Nuvole in scatola
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Non è necessario che piova per avere bisogno urgente di un gioco da fare in casa.
Puoi anche aver invitato un amichetto di tuo figlio a giocare a casa tua e non avere un giardino, ad esempio. E può essere che, dopo aver aperto un numero indefinito ma comunque a due cifre di scatole di giochi, i due – tuo figlio e il suo amico – ti chiedano "a cosa possiamo giocare"?

E va bene. Mi avete sfidato? 
E io accetto la sfida: giochiamo a Pallacalza!



Tutto quello che vi serve sono:
  • tre palline, di cui almeno due della stessa dimensione,
  • un rotolo di scotch carta (o di washi tape ma di quello che attacca poco, per non rovinare il pavimento),
  • due collant (e se ve lo state chiedendo: sì, quelli nella foto erano miei).
Aumentate il numero di palline e collant nel caso abbiate più di due giocatori.


Ora, disegnate un quadrato di nastro adesivo sul pavimento: sarà il vostro bersaglio.


Poi, infilate in una delle gambe di ogni collant una pallina e legate il collant alla vita dei giocatori, in modo che la gamba con la pallina penzoli senza toccare terra.


Pronti? Ora, lo scopo è colpire la terza pallina con la pallina che avete legata addosso per farla finire nell'area-bersaglio, senza usare mani e piedi, ma solo muovendo la calza a penzoloni con il proprio corpo.

È più difficile di quel che sembra. Infatti il Piccolo T e il suo amico, dopo 5 minuti, mi hanno chiesto di poter muovere la calza con le mani.


Fine della partita di Pallacalza, inizio della partita di Calzagolf.

C'è un privilegio che chiunque, quando diventa genitore, perde definitivamente: quello di premere il pulsante dell'ascensore.
Noi abbiamo quasi smesso di stupirci per il gps, gli smartphone, i robot puliscipavimenti (no, io quello lo venero, ai limiti dell'idolatria) e i bimbi sono magicamente, meravigliosamente attratti da questa cabina che, al nostro comando, ci trasporta da un piano all'altro di una casa.



Dev'essere per questo che un libro come A che piano va?, edizioni Sinnos, incuriosisce così tanto i bimbi. O almeno, questo è l'effetto che ha avuto sul Piccolo T, che ha girato e rigirato le pagine alla scoperta di tutti i suoi personaggi.



Il protagonista di A che piano va? è proprio un ascensore: quello di un palazzo a sei piani, ognuno abitato da un animale diverso, con una sua personalità.
Il libro non ha una vera e propria storia, è più una simpatica rassegna di personaggi, dalla vanitosa signora Polpo ai romantici signori Piccione. Ognuno di loro, in ascensore, si comporta in modo diverso, e per ognuno di loro l'ascensore ha una diversa reazione.
E alla fine le pagine tornano su di lui: l'ascensore, con i suoi sogni e i suoi desideri.



A che piano va? è un libro curioso, bello da vedere con le sue illustrazioni simpatiche e i colori vivaci. È un libro adatto a bambini dai tre anni, ma anche per le prime letture autonome dei bimbi più grandi, grazie alle scritte in stampatello. Infine, è un libro che si presta al gioco: a scoprire i dettagli nelle illustrazioni (quante maniche hanno i cappotti stesi al sole della signora Polpo?), a fare indovinelli o piccoli esercizi con i numeri (chi vive al terzo piano? Quanti piani deve fare il canguro per andare a trovare il riccio?).
Non vale, invece, per insegnare ai bambini come funzionano i piani di un palazzo, perché nel libro non esiste il piano terra ma si parte direttamente dal primo (evidentemente in Estonia, paese degli autori, funziona così).

Ma a quello ci ho pensato io. Memore della casa di Barbie della mia infanzia (quella di cartone su due piani, non la villa di plastica che avevo sempre sognato. Però la mia aveva l'ascensore!) ho provato a costruire una semplice struttura, naturalmente partendo da una scatola.

