Nuvole in scatola
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Ci sono al mondo tanti tipi di papà. Papà padroni, papà brontoloni, papà sempre impegnati.
E poi ci sono, per fortuna sempre più spesso, papà come il nostro, che non hanno nulla di diverso da una mamma (se non biologicamente parlando): preparano colazioni, valigie e vestiti, cambiano pannolini, puliscono casa.


A loro dedico questa idea last minute per la festa del papà, con un libro e un biglietto velocissimo.
Il papà che aveva 10 bambini, di Bénédicte Guettier (ape junior) parla proprio di un papà tuttofare: ogni giorno questo papà prepara 10 colazioni, infila 10 magliette, 20 calzetti, e così via. (sì: è anche una buona scusa per introdurre qualche concetto di matematica!).


L'albo descrive la sua giornata, con immagini spesso particolarmente buffe, come quella della macchina di papà piena zeppa di marmocchi urlanti.
Le scene sembrano disegnate da un bambino, senza troppa logica: i bambini sembrano tutti della stessa età, e nonostante siano pelati come neonati, vanno a scuola. Ma questi dettagli, solo apparentemente ingenui, non fanno che avvicinare al piccolo lettore il mondo descritto, che potrebbe altrimenti sembrare la solita lamentela dell'adulto che lavora tutto il giorno.


Le scene si susseguono piene di sorrisi e affetto, ma alla fine della giornata, dopo aver letto una storia e dato 10 bacini, il papà è esausto.


In gran segreto, il papà di notte si costruisce una barca. Anche questa è raffigurata con occhi bambini, come una barchetta di carta.
I bambini sono entusiasti quando la vedono, ma in realtà il papà vuole partire da solo per un viaggio di "almeno 10 mesi", e lascia i bimbi alla nonna (la mamma in questo albo non c'è, non si sa dove sia, non viene mai nominata).


Dopo aver riposato un po', il papà si sveglierà e, con un gesto automatico, preparerà 10 colazioni. È in quel momento che si renderà conto che lui 10 mesi senza i suoi bimbi non ci vuole stare, così torna a prenderli e parte insieme a loro.

Il papà che aveva 10 bambini è una lettura leggera e simpatica, adatta già dai 3 anni di età, che attraverso il divertimento veicola alcuni messaggi importanti: innanzitutto quello sulla parità di genere, con il papà che non è meno papà solo perché fa cose tradizionalmente "da mamma", e poi la forza e la debolezza di un genitore, che a volte ha bisogno di staccare, ma non per questo ama di meno i suoi figli.

Se avete anche voi un papà così, regalategli Il papà che aveva 10 bambini con un biglietto speciale: preparate una barchetta di carta con un foglio A4 (sapete come si fa, vero?), riempitela dei suoi cioccolatini preferiti e aggiungete una bandierina per lui.


Se avete figli che sanno scrivere, potete nascondere una letterina nel foglio ripiegato a barchetta.
E per un giorno, lasciatelo navigare in libertà.


Non è facile mettersi all'altezza dello sguardo dei bambini, riuscire a lasciar andare la propria immaginazione senza paletti, scordando le regole della fisica e della società per credere all'impossibile, come loro fanno ogni giorno.
Non è facile entrare nei giochi dei bambini, con la loro logica (apparentemente) senza logica, ma quando si riesce a farlo, il risultato è potente.


Per abbassarsi all'altezza dello sguardo bambino, Marie Dorléans, autrice e illustratrice, è montata a cavallo, e ha creato Gran premio!, un albo sorprendente e sorprendentemente comico, ben tradotto da Federico Appel per Sinnos.

L'originalità di questo albo traspare immediatamente dal suo formato, molto sviluppato in orizzontale (30 x 17 cm), non per vezzo artistico ma per dare maggior valore a una narrazione che in questa larghezza sa esprimere tutto il suo potenziale.

Vediamo per prima cosa gi spettatori, tutti ben schierati e accalcati con i loro binocoli per guardare la corsa (ma la stanno guardando proprio tutti?).


E ora, ecco: cavalli e fantini sono pronti a partire.
La calca a sinistra della doppia pagina, contrapposta all'ampio spazio vuoto a destra, rende l'idea dell'attesa della partenza, del lungo percorso della corsa da intraprendere.


