averlo finito e recensito entro la giornata internazionale della donna, ma poi ho pensato che è giusto così. Perché per quanto il tema del maschilismo e della violenza di genere siano ben presenti, qui dentro c'è molto di più, e sarebbe giusto ridurlo a libro "a tema" da usare per una "giornata a tema".

Innanzitutto, L'eterno ritorno di Clara Hart parla di scelte e dell'impatto che hanno sulla nostra vita. L'idea alla base è un po' quella del "giorno della marmotta": Spence, il protagonista, si ritrova a vivere da capo sempre la stessa giornata, che si conclude in modo tragico, con la morte della compagna di scuola Clara. Questa esperienza lo porterà in una spirale (non sempre lineare) di consapevolezza sia di ciò che accade attorno a lui, sia di come le proprie azioni possano influire su cià che accade.

Ma si parla anche di abusi (alcool, droghe), e di violenza sessuale, quel genere di violenza che ancora socialmente non sempre è compresa come tale. Si fa avanti parallelamente anche il tema della responsabilità, del ruolo di chi sa e può decidere di parlare o di tacere, delle battute che non sono solo battute, degli epiteti che nascondono una certa visione della donna come oggetto sessuale.

E inevitabilmente, si parla di morte, non solo quella di Clara. La giornata che Spence continua a rivivere è il primo anniversario dell'incidente che ha ucciso sua madre. E così si parla anche di dialogo e di incomunicabilità, di quanto sia difficile affrontare un lutto, sentirsi compresi, della vacuità delle frasi di circostanza che ci si sente dire, di quanto una parola più vera possa fare la differenza.

eterno ritorno di clara hart

È anche un libro sull'amicizia, su cosa significhi starsi vicino, vedersi veramente, sul coraggio di rendersi conto che un amico sbaglia. È un romanzo fitto di dialoghi, non sempre riuscitissimi, a dirla tutta (non è chiaro se sia la scrittura o la traduzione a incespicare, o se semplicemente l'autrice volesse rendere la sconclusionatezza di certi scambi di battute tra adolescenti), dialoghi nei quali è evidente che non sempre parlare significa comunicare.

Non ci sono scene troppo esplicite: quella violenza così spesso evocata non è mai descritta in dettaglio, ma non per questo il romanzo fa sconti. Le parole scavano a fondo nei dilemmi, nell'etica, nel significato delle proprie azioni, nel senso di tante scelte, senza mai diventare uno scritto pedagogico. La prosa resta autentica anche quando il protagonista si dà delle lezioni di vita, perché il percorso attraverso il quale ci arriva ha ben poco di retorico e molto di reale, imperfetto, vero.

E se è vero che alla fine un messaggio resta, quello del rispetto, della trasparenza, della responsabilità delle proprie azioni, non resta per una morale detta col ditino alzato, ma perché per più di 250 pagine abbiamo cercato le risposte giuste insieme a Spence, e le risposte che abbiamo le abbiamo trovate con lui

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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