Ecco cosa serve:
  • una scatola grande, tipo di stivali (è quella di cui avevo usato il coperchio per la pista magnetica)
  • una scatola di scarpe più piccola
  • ritagli di cartone vari
  • un po' di spago
  • carta e nastro adesivo colorati per decorare.


Misurate la profondità della scatola piccola e dividete con una striscia di cartone posta in verticale due spazi nella scatola grande: uno, largo quanto la profondità della scatola piccola, sarà il vano ascensore, l'altro conterrà i diversi piani.


Ritagliate e ripiegate i bordi della scatola piccola (l'ascensore) in modo che entri nella scatola grande senza sporgere dai bordi. Ripiegate i due piani formando delle alette laterali (serviranno ad incollarli) e ritagliate, nel cartone che delimita il vano ascensore, delle porte in corrispondenza di ogni piano.
Non incollate ancora nulla.


Fate scivolare l'ascensore fino al limite alto della scatola (ricordate di tenere l'apertura verso i vani interni) e con un punteruolo bucate scatola e ascensore, in modo che i fori corrispondano. Fate quindi passare uno spago che annoderete all'interno dell'ascensore. All'altro capo, fissate al filo un anellino.
Lo spago dovrà essere abbastanza lungo da permettere all'ascensore di percorrere tutta l'altezza della scatola.
No, non è ancora il momento di incollare.


Armatevi di carta colorata e washi tape e decorate tutto il vostro palazzo, delimitando i vani delle porte e i pavimenti, scrivendo il numero del piano sul vano ascensore.
Ecco: ora potete incollare tutto.
Che ne dite?


Basta tirare la cordicina per far salire l'ascensore al piano desiderato.
Il palazzo può essere una casa, ma anche un parcheggio per le macchinine.



Portata: qualche etto.
Capienza massima: testato per ora con due robot e un dinosauro.
In caso di emergenza, premere il pulsante rosso chiamare la mamma, come sempre.


"Quando è sveglio, lo tenga a pancia in giù, che gli fa bene."
Ve lo ha detto anche a voi, il pediatra?
Certo, ai neonati passare un po' di tempo a pancia in giù fa molto bene (solo da svegli! Si dorme solo a pancia in su: regola anti-SIDS!): aiuta a sviluppare i muscoli del collo e della schiena, a scoprire il mondo da una prospettiva diversa, ad avere più coscienza del proprio corpo e dei propri movimenti.

In inglese si chiama "Tummy time": un nome divertente che indica il tempo trascorso stando sulla pancia.



Sarebbe tutto fantastico, insomma, se non fosse che per molti bambini (due su due, nel mio caso) stare a pancia in giù ha un indice di gradimento superiore solo ai lavaggi nasali.

E allora servono idee, mezzi e trucchetti per farlo non dico piacere, ma almeno tollerare un po', questo tummy time. Ecco i nostri: armatevi di trapunta o tappetone a terra e provate anche voi.

Libri e giochini



Mettetegli davanti un libricino adatto alla sua età, in modo che sia stimolato ad alzare la testa per guardare e, guardando, si distragga dal fatto che è nella posizione che odia di più al mondo (in foto, uno dei libri del cofanetto "Animali"-"A spasso"-"Bebè"-"Facce", ma potete trovare altri suggerimenti su libri adatti ai primi mesi in questo mio post).
In alternativa, usate un giochino che gli piace particolarmente.

uno specchio



Eh, già: se ancora non ve ne siete accorte, avete partorito dei piccoli narcisi, che adorano rimirarsi allo specchio.
Prendetene uno portatile e piazzatelo davanti a lui. Se non ne avete di adatti, compratene uno: lo riutilizzerete quando gli insegnerete a lavarsi i denti.

