Nuvole in scatola
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Non sono un'assidua frequentatrice del genere giallo, ma quando mi capita di leggerne uno, prima ancora del mistero da scoprire mi lascio affascinare dalla personalità dell'investigatore.

È una caratteristica quasi imprescindibile, sebbene non codificata, del genere quella di dare vita a protagonisti arguti di cui però si apprezzano vizi e vezzi: la golosità, spesso, ancora più spesso una certa indolenza, e un carattere di norma schivo e solitario.

Il commissario Gordon e le nocciole scomparse

È gustoso rivedere queste caratteristiche calate in un libro di narrativa per bambini: Gordon ha lo spirito di molti grandi investigatori della letteratura, solo che è un rospo.
Facciamo la sua conoscenza in Il commissario Gordon e le nocciole scomparse, primo della serie di libri su questo personaggio scritti da Ulf Nilsson, portato in Italia da Lupoguido. Lo troviamo addormentato sulle sue carte, con la bocca sporca di briciole, quando uno scoiattolo lo cerca per sottoporgli il suo caso: qualcuno ha rubato tutte le sue nocciole.

Il "delitto", naturalmente, è a misura di bambino, senza spargimenti di sangue, ma il nostro capo della polizia lo prende molto seriamente, tanto da appostarsi immobile nel tentativo di scovare il ladro, finendo totalmente ricoperto di neve.

Il commissario Gordon e le nocciole scomparse

Non è un campione di azione, il commissario Gordon, e per fortuna lungo la sua indagine, tra una falsa pista e l'altra, trova un'assistente più dinamica e coraggiosa di lui. Gordon ha un'indole tranquilla, che emerge anche dalle illustrazioni, che lo mostrano con i suoi occhi da batrace, sempre con la palpebra a mezz'asta, e come molti degli investigatori letterari ama la buona tavola, per la quale si concede qualche pausa dal lavoro.

Il commissario Gordon e le nocciole scomparse

La sua arguzia, poi, più che sul caso stesso, si rivela soprattutto con le persone, o per meglio dire i personaggi. La sua è un'intelligenza emotiva, di chi sa cogliere il dramma di chi ruba per fame e sa punire i veri colpevoli sfruttando le loro stesse debolezze.

Il commissario Gordon è un libro di narrativa adatto anche ai lettori non del tutto fluidi, grazie ai suoi capitoli brevi e alle numerose illustrazioni. E forse non si tratta dell'indagine densa di mistero e indizi da scovare e colpi di scena imprevisti, ma a quel tranquillo e goloso rospo che sa pensare con la testa e con il cuore ci si affeziona facilmente, e noi non vediamo l'ora di leggere la sua prossima avventura.



Tutti siamo narratori.

Tutti raccontiamo ogni giorno qualche storia, perlomeno a noi stessi, spesso proprio su noi stessi. È questo che ci rende umani. Se leggiamo libri ai bambini è soprattutto per questo. E poi, sì, ci sono l'amore per l'arte e la letteratura, ma prima ancora c'è il bisogno di storie.

Come raccontare le storie ai bambini

Come raccontare le storie ai bambini Ã¨ un libro insolito, prima di tutto per motivi editoriali: una casa editrice di libri per bambini e ragazzi (Il Castoro) che pubblica un manuale su come raccontare storie ai bambini senza libri... è già sufficientemente strano, non trovate?

Ma se le storie sono ciò che ci rende umani, esse sono anche un meraviglioso veicolo di comunicazione con i bambini, che ci pone sul loro stesso livello, a parlare la loro stessa lingua. Gli autori, due educatori, Silke Rose West e Joseph Sarosy, sottolineano soprattutto l'aspetto relazionale delle storie, la loro capacità di creare un legame che spesso ci permette di superare anche momenti difficili.

Come raccontare le storie ai bambini

Silke Rose West e Joseph Sarosy ci offrono i loro trucchi per improvvisare e inventare racconti e ci svelano il meccanismo per cui, ancorandosi alla realtà, si può affrontare alcuni problemi che altrimenti genererebbero frustrazione, semplicemente inserendoli in un contesto immaginario, affidandoli a personaggi ed eventi esterni a noi.

