Nuvole in scatola
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Se è vero (pare di no, in realtà) che gli eschimesi hanno 50 parole diverse per dire "neve", è anche vero che per un genitore il pianto di un bambino non si traduce in un semplice "piange", ma assume sfumature impensabili da chi figli non ne ha.
C'è il pianto "da sonno", il pianto per finta, il pianto da dolore, il singhiozzo trattenuto, e scommetto che se ci pensate su ve ne vengono in mente almeno altri quattro o cinque.


Elisabetta Pica e Silvia Borando esplorano tutte le sfumature di capriccio dei bambini nel coinvolgente e buffo Gelato!, che unisce lo stile inconfondibile di minibombo, fatto di semplicità, leggerezza e ironia, a un lavoro introspettivo che sarà utile sia ai bambini che ai genitori.


Poche parole completano immagini dai tratti netti ma mai banali, che bastano quasi da sole per raccontare la storia, così da rendere il libro sfogliabile anche in autonomia dai piccoli, dopo qualche lettura condivisa.


Il piccolo protagonista chiede al papà un gelato, e al suo "no" esplode in un capriccio, anzi, in tanti capricci, uno per colore.


C'è il capriccio giallo, insistente e fastidioso.


O il capriccio blu, triste e piagnucoloso.
O quello verde, carico di invidia verso gli altri bambini col gelato in mano.
Un arcobaleno di capricci che trasforma il piccolo protagonista in tanti modi diversi.


Il libro è improntato sul punto di vista del bambino: il lettore vede il mondo alla sua altezza (del papà che nega il gelato vediamo solo i piedi), e questo è un aiuto, per il lettore e il piccolo ascoltatore, a comprendere e comprendersi.
Il bambino imparerà (divertendosi: si tratta pur sempre di un libro minibombo!) a riconoscere e dare un nome alle proprie emozioni più negative, e il genitore proverà a mettersi alla sua altezza, appunto, per capire cosa gli passa per la testa durante un capriccio.
E anche la conclusione, inaspettata ma credibile, forse insegnerà qualcosa a entrambi.

E se anche voi avete detto "no" a un gelato, potete consolare il vostro bimbo dai capricci giocando a

crea il tuo gelato

Potete iniziare stampando il mio pdf scaricabile: stampate e ritagliatene più copie, oppure usate le sagome come forme per ritagliare i "pezzi" sul cartoncino colorato.
L'essenziale è che ogni giocatore abbia un cono e almeno un paio di "palline" per ogni colore.

https://drive.google.com/file/d/1UhVrP0sn4eGICaCUbcSXF_lM3XLveNBQ/view?usp=sharing


Nel pdf troverete anche un dado da costruire (ma potete anche ritagliare un cerchietto colorato per ogni colore e applicarlo con il nastro biadesivo a un dado di plastica o di legno, in modo che sia più resistente) e delle carte con delle "composizioni" di gelato.

Il gioco ha due livelli di difficoltà, secondo l'età del bambino.

Gioco base (dai 2 anni circa).

Prendete una carta e chiedete al bambino di comporre il gelato come nell'esempio.
Questo gioco aiuta a riconoscere i colori, a riconoscere e copiare un "modello" e a comprendere il concetto di ordine (il rosa viene prima del giallo, ecc).



Gioco avanzato (dai 3 anni circa).

Si gioca con il dado, in due o più giocatori.
Scopo del gioco è riuscire per primo a comporre il cono secondo la carta-esempio.
Per prima cosa, si sceglie una carta. Poi, a turno, ogni giocatore lancia il dado e, se il colore che esce è quello giusto, può accaparrarsi la "pallina" e metterla sul proprio cono.
La faccia grigia fa saltare un turno, quella a quattro colori è una sorta di jolly che permette di scegliere il colore che serve.


Questo gioco, oltre al concetto di colori e di ordine, insegna anche a rispettare il proprio turno di gioco e introduce un elemento competitivo (anche se dovuto puramente a fortuna).


"Vaniglia, flagola e cioccolato: sono tutti i miei gusti plefeliti!"
dice il Piccolo D.
Ce la farò a dirgli "no" se me li chiede?