La mamma


Tanto lo sapete che il suo giocattolo preferito siete voi, vero? E allora forza: stendetevi sulla trapunta vicino a lui e sfoderate il vostro miglior repertorio di sorrisi, bacini, canzoncine e rumorini.

Il "Mo'-ti-frego" tummy time



Il Piccolo D adora essere maneggiato e rigirato. E allora capita che... ops!... mentre gioco a farlo rotolare sul lettone o sulla trapunta, poi mi fermi proprio mentre è a pancia in giù, e aspetti qualche secondo più del solito prima di farlo rotolare di nuovo.
Oppure mentre lo cambio, sul fasciatoio, ci metto un po' più tempo del previsto ad allacciare i bottoni sul retro della tutina (ma che mamma imbranata!), e nel frattempo lo lascio a pancia in giù.
Inserire il "tummy time" nel mezzo di un'attività per lui piacevole lo aiuta a sopportarlo meglio. Basta poco per fregarli, a volte.

Il non-proprio-tummy time

 

Per allenare i muscoli e tutto il resto non è necessario che il bimbo sia proprio disteso sulla pancia. Si può alternare la posizione tanto odiata con altre, sempre a pancia in giù ma meno scomode. Ad esempio, appoggiandolo su un cuscino da allattamento (o un asciugamano arrotolato) avendo cura di mettergli le braccia oltre il cuscino, in modo che siano libere di toccare o afferrare qualcosa. Questa posizione delle braccia impedisce anche al bimbo di scivolare all'indietro. Sorvegliatelo sempre, perché non finisca con la faccia sul cuscino (in foto, il suo giochino preferito, un "coso multisensoriale" della Lamaze, che si può appendere anche al passeggino o alla maniglia interna della macchina, quella sopra il finestrino, per distrarlo durante i viaggi).



Il "non-proprio-tummy-time" può essere un modo per leggergli i libri (in foto, Gnam! A me piace..., di cui vi avevo parlato in questo post), e al cuscinone potete sostituire le vostre gambe, oppure la vostra pancia.

Non so nel vostro caso, ma la mia quanto a "effetto rotolo" non teme certo la concorrenza dei cuscinoni.


     
"Sbrigati! Dai, cosa aspetti? Siamo in ritardo!"
"Ancora un minuto solo, finisco questo gioco e arrivo."
Vi è sembrato di avere un déjà-vu? Da noi questa scena è parte integrante della routine quotidiana: sveglia, pipì, colazione, lavarsi e vestirsi, contrattare fino all'inverosimile per avere un minuto di gioco in più, mettersi le scarpe e uscire.

Sarà per questo che il protagonista di questo albo sta tanto simpatico ai bambini.



Il cavaliere Panciaterra è una lumaca. Pardon, un cavaliere lumaca.
E ogni giorno, quando si sveglia, sa che non c'è un minuto da perdere, perché deve andare in guerra!
Per questo, si prepara molto velocemente (ehm...) per uscire.

L'irresistibile ironia di questo libro, del geniale Gilles Bachelet, che non a caso ha vinto il Premio Andersen 2016 come miglior albo illustrato, sta nel contrasto tra il testo e le immagini: la "frugale colazione" del Cavaliere è in realtà un pasto pantagruelico, la "toeletta veloce" un bagno con tanto di paperette (anzi, paperlumache).



Una volta pronto, il cavaliere inizia il viaggio. Anzi, no.
Prima risponde a qualche lettera, poi dà un bacio a sua moglie e ai suoi piccoli... poi un altro. È il piacere di procrastinare.
Leggendo il cavaliere Panciaterra ci rendiamo conto che con le nostre "guerre" in fondo facciamo un po' anche noi come i nostri bimbi: guardiamo ancora un po' di Facebook prima di affrontare i panni da stirare, rimandiamo la sveglia prima di spegnerla, lasciamo per ultimo quel documento complicato da preparare in ufficio.
Il cavaliere Panciaterra non arriverà in tempo sul campo di battaglia, dove anche gli altri combattenti preferiscono fare altro, e rimandare la guerra ancora un po'. Mentre ci fa ridere, insomma, questo albo porta empatia tra genitori e figli: i piccoli vedono che a rimandare sempre non si fa più nulla, i grandi sorridono e pensano che in fondo, un minuto in più non può fare male a nessuno, se è speso con chi si ama.