Come raccontare le storie ai bambini ha, a mio parere, il vizio comune a molti manuali di auto-aiuto di dichiarare "metodo" qualcosa che metodo non è, ma nondimeno dà consigli utili e spunti interessanti per inserire le storie in un contesto quotidiano dove di solito non le infiliamo mai.
Non stiamo parlando della routine di lettura, ma della creazione dal nulla (o meglio, da un elemento di realtà) di racconti completamente inediti, che trovano la loro forza non nella creatività del genitore o nella sua capacità artistica ma proprio nella possibilità di creare un legame tra immaginazione e realtà.

Gli autori lo sottolineano spesso, e io ci credo molto: l'aspetto più importante non è saper dare vita a una storia perfetta, ma dedicare un momento esclusivo al bambino e creare qualcosa che il bambino riconosca come sua, vostra.

Accanto a spiegazioni sull'importanza delle storie e a suggerimenti su come inventarle, gli autori inseriscono dei piccoli esercizi utili per "sbloccare" i propri freni inibitori ed esplorare nuove possibilità.
Inoltre – elemento importantissimo – concludono ogni capitolo con l'esempio di una storia da loro inventata, con la descrizione del contesto da cui è nata e delle reazioni ottenute: un elemento che forse più ancora delle spiegazioni teoriche è utile per capire i meccanismi creativi e dare lo spunto per raccontare.

Come raccontare le storie ai bambini

Come accade per molti manuali rivolti a genitori o educatori, la funzione di Come raccontare le storie ai bambini Ã¨ più che altro quella di ispirare, di spronare. Non a caso la sera stessa, di fronte alla mia piccola che non ne voleva sapere di dormire dopo le solite letture, ho sperimentato subito l'idea di una storia tutta nostra, e ammetto che ha funzionato: la piccola M si è calmata e addormentata in poco tempo.

Insomma, tranquilli: Come raccontare le storie ai bambini non prevede di accantonare libri e albi illustrati, ma vi farà scoprire che le storie non sono soltanto lì dentro, ma ovunque attorno a noi, e soprattutto dentro di noi.


La conquista delle piccole autonomie quotidiane è uno degli aspetti più frustranti e allo stesso tempo entusiasmanti dell'essere bambini.

Procede inevitabilmente per tentativi ed errori, ed è uno di quei casi in cui il modo in cui si prende l'errore fa la differenza: solo chi lo accetta come un'occasione per imparare fa dei veri passi avanti. Chi al contrario lo vive male, si arrabbia e si scoraggia, generalmente rinuncia, almeno finché non ha dimenticato la frustrazione ed è pronto a riprovare.

Io so vestirmi da sola

Elena Odriozola racconta il primo di questi due atteggiamenti, quello positivo e determinato, in Io so vestirmi da sola, un libretto che parla ai bambini più piccoli (dai due anni circa) mettendo in scena il percorso di scoperta verso una nuova conquista.

Lupoguido inaugura con questo titolo una serie di libri dedicati proprio a questa fascia d'età, alle routine  e alle scoperte che comporta.

Io so vestirmi da sola

Con un gusto visivo un po' vintage, con colori caldi e spenti, quasi autunnali, e una copertina che richiama le grafiche degli anni Venti (quelli prima di questi Venti che stiamo vivendo, intendo), Io so vestirmi da sola sembra trattare "da adulti" i più piccoli, e in fondo anche in questa scelta riconosciamo una rappresentazione del loro desiderio di autonomia.

Non sembra essere un caso nemmeno il fatto che la protagonista sia sola, a esclusione del cane che osserva i suoi progressi: imparare a vestirsi è una conquista di cui il bambino che legge, così come la bambina rappresentata, vuole prendersi tutto il merito, con spirito caparbio e orgoglioso.

Io so vestirmi da sola in effetti parla direttamente ai bambini, con poche parole semplici e dirette, senza nulla sotto cui scavare, e un ritmo regolare e rassicurante, che si ripete dall'inizio alla fine con un susseguirsi di elementi quasi uguali a loro stessi.

Io so vestirmi da sola

Sulla pagina di sinistra vediamo l'armadio, scuro con gli indumenti bianchi. A destra, la bambina che di volta in volta ne prende uno e prova a indossarlo, chiedendosi come fare e sbagliando: una volta mette le mutande in testa, un'altra il vestito sottosopra.

Aprendo la pagina di destra, però, la scena si allarga e la situazione si risolve: la bambina ha indossato l'indumento correttamente. Via via che le pagine scorrono, l'armadio si svuota e la bambina si veste. Gli indumenti bianchi, che spiccano sul fondo, hanno un ruolo da co-protagonisti nell'albo: il piccolo lettore li vede gradualmente abbandonare l'armadio e trovare il proprio posto addosso alla bambina. Il volto della piccola non rivela grande emozione, di fatto non accade nulla se non questo processo di vestizione: ma è proprio questa semplicità, questa riconoscibilità del quotidiano, che parla ai bambini con il loro linguaggio, permettendo loro di riconoscersi.