"Mamma, non ho NIENTE con cui giocare"
Queste parole arrivano da una persona che ha alle sue spalle uno scaffale pieno di costruzioni, trenini, giochi in scatola, colori (e naturalmente libri).
Arrivano anche dalla stessa persona che due ore prima si è intrattenuta da sola per un'ora in giardino con una molletta da bucato.
La noia, ne sono convinta, è solo uno stato mentale.




Ed è il preciso stato mentale di Chester Filbert, protagonista di Nel mio quartiere non succede mai niente.
Chester si presenta così, seduto sul marciapiede di fronte a casa, senza neanche guardare negli occhi il lettore. Il formato orizzontale del libro ci permette di dare uno sguardo d'insieme alle eleganti case della via.



Pagina dopo pagina, Chester si lamenta del fatto che, appunto, nel suo quartiere non succede mai niente. Non come in altri posti dove ci sono case stregate, pirati e cacciatori.


 
Mentre Chester sbuffa e si lamenta, con lo sguardo sempre basso, il quartiere attorno a lui si anima di storie e avventure.
Le doppie pagine diventano scenografie, dove alle spalle di Chester (o persino davanti a lui!) prendono vita giochi, scherzi, incendi, buche dalle quali escono oggetti misteriosi, rapine e inseguimenti. Un universo di storie avvincenti e adrenaliniche che si dipana in quello spazio che Chester si rifiuta di guardare.



Nel mio quartiere non succede mai niente è un classico americano degli anni Sessanta, ancora inedito in Italia, che Terre di Mezzo editore ha appena pubblicato.
Degli anni Sessanta ha tutto il sapore vintage delle illustrazioni e dei colori, in un meccanismo narrativo ancora attualissimo, che diverte e stupisce senza far sentire il peso degli anni.

L'autrice Ellen Raskin gioca con i colori, contrapponendo il noioso bianco e nero del quartiere, così come lo vede Chester, a vivaci campiture piene e cariche, che colorano tutta la vita e le storie che accadono attorno a lui.


Nel mio quartiere non succede mai niente non è un libro da poter leggere una volta sola: va sfogliato avanti e indietro, tenendo traccia del colore che identifica ogni personaggio e ogni storia, notando gli sviluppi e gli intrecci di ogni evendo che accade.
Dentro ogni microstoria, raccontata solo dalle immagini o da pochi fumetti, c'è una sorpresa, qualcosa di inaspettato, divertente o misterioso.
Perché è così la vita: basta guardarla bene per lasciarsi stupire e per cancellarne la noia.

E voi, siete capaci di cogliere tutto quello che succede alle vostre spalle, o come Chester restate concentrati su di voi e sulla vostra noia?


La prossima volta che il vostro bimbo si annoia, provate a bendarlo, a metterlo in un punto della casa e a chiedergli di indovinare cosa sta succedendo alle sue spalle.
Potete creare dei rumori ad hoc (suonare qualcosa, bussare alla porta, aprire la zip dello zaino) o lasciare che a "parlare" siano le vostre azioni quotidiane: battere i tasti di un computer, lavare i piatti, stir... (ah ah! No, stirare a casa mia è tutt'altro che quotidiano!). O magari potete prendervi un caffè. Lui lo indovinerà dal rumore della moka, voi avrete i vostri cinque minuti di serenità. :)


I primi giorni di vita di un neonato ci riportano a una dimensione istintiva, animale, in cui il pensiero si allenta e lascia spazio ai sensi.
Quel primo amore è fatto tutto di scambi di sensazioni: il calore di quel corpicino abbandonato sul tuo, il profumo della sua testolina, la morbidezza della sua pelle, un fondersi di due stanchezze che a volte coincidono, a volte si scontrano, e sono strilla da un lato e sbadigli dall'altro.
(Sto scrivendo sotto l'effetto degli sbalzi ormonali da puerperio, si nota molto?)


Sensazioni che forse solo chi ha vissuto può capire. E infatti il libro che meglio le sa interpretare lo ha scritto... un uomo.
Ma dal momento che si tratta di Bruno Tognolini, abilissimo e magico cantastorie di tutto il mondo dell'infanzia, la cosa non dovrebbe stupire.

Mammalingua. Ventuno filastrocche per neonati e per la voce delle mamme esprime perfettamente lo spirito dei primi giorni di vita di un neonato.
Le sue parole hanno l'odore, il sapore, la morbidezza e persino il sonno di quel rapporto mamma-figlio ancora primordiale, animalesco, esclusivo e fortissimo.

