Nuvole in scatola
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Il primo è stato forse Totò con la fontana di Trevi: uno sketch satirico ma anche foriero di spunti di riflessione sui concetti di pubblico, privato, proprietà. Si può comprare ciò che è di tutti? E cosa significa "comprare" qualcosa che resta comunque lì, a disposizione del pubblico?


Gek Tessaro, con il suo tono beffardo e la sua sfrenata fantasia, gioca con questi pensieri in Il mare rubato, edito da Lapis.
Lo stile illustrativo è inconfondibile: l'arte di Tessaro si esprime con il suo solito mix giocoso di pittura e collage, i suoi volti asimmetrici, gli equilibri improbabili, i tagli grossolani.


Il mare rubato racconta la storia della principessa Petunia, che un giorno si rivolge al re:
Papà, quella piscina là, la voglio qua.

"Quella piscina" è in realtà il mare e anche un re, per quanto potente, non può comprare un mare.
Ma l'ironia di Tessaro e il senso pratico del re forniscono la risposta: è molto più semplice trasportare il mare in montagna che far cambiare idea alla principessa Petunia!


Il re manda il suo ciambellano a comprare il mare e poi si mettono in azione ruspe e macchinari (a proposito, vi ricordano qualcosa?), per trasportare il mare dentro un vulcano.


Dentro il vulcano, però, i pesci sono costretti a stare fermi in verticale, e pescatori, turisti e bagnini, rimasti a secco, non sono affatto contenti di trovarsi di fronte un deserto al posto di una distesa d'acqua.


A rimettere tutto in ordine (certo, a modo loro) ci penseranno i pirati, personaggi perfetti di un racconto senza tempo, ambientato in un regno fantastico con tutte le sue regole e le sue non-regole.
La prosa di Tessaro unisce come sempre leggeri giochi di parole a un lessico ricercato che strizza l'occhio alle fiabe d'altri tempi, e il continuo dinamismo delle azioni rende Il mare rubato coinvolgente e appassionante per chi ama l'avventura.

E voi, avete mai pensato di avere un mare portatile, tutto per voi? Ad esempio,

Il mare in un vasetto 


Io ne ho creato uno piccolo piccolo, in un vasetto di omogeneizzato.
Ho creato un fondo sabbioso con farina da polenta.


Ho poi aggiunto uno strato di acqua colorata di blu con della tempera (il colorante alimentare andrebbe ancora meglio, perché lascia l'acqua più trasparente) e uno strato di olio di semi, per fare il cielo.


Ma il mare va anche popolato! Ho scelto allora dei sassolini che mi ispirassero per la loro forma e ho disegnato dei pesciolini con un pennarello indelebile.
Ecco pronto il mare in vasetto!
Si può anche agitare immaginando le tempeste più violente.


Alla fine tutti gli elementi ritrovano la propria collocazione: il cielo sopra, il mare sotto, i pesci dentro e la sabbia sul fondo.


È un po' come la ricetta di certe storie: agitare bene e poi godersi lo spettacolo mentre tutto torna al suo posto.


Accomodatevi sulle vostre poltrone, spegnete i telefonini, preparate i pop-corn: oggi si va al cinema!
Un cinema d'altri tempi, però: danno un film muto, di quelli con i cartelli al posto dei dialoghi.


Il "regista" è Mo Willems (quello della meravigliosa serie di Reginald e Tina), quindi possiamo stare certi: anche questo libro sarà uno spettacolo.
Non è una buona idea! edito in Italia da Il Castoro nel 2015,  ricalca il linguaggio del cinema muto, con grandi illustrazioni prive di testo e i dialoghi a parte.

La storia inizia con uno scambio di sguardi tra una volpe, con un vestito da damerino, e un'anatra dall'apparenza ingenuotta, con cestino in mano e fazzoletto in testa.
Lo sguardo non ha direzione: sembra un colpo di fulmine reciproco. Ma che intenzioni avranno davvero i due?