Bang! La corsa ha inizio.
Finalmente i cavalli possono occupare tutto lo spazio della doppia pagina, spiegando le zampe in un veloce galoppo, incalzante come il testo che lo descrive. Il tono è quello di una cronaca sportiva: neutro, concitato. Non c'è spazio per l'ironia tra le parole, che restano serie e professionali, rendendo ancora più evidente la contrapposizione con la follia delle immagini.

Il ritmo si ferma momentaneamente per mostrarci il primo siparietto comico: tre concorrenti rimasti sulla linea di partenza perché avevano scelto dei cavalli non proprio adeguati (uno è una statua, gli altri non ve li svelo per non rovinarvi la sorpresa).


E man mano che la corsa prosegue, dettagli più o meno evidenti rendono sempre più divertente la storia, fino alla beffarda premiazione finale.

Il lessico utilizzato è ricercato e mai banale, ma anche le parole difficili diventano comprensibili inserite nel loro contesto. Viene naturale leggere Gran premio! con voce un po' nasale, da cronista d'altri tempi, ritmato ma impassibile agli eventi, mentre i bimbi si divertono a cercare tra le immagini i dettagli più divertenti.

Gran premio! è un albo che invita alla rilettura, per godersi al meglio ogni particolare, cercare nella corsa le trovate più assurde e originali immaginate dall'autrice, e a ogni lettura lasciarsi andare a qualche nuova risata.
È un libro fatto di incastri perfetti: il formato, il tono di voce serio, le illustrazioni folli lavorano assieme per creare una narrazione dal potente effetto comico, una storia in cui ogni pagina è una nuova sorpresa.


Dopo averlo letto (e riletto, e riletto, e riletto) ci è venuta voglia di creare un

gran premio fai da te


Abbiamo preso un po' di cartoncino colorato, stuzzicadenti e il coperchio di una scatola di scarpe.


Abbiamo ritagliato un foglio verde grande quanto il coperchio e abbiamo tracciato tre linee graduate.


Abbiamo poi ritagliato tre cavallini di carta (anzi, sei), attaccandoli ognuno ai due lati di uno stuzzicadenti.


Infine, abbiamo incollato il foglio al coperchio, ripassato le tre linee con il taglierino per creare delle corsie e infilato i cavalli.


Come si usa questo "gran premio"? Noi abbiamo trovato tre modi diversi:
  1. Come gara ai dadi. Ognuno sceglie un cavallo e lo fa avanzare lungo le tacche della linea tirando un dado. Vince naturalmente chi arriva per primo al traguardo.
  2. Come segnapunti. Se state giocando a un gioco in cui è necessario segnare i punti, questa è un'alternativa (un po' ingombrante, ma più divertente) al solito foglietto di carta: a ogni partita vinta, il cavallo avanza di un punto lungo la linea graduata.
  3. Come gran premio, appunto. Lasciatelo in mano ai bimbi: si inventeranno una corsa di cavalli ricca di avventure e colpi di scena, come solo loro (e Marie Dorléans) sono in grado di fare.

Se c'è una cosa che non smette di stupirmi dei bei libri (quelli per bambini come quelli per adulti) è la capacità di creare immedesimazione anche con personaggi molto diversi da noi.
Chi legge sa che può diventare uomo, se è donna, sportivo, se è sedentario, perfino ladro, anche se è onestissimo. E naturalmente, può diventare un animale, come un gorilla.


Le vie dell'immedesimazione sono generalmente due: una storia avvincente, che fa dimenticare le differenze tra lettore e protagonista, oppure somiglianze insospettabili.

Buonanotte, gorilla!, famosa opera della statunitense Peggy Rathmann, (ri)edito di recente da Lupoguido, percorre quest'ultima strada, e lo fa con una semplicità disarmante.


La storia è quella del guardiano di uno zoo che la sera dà la buonanotte a tutti gli animali. Nei suoi gesti vediamo la stanchezza, ma anche un certo affetto verso tutti loro, dal momento che si sofferma a salutarli uno per uno.

Il gorilla, però, con il suo sguardo furbetto, ruba le chiavi al custode, troppo assonnato per accorgersene, apre la propria gabbia e poi lo segue, aprendo anche tutte le altre poco dopo ogni suo saluto.