Le ventuno filastrocche contenute, una per ogni lettera dell'alfabeto, raccontano questo mondo con dolcezza, ma senza sconti: accanto allo stupore e all'affetto, c'è anche l'esasperazione per i pianti inconsolabili:

Ohi come piangi, e io come faccio
Che non so fare che prenderti in braccio
Cosa ti punge, cosa ti duole
Per farlo smettere cosa ci vuole

Nelle parole di Tognolini, così come nelle delicate illustrazioni di Pia Valentinis, il bambino non è quasi mai un bambino, ma un uccellino, un orsetto, o spesso un pesciolino, mentre la mamma, così gigante e morbida e accogliente, è una balena pronta ad abbracciarlo.

È la dimensione liquida di questo insostutibile rapporto, che passa dal liquido amniotico, impetuoso e travolgente al momento del parto, alla dolcezza calma del latte materno.



Dormi
Dopo onde furiose ed enormi
Pesciolino arenato al mio fianco
Nel lenzuolo di un'isola bianca
Sei venuto dal mare e sei stanco
Son venuta dal mondo, son stanca

Le rime rivestono gli oggetti quotidiani di paesaggi, per delineare un microcosmo che appartiene solo a mamma (e papà) e bambino.
Ritmi e sonorità spaziano, secondo il tema trattato, dalla filastrocca

Ridi ridi pesciolino 
Sopra l'acqua lunamonda
Corri corri cavallino
Quando ridi corre l'onda

all'allitterazione che mima con la lettura la suzione del neonato:

Bocca che beve, becco che batte
Bava di luna, bevi il mio latte

Le pagine si susseguono tutte allo stesso modo: sulla sinistra la lettera dell'alfabeto e la filastrocca, a destra l'illustrazione.
(guest star in foto: la Piccola M nel suo penultimo giorno in pancia, quando stavo per iniziare a scrivere questo post, ma poi...)


È un libro perfetto fin dai primi giorni di vita, quando al bimbo non interessa altro che la voce della mamma, e la mamma, ritrovando le proprie sensazioni tra le rime, saprà dare a quelle parole le sfumature giuste di tono per farle diventare coccola. Il regalo perfetto per una neomamma o una mamma in attesa, che potrà iniziare a raccontare le sue emozioni al pancione.

Mammalingua è un libro a cui sono particolarmente legata, non solo per la sua poesia, ma perché ha accompagnato un momento intenso della mia vita, quando il Piccolo D era ricoverato per bronchiolite, a due mesi e mezzo, e io potevo solo stargli vicino, senza prenderlo in braccio.
Raccontargli quelle filastrocche, prima lette dal libro, poi a memoria, è stato il nostro modo di scambiarci qualche coccola in quei momenti, di trasmettergli quelle carezze che non potevo.

E ora che ricomincia quel mistero e quella magia, Mammalingua è accanto a me e alla Piccola M, ad augurarci buon viaggio.

Non lo so cos'è un figlio
Però so che sei tu.


Una delle differenze sostanziali tra una mamma e un figlio, un gap generazionale assolutamente insormontabile, sta nella capacità di trovare le cose.
Sono certa che avrete visto anche voi i vostri figli perdere mezz'ora a cercare in una stanza qualcosa che voi riuscite a individuare in 30 secondi netti.


In Dov'è Orso? di Jonathan Bentley (Mondadori), la mamma non c'è (non si sa dove sia, ma questo nei libri non ha molta importanza), e quindi il bambino, prima di nanna, deve trovare il suo orso da solo.
In fondo, direte, che ci vorrà mai a trovare un orso?


Infatti, tra le pagine del libro, vediamo spuntare zampe e altri dettagli che innescano un gioco tra il lettore e il protagonista.
Mentre il piccolo continua a chiedersi "Dov'è orso?" e a ipotizzare posti in cui possa essersi nascosto (il testo è qui ridotto all'essenziale, la narrazione si svolge quasi tutta per immagini), viene quasi da urlargli "Ma non lo vedi? È lì, vicino a te!".


Il bimbo lo cerca disperatamente, e l'orso appare sempre, non visto da lui, anche se sembra non voler fare nulla per nascondersi, anzi: lo aiuta nella ricerca.
A volte vediamo le sue zampe reggere una scala, a volte vediamo il suo corpo riflesso allo specchio.