La volpe invita l'anatra a fare una passeggiata nel bosco buio e profondo.
L'anatra, affascinata, risponde all'invito. Ma si sa, è sempre meglio non fidarsi degli sconosciuti.



Come in un film muto, i cartelli – scritta bianca su fondo nero, con una cornice decorata attorno – scandiscono il ritmo della storia, interrompendo le immagini.
Come in un film, muto, dobbiamo capire dal contesto chi è che pronuncia la frase del cartello (piccolo espediente che sarà poi utile al colpo di scena finale).


Ma a dare ritmo alla storia sono anche i commenti degli anatroccoli, che ad ogni invito della volpe, accolto con entusiasmo crescente dall'anatra, rispondono (anche loro con una concitazione sempre maggiore): "Non è una buona idea!".


La narrazione procede per ripetizione e accumulazione, una formula sempre vincente nei libri per bambini, perché unisce il piacere del già noto, la soddisfazione nel saper anticipare ciò che viene (vedrete che anche i vostri bimbi si uniranno al coro di "Non è una buona idea!"), con l'effetto sorpresa dell'elemento di novità.

Il crescendo dell'invito (prima a passeggiare, poi a cenare, poi a dare un'occhiata da vicino alla zuppa) si accompagna a un crescendo di anatroccoli, con il loro monito sempre più deciso.


E mentre la storia prosegue, il lettore cerca di leggere nelle illustrazioni le vere intenzioni dei protagonisti.
Mo Willems riuscirà non solo a farci ridere, ma anche a sorprenderci, con un finale inaspettato che rende questo libro  un piccolo gioiello della sceneggiatura.


Hanno vita facile i supereroi con i classici superpoteri: la super vista, il super udito, la super forza.
Ma cosa succede quando invece qualcuno è super lento?


Ce lo racconta Robert Starling in Super Brando, edito in Italia da Lapis.
Brando è un bradipo come tanti, che un giorno trova "una strana foglia". La foglia è in realtà un fumetto, abbandonato nella giungla da un paio di turisti che vediamo allontanarsi.


Brando lo legge avidamente, a velocità bradipo, e decide che vuole diventare un supereroe, come il protagonista della storia.


Trova un mantello e si prepara a salvare il mondo (con calma).


Brando ci si mette d'impegno, ma fare il supereroe è più difficile di quel che sembri: arriva sempre tardi quando lo chiamano in soccorso, e non gli basta certo un mantello per imparare a volare.

Le immagini fanno sorridere, mostrando alcuni paradossi della lentezza di Brando, come quando si arrampica su un albero per aiutare il Tucano e scoprire chi gli ha rubato i manghi, ma arriva in cima molto dopo di lui.


Con un po' di ironia (e qualche passaggio linguisticamente un po' forzato, a causa forse di una traduzione un po' frettolosa), Brando ha finalmente l'illuminazione decisiva: un bradipo non potrà volare o essere più veloce degli altri, ma la sua lentezza può diventare un pregio, se gli permette di muoversi senza farsi notare.

È così che aiuterà gli altri animali sconfiggendo il ladro di manghi.

E dopo aver raccontato le avventure di questo personaggio, il risguardo finale ci offre alcune curiosità scientifiche sul bradipo come animale.


Leggero, divertente, avventuroso, Super Brando apre con il sorriso la strada a una riflessione importante: ognuno può essere un supereroe se trova il proprio superpotere.
Ma anche: ogni difetto può essere volto a proprio vantaggio, se lo si sfrutta nel modo giusto.

Ecco allora che si può giocare a inventare il proprio superpotere. Basta infilarsi un mantello, anche fatto in casa col pannolenci (come quello che avevo creato per la super-festa del Piccolo T). Oppure semplicemente vestirsi solo della propria fantasia.