Io so vestirmi da sola non è un libro nato per insegnare (per quanto, di fatto, lo faccia, presentando l'ordine dei gesti da seguire per imparare a vestirsi), è più una storia in cui rispecchiarsi, per rivivere quella frustrazione di sbagliare, quel passo falso che poi, se lo si sa superare, sa portare molto avanti nella strada per diventare grandi.


Il bello dei personaggi immaginari è che non hanno regole precostituite a cui attenersi, non necessariamente, perlomeno.

Sappiamo che i vampiri amano il sangue e odiano il sole, ma possiamo benissimo immaginare un vampiro vegetariano, e se è vero che i draghi sputano fuoco, ce ne sarà di sicuro uno che vuole fare il pompiere (citazione per genitori di una certa età). E poi ci sono categorie, come quella dei "mostri", in cui tutto è possibile. In fondo, cosa sappiamo dei mostri?

i mostri non bevono frappe

Perché i mostri non bevono il frappè? ce ne rivela alcune caratteristiche, ma più che raccontarci cosa fanno i mostri, ci spiega quello che non fanno: non vanno dal parrucchiere, non portano gli occhiali, non hanno paura del buio.

L'albo, pubblicato da Terre di mezzo editore, offre una carrellata curiosa e assolutamente casuale di mostri di ogni genere: Marie-Hélène Versini li cala in contesti quotidiani, in situazioni umane in cui non ci aspettiamo di vedere delle creature simili e le illustrazioni Vincent Boudgourd colgono perfettamente la portata umoristica di questi accostamenti.

I mostri sono assurdi e ridicoli, mai spaventosi. La tecnica mista di acquerello e matita li rende caricaturali nelle epsressioni e imprecisi nei contorni, quasi fossero disegnati dalla fantasia stessa dei bambini.

Il resto è un gioco di scoperta in cui il bambino è tacitamente invitato a scoprire il legame tra testo e immagine, che a volte è di causa, a volte di conseguenza, a volte né l'uno né l'altro.

i mostri non bevono frappe

I mostri non vanno da parrucchiere, perciò hanno la testa completamente spettinata (e comunque quel mostro mi somiglia un po', sappiatelo).

I mostri non indossano le scarpe perché hanno un unico enorme piede che non entra in alcuna calzatura.

i mostri non bevono frappe

Ma c'è un perché (nel senso di causa, stavolta) che unisce tutti questi "non", e non posso dirvelo senza spoilerare, quindi mi fermo qui. Vi basti sapere che è un perché rassicurante (non che i mostri, così disegnati, potessero fare paura), e che un po' sovverte una delle regole non scritte della fiction, quella di non dichiararsi tale.

Perché i mostri non bevono il frappè? è però prima di tutto un libro con cui divertirsi e che invita a proseguire il gioco oltre le sue pagine, inventando nuove cose che i mostri non possono fare o disegnando nuovi mostri dalle forme ancora più improbabili. È questo, dicevamo, il bello dei personaggi immaginari: che non hanno limiti, e allora una volta chiuso il libro, si può lasciare ancora aperta la fantasia.


Non è propriamente un genere letterario codificato, ma ci sono molti elementi comuni che uniscono la maggior parte delle "storie del bosco": la sensazione di lentezza della vita di questi animali antropomorfizzati, l'ingenuità di molti di essi, la loro generosità. Sono caratteri che ritroviamo in tanti libri anche moto diversi tra loro, da Winnie Puh alle Storie di animali di Toon Tellegen.

Il giorno in cui la talpa quasi vinse la lotteria

Ritroviamo questa atmosfera anche nel meraviglioso Il giorno in cui la talpa (quasi) vinse la lotteria, di Kurt Bracharz (edito in Italia da Lupoguido): mentre lo leggiamo, ci sembra di entrare in un mondo già familiare, dove possiamo imbatterci, superato un sentiero o guadato un torrente, in uno dei personaggi che già abbiamo conosciuto in altre letture, o in qualche favola ascoltata chissà dove.
Anche nelle illustrazioni di Tatjana Hauptmann ritroviamo l'eco di immagini familiari, con qualche espressione che ricorda ad esempio gli animali di Wolf Erlbruch.

