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Quando nasce l'amore per la lettura?

Forse può nascere a qualsiasi età, però di una cosa sono certa: quando nasce presto, molto presto, quell'amore è legato strettamente al rapporto con mamma e papà. La nascita di questo amore è il tema dell'albo di cui vi racconto oggi.

Tom e Pippo leggono una storia

Con Tom e Pippo leggono una storia, Camelozampa porta di nuovo ai piccolissimi i protagonisti che già avevamo amato in Tom e Pippo combinano un guaio (qui il mio post).
Anche a livello editoriale, questa serie è fatta apposta per essere maneggiata da piccole mani: le pagine grandi e spesse (ma non cartonate: il bambino che ha confidenza con i libri impara presto a farne a meno), gli angoli arrotondati.

La Oxenbury sa dipingere in modo straordinario il mondo dei bambini in un modo che i bambini sanno capire: con figure semplici su sfondi bianchi o minimali, poche parole che sono le stesse che un piccolo sente dentro di sé. 

Tom e Pippo leggono una storia

In questa semplicità riesce ad essere particolarmente profonda nel cogliere le sfumature del sentire bambino, e allo stesso tempo molto moderna. Nel mondo di Tom e Pippo c'è solo un papà. 
Cosa significa? Non ha importanza.
Forse la mamma non c'è, forse è semplicemente da un'altra parte nel momento in cui si svolge la storia, ma in questo contesto appare del tutto naturale che sia il papà a prendersi cura del figlio (cosa che nel 1988, quando il libro è stato pubblicato, forse tanto scontata non era).

Un altro dettaglio solo apparentemente casuale: quel papà non è lì per il figlio. Solo nelle cattive opere di fiction i genitori sono sempre a disposizione. Lo vediamo leggere il giornale, con le gambe distese che comunicano relax. Per farsi leggere una storia, Tom lo disturba, lo distoglie dal suo momento. 
Il papà lo fa volentieri, certo, ma è un momento che si ritaglia tra altre cose da fare:
Al papà piace leggere il giornale, ma non gli dispiace leggere i miei libri con me.

Tom e Pippo leggono una storia

E poi c'è Pippo, il pupazzo di Tom, a cui è Tom a leggere, e in questo rapporto si rispecchia quello tra il bambino e il padre, in una perfetta rappresentazione simbolica di tutti i sentimenti in gioco, tra il piacere e la fatica di leggere.

C'è un'ironia sottile nel finale, in Tom che dopo un po' si stufa di leggere per Pippo, una velata battuta che dà profondità all'albo e lo rende godibile anche da bambini più grandi di quelli (di 1-2 anni) a cui di norma si indirizzerebbe.
Il papà legge a Tom, Tom legge a Pippo: nella fatica di leggere, si trasmettono amore e relazione.
È nato un nuovo, piccolo lettore.


A volte penso che quando cerchiamo storie di sopravvissuti all'Olocausto lo facciamo non tanto per vedere quanto l'umanità abbia saputo scendere negli abissi della non-umanità, ma al contrario, per vedere come anche nella disumanità più profonda si possa trovare un lume di speranza.

Sì, perché le storie di sopravvissuti sono quasi sempre storie di solidarietà, di resistenza collettiva, di un fuoco mantenuto vivo da una scintilla, soffiandoci sopra tutti insieme.

La bibliotecaria di Auchwitz

La bibliotecaria di Auschwitz, graphic novel sceneggiato da Salva Rubio e illustrato da Loreto Aroca, edito da Il castoro con la traduzione di Francesco Ferrucci porta esattamente questo: una luce che rischiara le tenebre più profonde dell'Olocausto, una luce tenuta accesa non da un singolo, ma da un gruppo di persone temerariamente attaccate alla vita.