Scovare il proprio superpotere, o quello dei propri familiari, è un esercizio che aumenta l'introspezione, l'osservazione, l'autostima, e perché no, anche l'autoironia, che è sempre il mio superpotere preferito.
Io, ad esempio, sono dotata di super-disordine: confondo i miei nemici che non saranno mai in grado di trovare quello che cercano.
E anche di super-pigrizia-domestica, che mi permette di allevare dei super-gatti-di-polvere, che fanno la guardia alla casa.

E voi, che super-non-potere avete?


I bambini sono vivi, anche nei colori. Non hanno sfumature.
Non ne hanno con la gioia, non ne hanno con la tristezza. È una questione di prospettiva: in una vita durata finora pochi anni, mezz'ora di attesa è un tempo infinito e un pomeriggio da un amico saltato è un'occasione che potrebbe non ripresentarsi mai più.

Se qualcosa va male, ci viene da dire "Non è niente", ma è una bugia. Per noi non è niente, per loro è tutto.


E allora forse "Non è niente" non è l'approccio ideale da utilizzare con loro, perché non è quello che sentono. È molto più efficace cercare di vedere le cose semplicemente da un altro punto di vista: ogni sfortuna può diventare una fortuna, e in questo i bambini sono molto più bravi di noi, perché sanno spazzare le nuvole e far tornare il sereno in un batter d'occhio.

È questo che racconta Pom e Pim, albo degli svedesi Lena e Olof Landström portato in Italia da Beisler.
In un'ambientazione è quotidiana, rappresenta situazioni in cui ogni bambino può rispecchiarsi, l'albo  racconta le vicende di Pom e del suo pupazzo Pim.


Con una logica narrativa che vi ricorderà quella del celebre Fortunatamente (seppur con un ritmo meno cadenzato e lasciando più spazio alla narrazione che ai continui cambiamenti di fronte) vediamo alternarsi eventi fortunati e sfortunati che cambiano iimmediatamente la prospettiva del protagonista.


Pom cade (che sfortuna!) ma grazie alla caduta trova una banconota a terra (che fortuna!)


Scopriamo così che da ogni evento avverso può nascere qualcosa di buono.
E se non nasce... basta lavorarci un po'.


Da un palloncino rotto, ad esempio, può nascere un impermeabile per Pim.
Perché Pom e Pim è così: mostra che crucciarsi è inutile, è molto meglio ribaltare la prospettiva e scoprire la fortuna dentro la sfortuna.


Semplice nel linguaggio sia testuale che visivo, Pom e Pim è adatto ai bimbi fin dai due anni, che non faticheranno a riconoscersi nel protagonista.

E il tormentone "che sfortuna!" / "che fortuna!" può diventare un simpatico esercizio per imparare (e parlo anche di noi adulti) a vedere il lato bello delle cose, oppure a costruirselo, come fa Pom con l'impermeabile di Pim.

Oh, oh, ci si è bucato un calzino, che sfortuna!


E se gli tagliassimo la punta e lo trasformassimo in uno scaldacollo per pupazzi?


O, con un paio di tagli in più, in un bel vestito elegante?


Avere tempo libero e un pizzico di fantasia: che fortuna!

C'è qualcosa che scatta in noi, lettori voraci, dal momento che i nostri figli iniziano la primaria. Li vorremmo subito vedere con un libro in mano, magari uno dei classici che abbiamo amato da piccoli, a fare le ore piccole accendendo di nascosto una lucina in camera, proprio come facevamo noi.

La realtà spesso è ben diversa, per una serie di ragioni che comprendono il cambiamento generazionale, ma forse anche la nostra scarsa memoria: siamo sicuri che da piccoli, appena dopo aver imparato l'abc, fossimo subito partiti ad affrontare Ventimila leghe sotto i mari?