Ma Il giorno in cui la talpa (quasi) vinse la lotteria resta un libro fresco, che sa unire umorismo e delicatezza e lascia entrare il lettore come spettatore incantato in quel mondo profumato di resina e clorofilla.

Il giorno in cui la talpa quasi vinse la lotteria
 
Tutto ha inizio quando la talpa riceve dalla chiocciola una lettera che le annuncia una vincita alla lotteria.
Aggiungo qui una breve nota di merito per la brava traduttrice, Valentina Freschi, che ha ridato dignità alla parola "chiocciola" e all'animale corrispondente, che nei libri per l'infanzia passa quasi sempre per lumaca.

La lettera, dicevamo, annuncia alla talpa la sua vincita, ma a dire il vero il destinatario della lettera non sarebbe talpa, ma "Tappa". Saputo però il contenuto del messaggio, la talpa (insieme all'amico maiale) cerca di convincere la chiocciola di essere proprio "Tappa", con tentativi buffi e maldestri. 
Avidità? No, la talpa si dimostra in realtà molto generosa, e vuole condividere il suo premio con gli animali del bosco, o perlomeno con coloro che ne hanno più bisogno.

Il giorno in cui la talpa quasi vinse la lotteria

Il resto è una storia di coralità, di ingenuità, di inganni, di trame nascoste, di indizi disseminati e di svelamenti, narrata con un umorismo garbato e mai eccessivo. 
Il giorno in cui la talpa (quasi) vinse la lotteria è una storia deliziosa, una fantastica prima lettura che fa ridere, sorridere, sospettare e gioire, fresca come il sottobosco, semplice e viva come un prato scaldato dal sole.


Non so voi, ma io da piccola sognavo la bacchetta magica che trasformava Yu in Creamy (l'indicazione di questo cartone animato potrebbe fornire indicazioni sulla mia età anagrafica, ma voi ignoratele), oppure, qualche anno più tardi, di trovare "quel" libro, con l'Auryn sulla copertina, che mi proiettasse verso Fantasia.

L'oggetto magico, quello in grado di cambiare la vita, è uno degli elementi cardine di molte fiabe, proprio per il suo indiscutibile fascino. L'idea di trovare in qualcosa di esterno da noi un elemento risolutivo, ha una forte attrattiva sui bambini, anche se forse crescendo le cose cambiano. Da ragazzi e da adulti impariamo a riconoscere l'importanza della soddisfazione personale, dell'orgoglio di farcela con le nostre forze e grazie ai nostri talenti, anche se la quantità di persone che gioca ai vari gratta e vinci forse dimostra che l'oggetto magico delle favole non smette mai di sembrarci desiderabile.

Il cappello
 

Il cappello di questo albo è proprio questo. Tomi Ungerer, come faceva spesso nelle sue opere, mette in scena una "fiaba tranquilla", che espone infatti come in una cronaca, senza stupirsi di fronte alle cose più strane.

Edito da Biancoenero edizioni nella nuova collana Doppio passo, nata con l'intento di "far incontrare diverse generazioni di lettori", Il cappello è in effetti una di quelle storie antiche e moderne al tempo stesso. In essa vediamo questo cilindro (un cappello magico, in fondo, che altra forma poteva avere?) volare via dalla testa di un ricco signore per  arrivare fino a un senzatetto, reduce di guerra.

Il cappello

Il cappello mostra subito le sue doti, rendendo ricco e fortunato il suo proprietario, ma non con modalità truffaldine o attraverso soldi "facili" come quelli di una lotteria. Il cappello, al contrario, sembra animato da uno spirito altruista: si lancia in operazioni di salvataggio improvvisate, fa l'eroe.

L'oggetto magico non porta soldi, porta piuttosto la capacità di guadagnarli attraverso gesti gentili e la riconoscenza delle persone aiutate.


Il cappello


Grazie al suo cappello, il senzatetto conosce anche l'amore, e l'albo giunge a un finale circolare, non del tutto inaspettato, ma sicuramente "giusto".

La ricchezza, in questo albo, non è sinonimo di avarizia, ma al contrario: è una condizione che si raggiunge attraverso atti di gentilezza, come se chi fa del bene richiamasse il bene su di sé. Il cappello sembra a questo punto soltanto un tramite, un mezzo per cogliere questa verità. Il resto, lo fa tutto la nostra disposizione d'animo.