E così vediamo una lunga coda di animali – una giraffa, un elefante, un armadillo e altri ancora – seguire l'ignaro custode fino a casa, proprio di fronte all'entrata dello zoo.


E quando la moglie spegne la luce e gli dà la buonanotte, sorpresa!
Nella tavola completamente nera spiccano tanti fumetti bianchi che rispondono "buonanotte" (un effetto comico riuscitissimo, ripreso anche nei risguardi del libro): gli animali fuggiaschi sono un po' ribelli, ma molto educati!

La moglie sgrana gli occhi, ma non si perde d'animo. Si direbbe che non è affatto la prima volta che vive questa scena. Prende per mano il gorilla e riaccompagna gli animali – che seguono ubbidienti in fila indiana – nelle loro gabbie.
Ma il gorilla si libera ancora. Con un dito davanti alla bocca e lo sguardo che sfonda la "quarta parete", chiede la complicità dei lettori, mentre si infila di nuovo nel letto del custode e di sua moglie.

Buonanotte, gorilla! è un albo fatto di pochissime parole e di immagini molto eloquenti, e non è affatto difficile riconoscere in quel gorilla e in quello zoo i nostri bimbi che, messi a letto, cercano scuse e stratagemmi per infilarsi nel lettone di mamma e papà. Il riconoscimento del proprio comportamento in quello di un animale selvaggio è al tempo stesso umoristico e catartico, e l'albo risulta così tenero e comico allo stesso tempo, e si fa godere come solo i libri belli sanno fare.

Al minimalismo verbale della storia si affiancano immagini ricche di dettagli, che permettono più livelli di decodifica: se a una prima lettura ci si soffermerà sulla storia, nella sua semplicità, nelle successive si potranno esplorare le illustrazioni alla ricerca di piccoli indizi, come gli elementi bambineschi (palle, pupazzetti, biberon) presenti in ogni gabbia, o le foto di famiglia in casa del custode, dove vediamo gli animali come fossero figli della coppia.


Un libro perfetto per dare la buonanotte, nel lettone o nel lettino che sia.


E per proseguire il gioco dell'immedesimazione... mettete i bimbi in gabbia!
No, non davvero (e se passano i servizi sociali, non sono comunque stata io a suggerirvelo!), ma per gioco. Vi serviranno un tavolino, un sacco della spazzatura e un po' di nastro adesivo.


Tagliate tante striscioline nere e fermatele a mo' di sbarre a terra e poi sul lato superiore del tavolo.


Lasciate un'apertura da un lato del tavolino e fate entrare le vostre belve!


Non servirà nemmeno rubarvi le chiavi per evadere e finire nel lettone. Soprattutto se siete così stanchi, dopo aver tenuto a bada un intero "zoo" per tutto il giorno.





È più o meno a due anni che il bambino inizia ad approcciarsi al gioco simbolico, a quel "far finta di" che lo fa compiere azioni simili a quelle che compiono gli adulti attorno a lui.
Strumenti del gioco simbolico possono essere dei giochi pensati e prodotti ad hoc (la cucina giocattolo), strumenti reali ma usati per finta (una pentola vera, ma senza il gas) oppure oggetti quotidiani che ricordano nella forma lo strumento che sono chiamati ad imitare (stelle filanti per fare gli spaghetti).

No, aspettate: c'è un quarto stumento che avevo dimenticato: un libro.


Coniglietto fa il bagnetto è un perfetto esempio di gioco simbolico racchiuso tra le pagine di un libro (Terre di mezzo editore).
Storia e formato (quadrotto, cartonato) lo rendono adatto proprio ai due anni di età, il momento perfetto per scoprire che con i libri si può anche giocare.
Il meccanismo "interattivo" è quello che abbiamo già conosciuto con Tullet o altri libri simili: il libro chiede di compiere una determinata azione e a questa azione corrisponde un effetto nella storia. Un po' come un videogioco, ma con la carta al posto dei pixel e l'immaginazione al posto della tecnologia.


All'inizio del libro vediamo una tinozza vuota e l'occorrente per il bagnetto pronto all'uso. Il libro invita il bambino a chiamare: "Conigliettooo?".