A volte è così grande che ci chiediamo come faccia il protagonista a non vederlo.
Ed è proprio su questo doppio piano che si basa tutto il libro: il protagonista che cerca, il lettore che prova ad aiutarlo. Il gioco diventa esplicito quando il bambino sembra sentire i suggerimenti del lettore e rivolge lo sguardo fuori dalla pagina, dritto davanti a sé, per interpellarlo.
È anche questo il motivo per cui consiglierei il libro dai tre anni in su, nonostante la semplicità della narrazione lo renda adatto già dai due anni: perché il fascino di questa storia semplice, veloce, divertentissima, sta proprio nel cogliere il dialogo implicito tra chi legge e chi vive questa storia.


Il finale? Non è per nulla banale e anzi, rovescia tutto quello che fino a quel momento sembrava scontato, facendoci sorridere ancora una volta.
Geniale, nella sua semplicità.
Non servono mille pagine o mille parole per fare un grande libro.


Quante volte avete sognato di possedere un'isola tutta vostra, sperduta in qualche oceano, lontana dalla civiltà? Avete mai pensato a cosa ci costruireste, o come vorreste che fosse?
Be', spiacente di farvi scendere dalle nuvole (proprio io!), ma devo comunicarvi che il vostro sogno non si realizzerà così facilmente.
In compenso, per voi, potrebbe realizzarlo vostro figlio. Almeno virtualmente, s'intende.


Terra in vista! di di Pieter Gaudesaboos e Brunhilde Borms (Sinnos editore) è un libro-gioco unico nel suo genere, sia per i toni utilizzati, sia per i contenuti.
Il lettore è subito coinvolto in una missione segreta (ai fini del libro non ha alcuna importanza che sia segreta, ma volete mettere il coinvolgimento?): il Consiglio Mondiale dei Paesi lo incarica du scegliere un'isola deserta e popolarla, anzi, inventarla da zero.


Ci sono sette isole a disposizione, ognuna con una caratteristica positiva e una negativa. Il primo passo da fare sarà quindi scegliere la propria.


Seguono diverse missioni (25, per l'esattezza), da compiere rispondendo a crocette, disegnando, compilando questionari, ritagliando e incollando immagini da un grande poster in fondo al libro.


Che bandiera avrà quest'isola? Come saranno le strade? Quali sono le feste nazionali? Quali i piatti tipici che un turista potrà gustarsi?
L'isola è una tabula rasa, un foglio bianco su cui disegnare e costruire, inventando un Paese unico, il proprio.

Tra le missioni, creare la bandiera (dando anche un significato ai suoi elementi e non accostando semplicemente dei colori a piacere), disegnare le strade della capitale (guidati da una legenda che spiega i diversi tipi di strade esistenti).


Ma anche progettare i cartelli stradali, in una logica che unisce regole e fantasia: come nella realtà, ci saranno cartelli di pericolo, di obbligo, ecc, ma obblighi e divieti possono essere tra i più assurdi e disparati, come attraversare con una gamba sola o fare attenzione alle palme volanti.
Perché in fondo il terreno più fertile per l'immaginazione non è mai l'assoluta libertà, ma la libertà entro alcuni binari tracciati.


Ogni missione è un gioco, ma anche una riflessione sulle differenze tra un Paese e l'altro, sulla cultura, la società, le regole, le spiegazioni logiche o l'arbitrarietà dietro a ognuna di esse.

Il bello di Terra in vista! non è soltanto l'interazione, ma l'occasione di vedere cose quotidiane (il cibo, le strade, le feste) con un'occhio nuovo, senza darle per scontate ma interrogandosi su di esse.
È un fantastico supporto per chi viaggia, una chiave di lettura per scoprire e apprezzare le differenze tra i diversi Paesi che si visitano, per apprezzarli con una consapevolezza più piena.

È anche lo spunto per inventare nuovi "territori" nel quotidiano.
In fondo tutti noi viviamo in un'isola chiamata casa, che ha confini segnati e regole diverse dal mondo esterno.

Quale potrebbe essere la segnaletica in casa vostra? Quali gli obblighi, quali le cose a cui fare attenzione, quali i divieti? Inventarli insieme può essere un gioco divertente. Si potranno unire regole vere (non si gioca a palla in sala) ad altre completamente inventate e puramente ludiche.