Ovipari o mammiferi, carnivori o erbivori, d'acqua o di terra: tra le tante tassonomie animali possibili, non se ne era mai vista, credo, una basata sull'estetica.

Animali bellissimi
 

Eppure, a dispetto del titolo, che sembra denotare una certa leggerezza scientifica, Animali bellissimi di Daniela Pareschi, edito da il Barbagianni, va ben oltre il vezzo e con il suo approccio originale permette di approfondire aspetti fondamentali e a volte trascurati della biologia animale.

Il libro è composto da schede divulgative agili e dal testo breve, affiancate da affascinanti tavole illustrate a pagina intera, in un'originale sinergia tra comunicazione scientifica e arte.

Come accennavo poco sopra, gli animali sono raggruppati perlopiù in base a caratteristiche estetiche o fisiche che uniscono in modo trasversale specie molto diverse tra loro, consentendo così di creare connessioni tutt'altro che gratuite. Troviamo ad esempio gli animali "con i capelli", quelli "con le corna", quelli "piccolissimi", quelli "con i baffi" e così via. In questo modo, vediamo riuniti nella stessa categoria gatti, insetti e crostacei, o ancora ragni, cicogne e giraffe. Cosa li unisce? Molto più di quello che si direbbe a un primo sguardo.

Ogni caratteristica fisica nasce infatti da una necessità di adattamento evolutivo, che ha sviluppato strategie simili anche in animali molto lontani tra loro. Gli aculei del riccio, quelli del pesce cobra e del grillo spinoso nascono ad esempio da una medesima esigenza difensiva; le macchie del pavone, del panda e della coccinella rispondono al bisogno di confondersi nel proprio ambiente.

Animali bellissimi

Animali bellissimi Ã¨ un albo sintetico, con pochi box di testo, che sono però sufficienti per creare connessioni inedite e aprire a riflessioni grazie all'originalità dell'impostazione. Quello che trasmette è soprattutto un profondo fascino per come la natura trovi strade simili in contesti tanto differenti tra loro; un fascino che emerge dirompente dalle magnifiche tavole, dove la caratteristica fisica si fa protagonista e infonde la sua potenza a tutta l'illustrazione: il dalmata che si staglia in uno sfondo optical, le corna del cervo che sembrano prolungarsi nei rami del bosco, la pelliccia del levriero afgano pettinata dal vento fondono tra loro elementi di regni diversi in un'unica emozione.

Animali bellissimi

È la meraviglia degli occhi che si fonde con la meraviglia della mente, mentre scopriamo la bellezza e il mistero della vita.


Questa è la rivincita dei papà pelati, la loro trasformazione in eroi, o perlomeno in co-protagonisti di una storia.

Quando i capelli di papà andarono in vacanza
 

Quando i capelli di papà andarono in vacanza è un racconto dal sapore ironico e avventuroso edito da Terre di Mezzo, che lo stile narrativo, ma soprattutto illustrativo, di Jörg Mühle rende irresistibile.

Poche semplici parole introducono con spiazzante normalità un fatto del tutto irreale:

Un bel giorno i capelli di papà si stancarono di pettine e spazzola. Non avevano più nessuna voglia di starsene sempre lì, fermi sulla testa.
Volevano fare le loro esperienze.
Vedere qualcosa nel mondo, per una volta.

La perdita dei capelli si trasforma insomma in un atto volontario: sono proprio i capelli ad andarsene, con una scelta cosciente di autodeterminazione. Da qui in poi, la storia è tutta nel rocambolesco inseguimento del papà che vuole riavere la sua chioma.

Quando i capelli di papà andarono in vacanza

Nelle diverse illustrazioni, dal sapore vignettistico, li vediamo confondersi con fili d'erba, peli di animale e persino linee di mezzeria di una lunga strada, in un gioco mimetico in cui il semplice tratteggio che li rappresenta si inserisce negli ambienti che attraversa.

Il papà, sempre più trafelato, tenta di raggiungerli e catturarli con ogni mezzo, in situazioni sempre più comiche, fino ad accettare la sua calvizie.

 Quando i capelli di papà andarono in vacanza

Ma un nuovo colpo di scena attende il lettore, e i capelli avranno ancora modo di dimostrare di essere portatori di una volontà propria e originale. 

Anche loro, in fondo, si meritano di essere protagonisti, almeno per questa volta.


SPOILER: i capelli di papà alla fine ritornano. Speriamo che i papà calvi non ci restino male.


È giusto parlare di guerra ai bambini?