Se è vero che esistono bambini da subito curiosi e motivati alla lettura autonoma, sono probabilmente più diffusi quelli che vanno stimolati un po', attraverso la scelta di argomenti da cui sono attratti, ma anche di modalità di lettura che accompagnino verso il romanzo in modo leggero e semplificato.

Olga e la creatura senza nome di Elisa Gravel, una delle più recenti uscite di Terre di Mezzo editore, si colloca esattamente nella categoria dei libri di transizione tra l'albo illustrato e il romanzo.
L'aspetto materiale è quello di un libro "serio": copertina rigida, un bello spessore (180 pagine), ma l'uso di fumetti, colori, disegni e didascalie fa capire fin dalla copertina che siamo di fronte a una lettura leggera e semplificata.


All'interno, i blocchi di testo non superano mai la mezza pagina. Protagoniste sono le immagini, ricchissime di "appunti" sparsi: Olga e la creatura senza nomesi presenta infatti come un quaderno di osservazioni, quello di Olga, appunto.
Olga è una ragazzina curiosa, con un animo da scienziata e una grande passione per gli animali, come si capisce bene anche dalla sua stanza.


Le sue osservazioni sono più umoristiche che scientifiche. Con un candore bambino ci spiega ad esempio perché gli animali sono quasi sempre migliori degli umani, dato che molte cose carine che fanno non sarebbero affatto tali se a farle fossero degli uomini: che cose pensereste di un umano che annusa il sedere a un altro umano?


In un tipico spirito preadolescente, Olga ama gli animali anche perché non sempre riesce a capire gli esseri umani, o ad andarci d'accordo. Meglio allora rifugiarsi nel proprio mondo e nelle proprie osservazioni.

Un giorno, osservando e catalogando le sue scoperte, Olga incontra una "cosa", un animale decisamente bizzarro, che non ha un buon odore, ma sembra inoffensivo e le si affeziona presto.
Olga già si immagina grandi riconoscimenti per questa scoperta: "Meh" (così chiamato perché questo è il suo verso) appartiene a una specie nuova, che lei battezza "Olgamus Ridiculus", a causa del suo aspetto.
Fa una cacca color arcobaleno, ma non si sa bene di cosa si nutra.



Olga inizia allora la sua ricerca per capire come prendersi cura di un Olgamus, sempre arricchendo il suo quaderno di appunti e osservazioni.
Come ogni percorso di ricerca, anche questo porterà a cose aspettate e cose inaspettate, come scoprire che certe persone con cui non riusciva ad entrare in connessione, alla fine non sono poi male come credeva.
Tra piccoli gialli (la scomparsa di Meh), scoperte e nuovi amici, Olga riempie il suo quaderno, e i lettori alle prime armi riusciranno a finirlo di leggere, incoraggiati da una scrittura semplice ma non banale e da una struttura a fumetto che rende tutto più allegro e divertente.

Il romanzo si chiude ma non del tutto: un nuovo titolo è pronto a uscire. L'Olgamus è una creatura davvero bizzarra e probabilmente ci saranno ancora molte cose da scoprire su di essa.
Una cosa l'ho scoperta anch'io: non solo l'Olgamus fa la cacca più sorprendente di tutto l'universo, ma è indubitabilmente l'animale più semplice da realizzare con il didò.

Quindi, se i vostri bimbi hanno bisogno di un po' di incoraggiamento e di autostima non solo nella lettura ma anche nella scultura, Meh è perfetto per cominciare!
Basta formare un salsicciotto piuttosto grosso e arrotondato, e un altro sottilissimo, che schiaccerete col dito.


Segnate la bocca con uno stuzzicadenti.


Attaccate il naso e "pizzicate" sopra la testa per creare le orecchie (o se preferite attaccatele).


Con uno stuzzicadenti fate due buchi per gli occhi e tante lineette per il pelo. Poi usate altri stuzzicadenti per zampe e coda.


Ecco qua: non è carino?


Forse no, in effetti. Ma Olga lo troverebbe bellissimo.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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