La bibliotecaria di Auschwitz Ã¨ tratto dall'omonimo romanzo di Antonio Iturbe, a sua volta ispirato alla storia vera di Dita Kraus, un'ebrea che da Praga fu deportata ad Auschwitz in quello che fu un caso unico nel panorama dei campi di sterminio: il cosiddetto "Campo per famiglie".
Qui i detenuti erano trattati in modo apparentemente più umano: le famiglie non venivano separate, non si rasavano i capelli e vi era qualche piccolo privilegio; il tutto allo scopo di creare una realtà di facciata da mostrare al mondo, ad esempio in occasione della visita del Comitato internazionale della Croce Rossa. Piccole concessioni, queste, che poco toglievano al dramma vissuto dai detenuti, che dovevano sopportare torture fisiche e psicologiche e, consci della loro condizione privilegiata, sapevano che a essa sarebbe seguito un destino ben peggiore non appena quel loro ruolo di facciata non fosse più servito. 

La bibliotecaria di Auchwitz

È qui che si inserisce la storia di Dita, una ragazza che custodisce nel campo una biblioteca segreta.
I libri diventano simboli di un animo che non si lascia abbattere, di un'umanità che lotta per restare viva anche di fronte all'orrore. La sua missione, che Dita porta avanti temerariamente, con il pericolo di essere scoperta e condannata a morte, aiuta i deportati del blocco a restare umani.

La storia di Dita si intreccia con quella di Fredy Hirsch, leader carismatico che la ispira e la motiva, e che nasconde un pericoloso segreto, e con quella di personaggi storici come lo spietato dottor Mengele.

Leggendo questo graphic novel si ha l'impressione di percorrere due trame: quella delle vicende di Dita e del suo gruppo e quelle della Storia che le scorre attorno.
Passando dalla Praga delle prime pagine al campo di sterminio, i colori si fanno cupi, le inquadrature più strette e opprimenti, e gli sguardi disegnati ci lasciano penetrare il terrore, la speranza, la precarietà, il lutto, la disperazione, le emozioni forti e terribili che hanno segnato la vita di questa ragazza, oggi 93enne, che ha attraversato l'orrore e l'ha saputo vincere, per poi darcene testimonianza.

La bibliotecaria di Auchwitz

Le ultime pagine del volume sono dedicate a un dossier storico.
Senza nulla togliere alla fiction, credo che su questo tema sapere che si sta leggendo una storia vera dia all'opera un valore più profondo, e il desiderio di approfondire, capire fino in fondo ogni passaggio uscendo dal punto di vista limitato della protagonista per guardare il quadro dall'esterno diventi una necessità improrogabile.

A tanti anni di distanza da quell'orrore non ci resta che questo: delle storie da raccontare per non dimenticare, e la consapevolezza che le storie possono salvarci la vita.

PS: Per chi, come me, leggendo questo graphic novel, senta il bisogno di conoscere ancora meglio la storia di Dita, c'è anche la sua autobiografia, oppure il romanzo del marito, che (come il graphic novel racconta) Dita ha conosciuto proprio nel Campo per famiglie di Auschwitz.


Il titolo richiama atmosfere notturne, forse un po' noir, sicuramente arricchite da qualche elemento misterioso. E in effetti è così, anche se in un certo senso non lo è.

Mezzanotte e cinque

Mezzanotte e cinque, infatti, non è un orario, ma il nome del protagonista di questo romanzo di Malika Ferdjoukh, edito da Camelozampa con le illustrazioni di Eleonora Antonini.  È un ragazzino di dieci anni, un vagabondo che passa le sue giornate tra le strade di Praga con la sorella Bretella e il suo migliore amico Emil, e il suo curioso soprannome deriva da uno strano tatuaggio che sembra un orologio le cui lancette indicano proprio quell'ora. 

Ma non è questa la sola Praga che ci racconta il libro. Le pagine ci trasportano con grande efficacia in una città dell'800 che sembra lo scenario perfetto per una favola (e chi ha visitato Praga sa che è davvero così) e in una realtà sociale fatta di grandi contrasti, dove i nobili quisquiliano di cose futili e le persone umili soffrono la fame.