Nella pagina successiva, coniglietto appare, ma ora va insaponato. Un tocco alla goccia che esce dal flacone e una strofinata alla testa ed ecco comparire, nella pagina successiva, una bella schiuma.


Non sempre va tutto liscio: al momento di accendere il phon, si scopre che non funziona, quindi che fare? Si soffia forte per ascigare le orecchie a coniglietto.


Le pagine si susseguono con immagini semplici e ben definite, dai contorni netti, e sfondi a colore uniforme, blu per la fase di bagnetto, gialle per quella dell'asciugatura.
La storia ripercorre semplicemente la routine di un bagnetto qualsiasi, in cui il bambino si riconosce facilmente, ma portando l'elemento di divertimento attraverso l'interazione. C'è insomma quel giusto mix tra già noto e nuovo che desta l'attenzione del bambino e lo stimola senza destabilizzarlo, anzi rassicurandolo.
Anche sul fatto che il bagnetto può essere un gioco.

A proposito, per rendere più divertente il momento del bagnetto, non servono giocattoli costosi e ingombranti. Ecco a voi

Tre insospettabili giochi da bagnetto che probabilmente avete già in casa.


1. Contenitori per il cibo

Sì, quelli di plastica da frigo / freezer / microonde. Che ci può fare un bimbo? Dategliene uno e vedrete. Sarà una barca, uno strumento per i travasi, e se fate qualche buco sul fondo, anche una doccia.

2. un imbuto.

Da solo, o meglio ancora abbinato ai contenitori di cui sopra, lo aiuterà a sperimentare varie leggi di fisica.


3. La gomma crepla.


Avete qualche avanzo di gomma crepla dal vostro ultimo lavoro di fai da te? Ritagliatelo in forme geometriche (o, per i bimbi più grandi, a forma di numeri e lettere). Se bagnata, la gomma crepla si appiccica alla superficie della vasca, che diventa così una lavagna perfetta per creare scritte e disegni.

Tutto questo per convincerli ad entrare in vasca. Per convincerli a uscire non lo so, io ci sto ancora lavorando.

Scrivere un libro per un "toddler", quell'età che va all'incirca da uno a tre anni, significa affrontare prima di tutto il più grande ostacolo alla lettura: l'incapacità di stare fermi.
È l'età in cui un bambino impara a camminare, e poi a saltare, e a calciare una palla, e questa scoperta del proprio corpo è così irresistibile da rendere noioso tutto il resto.


A meno che quel "tutto il resto" non assecondi questo suo bisogno di muoversi e di esplorare il proprio corpo e ciò che può esprimere.
Pandino cosa fa? è un esempio perfetto di libro che risponde a questa esigenza, perché la sua esperienza di lettura non è confinata allo stare zitti e seduti ad ascoltare, ma è partecipativa, e coinvolge tutto il corpo, facendo confluire le grandi energie fisiche e dell'immaginazione che tutti i bimbi hanno.

A Pandino piace muoversi e imitare le forme.
Vuoi giocare con lui?
È il libro stesso a suggerire al piccolo lettore di muoversi e imitare Pandino.


Pagina dopo pagina, Pandino si piega, si gira si accuccia, salta e imita oggetti ed elementi naturali.
Le immagini, nette su fondo bianco, mostrano la preparazione con i gesti di Pandino, corredati da semplici istruzioni, e poi l'oggetto della sua "mossa", umanizzato, anzi, "pandizzato" dall'aggiunta degli occhietti di Pandino.


Tutto qui: Pandino cosa fa? (Terre di mezzo editore) ha una struttura semplicissima, e altrettanto accattivante. Si susseguono varie azioni, come la mossa della trottola, del razzo e della polpetta di riso (l'autore, Satoshi Iriyama, è giapponese).


Finché Pandino diventa una palla che rotola, rotola e rotola da una pagina all'altra, fino a finire tra le braccia della mamma, riposo da un'attività che è insieme fisica e mentale: il corpo si muove, l'immaginazione si immedesima.


L'invito implicito è proseguire il gioco anche dopo la lettura, per prendere consapevolezza del proprio corpo, delle sue possibilià, delle somiglianze e differenze con gli oggetti quotidiani che ci circondano.

E una volta acquisita padronanza con il gioco, perché non esplorare le possibilità che si aprono quando le "mosse" sono fatte in due, allenando anche la cooperazione e la sintonia?