L'altro aspetto straordinario di questo albo è la ricchezza delle illustrazioni, che non si limitano mai ad accompagnare i testi (in modo mai didascalico e banale, come abbiamo visto), ma inseriscono nuovi elementi e addirittura nuove piccole storie da scoprire, immaginandole dagli elementi a disposizione.


Analizando le immagini si scoprirà ad esempio che le lumache hanno i bruchi come animali da compagnia, si vedranno degli unicorni-lumaca, si intuirà uno scontro con tre briganti. I più grandi apprezzeranno anche le numerose citazioni: da quelle più quotidiane (il wall di Facebook) a quelle più colte (i mulini a vento di Don Chisciotte o la partita a scacchi ispirata al Settimo sigillo di Bergman).

Il cavaliere Panciaterra ha insomma tantissimi livelli di lettura, e sono certa che potrà accompagnarci per molti anni senza annoiare mai, regalando sfumature, storie e riflessioni diverse secondo l'età.

Noi, intanto, ci siamo fatti quattro risate con questo buffo e lento personaggio, e per giocare con lui abbiamo costruito la nostra personalissima

famiglia panciaterra.

Con una taglierina si preparano tante strisce di carta colorate.


Con la colla, si chiude un piccolo anello a una delle estremità (la testa) e si avvolge l'altra estremità su una penna o uno stuzzicadenti, in modo da creare una spirale.


Infine si disegna il viso e si attaccano altre due striscioline per fare le corna.


Fate vedere una volta come si fa, poi fate fare al vostro bimbo.


Ogni strisciolina può essere decorata con i colori prima di essere incollata e avvolta, per creare tanti Panciaterra uno diverso dall'altro.

E poi? Bisogna sbrigarsi e uscire?
No: poi si gioca tutti insieme con la famiglia Panciaterra, facendosi più coccole possibile. Perché la morale è chiara:
"ci sono moltissime cose che si possono rimandare all'indomani, ma sicuramente non un bel bacio bavoso".




 
Le tre cose di casa che mi riescono peggio: curare le piante, stirare, cucire.
Il mio metodo per attaccare un bottone è "mamma, me lo puoi cucire?".
Quindi ora penserete che io stia cercando di allenare il Piccolo T perché un giorno possa sostituire la nonna nei lavori di sartoria, ma no: vi assicuro che non è questa la ragione per cui gli ho proposto il gioco delle carte da cucire.
 


Avevo semplicemente visto da qualche parte su Pinterest l'idea e mi era sembrata carina, fantasiosa e anche utile per sviluppare la motricità fine, se proprio vogliamo trovarci un motivo "didattico".

Sì, ma cosa sarebbero queste "carte da cucito"? Sono cartoncini con un disegno da completare con un filo di lana o di cotone, da passare attraverso dei buchi, come se si stesse ricamando.

Per crearle, basta immaginare (e disegnare) una figura che contenga elementi "pelosi" o piccoli tratti diritti che possano essere sostituiti dal filo. Potete anche stampare il mio pdf, con le figure che ho preparato per il Piccolo T: un cactus a cui ricamare le spine, una mongolfiera a cui aggiungere i fili e la trama del cesto, un leone che ha bisogno di una criniera pelosa, una signora dall'acconciatura importante, un riccio senza aculei e naturalmente una nuvola, senza pioggia.
I disegni andranno incollati su un cartoncino (quello delle scatole da cereali è perfetto).