Mezzanotte e cinque

I dialoghi e le descrizioni della Praga nobiliare, grazie anche alla deliziosa traduzione di Chiara Carminati, mantengono un certo manierismo che li rende al tempo stesso aristocratici e ironici. Ritroviamo il vezzo di alcuni termini desueti come "martingala", ma anche commenti arguti, che dietro un tono di voce aristocratico celano una sfumatura irriverente:

La principessa Daniella svenne seduta stante: infatti, benché fosse di origine spagnola, osservava a meraviglia le usanze della corte di Boemia.

Più ruspante è l'altro lato della medaglia, che pullila di annotazioni divertenti più dirette, come quelle sullo stato di pulizia dei bambini, così ricoperti di sporcizia da non lasciar intuire né il colore della pelle né quello dei capelli. La banda di Mezzanotte e cinque sembrerebbe uscire da un'opera di Dickens, se non fosse circondata da un'aura di allegria che emerge nonostante le loro preoccupazioni quotidiane per il sostentamento.

Mezzanotte e cinque


Ah, sì, e poi c'è la trama, che nasce dalla scomparsa di una preziosa collana della principessa, per poi continuare con il suo avventuroso ritrovamento. Mezzanotte e cinque è un romanzo scorrevole e non troppo lungo (e, dettaglio non trascurabile, stampato in font ad alta leggibilità), ma non banale, in cui ogni piccolo trascurabile dettaglio trova alla fine un suo senso; è una storia "di Natale" in cui il bene vince, ma non nel modo più prevedibile, e in cui il valore di una collana è meno importante di quello della verità, della libertà e dei sentimenti autentici.

Tra ironia e siparietti leggeri, Mezzanotte e cinque si noda in un intreccio di misteri, scoperte e sorprese che tiene fede alle atmosfere suggerite da un titolo che in realtà non voleva dire questo, ma lo dice ugualmente benissimo.


Il telefono senza fili è un gioco divertente e a suo modo istruttivo sul funzionamento della comunicazione e del rumore e delle tante sfumature tra verità e bugia.

Riflettere su come un messaggio non arrivi necessariamente così come intendevamo trasmetterlo non è cosa semplice: perfino molti adulti danno per scontato il contrario. I bambini piccoli, poi, che ancora non riescono bene a distinguere l'altro da sé, pretendono che l'adulto capisca qualcosa anche solo perché l'hanno pensata.

Ho sentito dire che

Ho sentito dire che… di Mariapaola Pesce, illustrato da Martina Tonello e edito da Terre di Mezzo porta questo meccanismo in un mondo di animali più o meno antropomorfizzati, per darne un esempio efficace e a portata di bambino.

Ho sentito dire che

Tutto nasce dalla considerazione del postino piccione, che da un po' di tempo non vede in giro la talpa.

Questa semplice constatazione si trasforma nell'ipotesi del topo, che immagina che la talpa sia partita.

Ma l'ipotesi, come spesso accade, diventa certezza al passaggio successivo, e la dinamica si ripete, animale dopo animale, bocca dopo bocca, fino a creare una storia completamente fittizia che vede la talpa prima coinvolta in un furto e poi vincitrice della maratona di New York e non solo.

Ho sentito dire che

Il meccanismo, solo apparentemente semplice, non è immediato per un bambino (può aiutare qualche commento del genitore / lettore), ma il ritmo dell'albo e la ripetizione, scena dopo scena, di uno stesso schema sia testuale che visivo, aiutano a coglierne il senso.

Ogni doppia pagina ospita sulla sinistra l'animale che dà la notizia, sulla destra il suo interlocutore, che la amplifica creando una nuova ipotesi. 

Ancora a destra, troviamo un terzo animale, un semplice ascoltatore, che diventa però protagonista della trasmissione del nuovo messaggio nella pagina successiva.

Ho sentito dire che

Il meccanismo a ripetizione rende più chiara la dinamica e permette inoltre di amplificare a dismisura la falsità della storia, fino allo svelamento finale dell'equivoco, in una scena corale e spassosa.
Insomma: in un mondo in cui le fonti di comunicazione si moltiplicano, meglio insegnare ai ragazzi che le fonti vanno sempre verificate.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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