È giusto parlare di qualcosa che non trova una vera spiegazione, perlomeno non nel nostro privato sistema di valori?

È giusto parlare di qualcosa che non si può capire?

Ecco, questo è il punto: non dobbiamo avere paura di parlare ai bambini di qualcosa che non capiamo. Non dobbiamo accontentarci delle risposte facili, quelle che sono solo sì o no, perché in un certo senso sono proprio quelle che portano alla guerra.

Affrontare la complessità, il punto di vista divergente, l'idea di non poter avere il controllo di ogni cosa, è una capacità che va allenata in noi adulti e coltivata nei piccoli.

E la complessità della guerra sta anche in una verità che non sempre – non a tutti – risulta immediata: non tutti coloro che fanno la guerra vogliono fare la guerra. 

Il nemico

Dopo questa premessa, trovo che non ci sia momento migliore di questo per rileggere Il nemico. Una storia contro la guerra di Davide Calì e Serge Bloch, ed è giusto che Terre di Mezzo lo abbia riedito proprio ora, a un anno dall'inizio dell'invasione russa, quando i riflettori emotivi, se non quelli mediatici, si sono lentamente logorati e affievoliti.

Il nemico

La guerra, invece, quella c'è ancora, e Il nemico la racconta così, con due trincee che sono due buchi (illustrati) nella pagina.

Il campo di battaglia è un luogo immaginato, immacolato, perché di questa guerra non ci interessa scoprire territori, confini, potenze in gioco. Questa è una guerra che vediamo con gli occhi di un soldato qualunque, un soldato qualsiasi che rappresenta tutti i soldati del mondo.

Il nemico

 

Dalla sua trincea nella pagina, il soldato immagina un nemico che non conosce e non ha mai visto. Il manuale da cui ha imparato la guerra, quel manuale scritto da chi la guerra la decide ma non la fa, dice che si tratta di un mostro terribile e sanguinario, ma nella sua terribile solitudine il soldato inizia a chiedersi se davvero questo nemico sia poi così diverso da lui.

Il nemico

La scrittura, o meglio la sceneggiatura di Calì costruisce due mondi paralleli, evidentemente intercambiabili tra loro, dove si è "nemico" non per qualche caratteristica peculiare, ma per il solo fatto di stare dall'altra parte.

E in questo continuo gioco di specchi, le illustrazioni di Serge Bloch astraggono completamente i due soggetti dal loro contesto, per raccontarli come pensieri, immaginazione, condizionamenti, senso del dovere, paura e solitudine.

Non ci sono un soldato buono e un soldato cattivo, soltanto due persone che si ritrovano in una situazione che non hanno voluto e di cui imparano, pagina dopo pagina, a vedere l'assurdità.

Come avevo raccontato in una rassegna di libri sul tema, un anno fa, io la guerra non la so spiegare, ma Davide Calì e Serge Bloch riescono perlomeno a disegnarla e raccontarla, spogliandola di ogni "ragion di Stato" e mostrandola in tutta la sua nuda assurdità.


Prendi due cani affamati, così affamati da avere le visioni.

E poi prendi un osso, un osso gigantesco, che appare all'improvviso, e poi il giorno dopo scompare.

Alberto Gustavo e l osso

Alberto, Gustavo e l'osso di Marco Viale, pubblicato da Sinnos, racconta la storia di un'indagine (chi avrà preso l'osso?), di una ricerca, ma anche di una sinergia tra gli animali del bosco, che tutti insieme sapranno aiutare i due cani Alberto e Gustavo a ritrovare il loro bottino (per poi condividerlo tutti insieme).

Alberto Gustavo e l osso

È una storia che procede con un ritmo cadenzato, e in cui ognuno saprà trovare elementi di attrazione diversi: chi sarà più colpito dall'indagine tra gli animali, chi dalla successiva azione collettiva per riprendere l'osso, chi dal susseguirsi delle vicende. Io, personalmente, ho trovato il climax del racconto nella scoperta dell'origine dell'osso gigante, ma non vi svelo nulla per non togliervi il gusto di scoprirlo da soli.

Spiccano due protagonisti colorati e simpatici fin dal primo sguardo, un'illustrazione iperbolica che fa sembrare ogni azione un'avventura e una continua svolta narrativa che cambia le carte in tavola, facendo complice chi prima era accusato.

Alberto, Gustavo e l'osso diverte e appassiona in poche pagine che sono una scoperta continua. Un po' come trovare un osso gigante dove meno te lo aspetti.



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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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