Nel pdf troverete le figure "pulite", ma potete seguire le indicazioni del disegno qui sotto per sapere dove creare i fori (mi raccomando: sempre in numero pari):

http://googledrive.com/host/0B_dFi1TzHvBETWFINkUtRWVhdEk

I fori, a proposito: come farli? Ci sono due metodi. Il primo è usare una foratrice. È sicuramente un metodo pratico e veloce, ma c'è un grosso "ma": la foratrice non raggiunge il centro del foglio, si ferma solo a una certa (piccola) distanza dal bordo. Non ho mai trovato una soluzione realmente convincente a questo problema. Il compromesso migliore è stato sostituire, per gli spazi non raggiungibili, la perforatrice con una occhiellatrice (da utilizzare su una superficie apposita come un tappeto da taglio per non rovinare tavoli e pavimenti).
Non è altrettanto veloce e precisa, ma fa il suo lavoro.



Il secondo metodo è usare un punteruolo, su una base di feltro o su una semplice spugnetta da cucina.
Questo metodo darà risultati per certi versi più imprecisi: il retro non sarà piatto ma avrà i segni dei fori di uscita (fa molto CSI, tutto questo). Inoltre, normalmente il punteruolo crea fori più piccoli, quindi sarà poi necessario usare del filo da cucito sottile e non la lana.
Ma il punteruolo è più divertente, più veloce e, soprattutto, potrete farlo usare al vostro bimbo (sotto la vostra supervisione). Non so voi, ma io da piccola lo adoravo.


Ecco fatto. Ora, se usate del filo da cucito, infilatelo su un ago da lana, dalla punta grossa, in modo che non punga.
Se usate la lana, basterà un giro stretto di nastro adesivo a una delle estremità (dovrà sembrare la punta di un laccio da scarpa), in modo da rendere il filo più semplice da infilare.


E ora via: a cucire pioggia di lana, criniere blu e spine di cactus con i fili della fantasia.


           
Non tossire in faccia a tuo fratello!
Non dargli i bacini sulle manine, ché poi le mette in bocca!
Lavati le mani prima di accarezzarlo!
Sono sempre stata dell'idea che i bambini debbano farsi anticorpi e non vivere sotto una campana di vetro, ma di fronte al Piccolo D, nato prematuro e poi ricoverato per una brutta bronchiolite, ho dovuto rivedere un po' la mia filosofia di vita: anticorpi liberi sì, ma aspettiamo di passare almeno i primi mesi di vita.

Ma come spiegarlo al Piccolo T? Come fare in modo che i divieti avessero un senso e non fossero puri e semplici divieti? Come spiegargli che con un semplice contatto col fratello avrebbe potuto trasmettergli una malattia, se il veicolo della malattia è così piccolo da non vedersi a occhio nudo?



Mi è venuto in soccorso un albo illustrato insolito, delicato e curioso al tempo stesso, tanto da aggiudicarsi il Premio Andersen 2016 come miglior libro di divulgazione: si tratta di Mini. Il mondo invisibile dei microbi, di Editoriale Scienza.



Mini racconta la vita dei microbi con un linguaggio chiaro e semplice, ma sempre rigoroso.
Semplifica, ma senza per questo sviare dalla realtà scientifica dei fatti.
Le parole di Nicola Davies fanno divulgazione con i toni del racconto, affascinando senza mai annoiare, e si intrecciano alle illustrazioni di Emily Sutton senza essere didascaliche, ma creando un gioco tra parola e disegno che rende la lettura ancora più coinvolgente.

Si comincia parlando di animali grandi e piccoli, per spiegare che i microbi sono infinitamente più piccoli dell'animale più piccolo che conosciamo.

Si continua spiegando che i microbi possono essere molto diversi tra loro, per forma, funzione e dimensione, e che oltre ai microbi che trasmettono le malattie ce ne sono altri che svolgono compiti importanti, come riciclare i rifiuti o trasformare il cibo.