Due corpi dritti e quattro braccia oblique che si uniscono possono fare la mossa della casa.


E che dire della mossa del bowling?
Anche se il birillo non è rimasto proprio impassibile all'arrivo della palla.


Ho un ricordo vivido del passeggino con cui mi portavano in giro da piccola: era blu, con due manici e alto circa due metri.
Ok, lo so: non poteva davvero essere alto due metri, ma è così che me lo ricordo: immenso, più alto di me. Solo che ero io ad essere piuttosto bassa, all'epoca. Questione di punti di vista.


La relatività non è un concetto semplice da capire, per i bambini. Ancora adesso, a 7 anni, il Piccolo T mi fa domande come "Ma un'ora è tanto o poco?". Ci sono però modi di raccontarla che la rendono accessibile, e anche molto divertente.
Ci sono riuscite perfettamente Chiara Vignocchi e Silvia Borando, con Ho visto una talpa.

L'albo inizia con un elefante, grosso e ingombrante su una doppia pagina nera, che dice di aver visto una talpa piccolissima.


Poco dopo, una minuscola formica, anch'essa bianca su fondo nero (e come si nota bene la differenza d'impatto!), dichiara di aver visto una talpa molto grande.


E via via, si susseguono diversi animali, con l'inconfondibile tratto stilizzato e caricaturale della Borando, e ognuno racconta la "sua" talpa, con caratteristiche molto diverse da quelle già sentite in precedenza e in qualche modo legate, per contrasto o per "visione", all'animale che le descrive: la lenta lumaca ne vede una velocissima, mentre il ragno, con i suoi tanti occhi, ne ha viste molte.

A ogni affermazione rispondono meravigliati, nella doppia pagina seguente, tutti gli altri animali (tranne naturalmente quello che ha appena parlato), stavolta disegnati in nero su fondo bianco, in un susseguirsi di contrasti opposti.

Il piano d'ascolto è particolarmente curioso, sia perché ogni volta gli animali si producono in una diversa espressione di stupore ("Ooooh!", "Uuuuh!", "Ma guarda!"), sia perché, visti così ben disposti sulla pagina, viene voglia di controllare che ci siano tutti, e come siano sistemati questa volta.


Semplice e geniale, come tutte le produzioni Minibombo, Ho visto una talpa si presta perfettamente a una lettura ad alta voce, nella quale riprodurre i diversi timbri degli animali ed enfatizzare le loro espressioni di stupore, con un effetto sempre più comico.

I bimbi più grandi, che ben conoscono le caratteristiche di ogni animale (e forse, se un po' smaliziati, anche di certi libri) capiranno il gioco prima della fine, quando, tutti insieme, gli animali riconosceranno nella stessa talpa quella di cui stavano parlando.


Per i più piccoli sarà invece una scoperta inaspettata. Per tutti, diventerà un interessante esercizio di pensiero su come il nostro modo di essere ci faccia vedere le cose in modo diverso.
Così, senza morale, con leggerezza, ma con grande efficacia.

Ma le sorprese non sono finite, e il finale strapperà ancora una risata a tutti i lettori, genitori compresi.

Ma voi, una talpa, l'avete mai vista? E l'avete mai costruita?
Ve ne propongo una con tanto di tana, fatta soltanto con un bicchiere di plastica (meglio ancora se è di carta), uno stuzzicadenti da spiedino e qualche foglio di cartoncino colorato (o da colorare).


Rivestite il bicchiere con uno strato di "terra" e uno di erba, tagliuzzando la carta tutt'attorno. Se il bicchiere è di carta, potete anche colorarlo.

Per creare la talpa, prendete del cartoncino nero e ritagliate due sagome identiche a forma di arachide, con una sporgenza a punta da un lato. Aggiungete degli occhietti, un nasino e le zampe.


Attaccate i due lati della talpa allo stecchino e fatelo passare da un buco sul fondo del bicchiere.
Ed ecco la vostra talpa che entra ed esce dalla sua tana.


PS: Per giocare con Ho visto una talpa, c'è anche il sito di Minibombo, che come sempre propone attività intelligenti e stimolanti, per giocare stavolta proprio su diversità e punti di vista. Non perdetevelo.

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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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