E si spiega infine come si moltiplicano, questi microbi: dividendosi e dividendosi fino a diventare tantissimi (e come sbarrava gli occhi, il Piccolo T, guardando quella pagina piena di questi minuscoli disegni!). E anche se uno solo era troppo piccolo per essere visto, forse milioni di microbi uno vicino all'altro... ehi, questo mi ricorda qualcosa: un esperimento fatto alle medie con la mia indimenticabile prof di scienze.



Conoscete la capsule di Petri?
Sono dei contenitori che in genere vengono riempiti con uno speciale "terreno" gelatinoso in cui far crescere i microbi, appunto. Si usano in laboratorio proprio perché i microbi da soli sono molto difficili da vedere, mentre invece se si moltiplicano a sufficienza è più semplice riconoscerli.

Alle medie ne avevamo prese alcune per provare a fare una coltura in classe: era stato un esperimento affascinante. Chissà che non si possa ripetere a casa.
Sì, ma dove la trovo la capsula di Petri con il terreno da coltura?
La costruisco, è ovvio!
Così, cerca di qua e googola di là, ecco la ricetta.


Servono:
  • un bicchiere d'acqua
  • 12g di gelatina o, meglio ancora, un cucchiaio di Agar Agar*
  • due cucchiai di zucchero
  • un dado da brodo (i microbi non sono schizzinosi: non serve la gallina vecchia)
  • le piastre di Petri oppure dei contenitori di plastica con il coperchio, tipo Tupperware
  • delle etichette.
* l'Agar Agar sarebbe da preferire, sia perché la gelatina tende a sciogliersi con il calore, sia perché alcuni batteri tendono a liquefarla. In effetti, al termine del nostro esperimento, nelle capsule si era formato un po' di liquido.

Se si usano dei contenitori, meglio sterilizzarli prima facendoli bollire in acqua, in modo da evitare contaminazioni (si fa scienza seria, qui!).
Poi, si fa bollire il bicchiere d'acqua e si sciolgono al suo interno lo zucchero, la gelatina e il dado.
Si versa nei contenitori (meglio filtrare, altrimenti reseteranno visibili, come è successo a me, le impurità del dado) e si mette in frigorifero per un giorno a solidificare.

E ora, via all'esperimento!
Prendete vostro figlio, appena tornato a casa dopo un pomeriggio di gioco. Fategli strofinare leggermente le dita sulla gelatina di una delle capsule e copritela (potete usare i coperchi del contenitore, ma è meglio chiudere con della pellicola trasparente, per vedere l'evoluzione della coltura. Abbiate cura comunque di sigillare bene il contenitore per evitare contaminazioni).
Etichettate questa capsula con la scritta:
MANI SPORCHE.

Ora, ri-prendete vostro figlio, lo stesso di prima, e fategli lavare accuratamente le mani con il sapone, strofinando bene. Poi fategli strofinare i polpastrelli sul secondo contenitore, copritelo ed etichettatelo:
MANI PULITE.


Siccome mi avanzava della gelatina, ho aggiunto un terzo recipiente, quello "di controllo" (ok, è un po' presto per spiegare nei dettagli il metodo scientifico al Piccolo T, ma l'ho fatto per me).

Ora, riponete i contenitori in un luogo non troppo caldo per qualche giorno. Andate a verificare di tanto in tanto l'andamento della vostra coltura.

Dopo cinque giorni, questo era l'aspetto del nostro contenitore "mani pulite" (nel cerchio rosso, l'unica colonia che si è sviluppata):


 E questo, invece, era il contenitore "mani sporche", che abbiamo esaminato con una lente d'ingrandimento:

(Per la cronaca, se ve lo state chiedendo, la capsula "di controllo" era perfettamente pulita).

Mi raccomando, dopo l'esperimento buttate via le gelatine contaminate, lavatevi bene le mani e lavate molto bene i contenitori (se possibile sterilizzateli di nuovo)!
E se vostro figlio vi chiede di comprare un animaletto da compagnia, no: i microbi non valgono (e i gatti di polvere, invece?).


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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