A casa nostra, bisogna fare attenzione ai mattoncini quando si cammina.


C'è l'obbligo della lettura pre-nanna e del bacino della buonanotte, e bisogna stare molto attenti ai draghi che attraversano il corridoio.


Non che ce ne sia mai capitato uno, ma è importante essere sempre pronti. I draghi, si sa, sono imprevedibili.


Sole di candito, luna caramella.
La vita ha più sapore insieme a una sorella.
(Luna di gelato sole caramello, di Chiara Carminati e Simona Mulazzani; Carthusia)



Benvenuta al mondo, Piccola M.
Un mondo senza istruzioni, ma con qualche buon compagno di viaggio
che non vede l'ora di scoprirlo insieme a te.

Cos'ha di così affascinante il tendone di un circo?
Forse il fatto di nascondere un mondo a cui può accedere solo chi paga il biglietto, forse la promessa di meraviglie mai viste prima, forse il suo essere "a termine", perché si ferma per un po' e poi se ne va.


E non serve che il circo prometta spettacoli in grande quantità. Ne può bastare anche uno solo, se è veramente fuori dal comune. Ad esempio, se dentro il tendone vi aspetta La più straordinaria bestia del mondo.


Il breve romanzo di Guido Sgardoli (Notes edizioni), agile da leggere anche per i primi lettori autonomi che abbiano preso confidenza con testi un po' più lunghi del normale albo, inizia così: con un uomo che arriva di notte nella piazza del paese e allestisce il suo tendone, con tanto di insegna che promette di mostrare, per l'appunto, La più straordinaria bestia del mondo.


La narrazione si dipana in un racconto corale, che tratteggia il microcosmo di paese, con i negozianti, gli artigiani e i diversi personaggi che lo animano e che, uno dopo l'altro, vengono attratti da questa misteriosa creatura.
All'interno del tendone può entrare una sola persona per volta, e anche questa regola ferrea contribuisce ad alimentare la curiosità attorno all'evento.
La protagonista è Miriam, una bambina molto curiosa ma troppo povera per potersi permettere il soldo del biglietto.


Passando tra i concittadini in fila per entrare e quelli che sono appena usciti, Miriam sente le voci e le esperienze sull'aspetto di questa strana bestia. Incredibilmente, sembra che ognuno abbia visto delle cose diverse. Qualcuno dice che ha peli, qualcuno che ha squame, qualcuno è certo di aver visto delle strane orecchie, altri giurano che si tratti di corna.
Come spesso accade, soprattutto tra le "voci di paese", la verità non è mai una sola, e ognuno ne ha una sua versione. Ognuno, nelle cose, vede quello che vuole vedere.

Ma come sarà fatta davvero questa creatura?


Sarà proprio Miriam a scoprirlo, e a capire che la cosa più straordinaria non sempre è l'aspetto, ma il cuore.

La più straordinaria bestia del mondo colpisce per la curiosità che suscita, per il mistero che sottende, ma anche per i siparietti tra i diversi personaggi, per la loro visione diversa di una stessa cosa, per come le caratteristiche dei personaggi si riflettano a volte sul loro modo di vedere "la bestia".

Il lettore non saprà mai, nemmeno alla fine del libro, l'aspetto reale di questa creatura, ma avrà sognato e immaginato, mettendo assieme i pezzi e gli indizi, e formando nella propria testa una sua idea di come possa essere.

Col Piccolo T mi sono divertita a inventare anche una "nostra" bestia, che fosse corale come il libro, in un gioco di disegno e fantasia che abbiamo chiamato

L'inventabestie.

Per giocare, serve un dado.
Un dado da personalizzare con dei simboli ad hoc, da disegnare e incollare sulle sei facce con del nastro biadesivo (proprio come avevo fatto nel mio post precedente).
Ogni simbolo indicherà una parte della bestia da disegnare: corpo, occhi, viso, mani, piedi, bocca.


A turno (si può giocare in due o più) si tira il dado e ognuno disegna la parte del corpo che esce.
Se esce due volte la stessa parte, si può arricchire di particolari ("viso" significa tracciarne la forma, ma anche le orecchie, i capelli, o le corna) o aggiungere qualcosa (ci sono già due occhi? E chi lo dice che non può essercene un terzo?).


Il disegno finisce dopo un certo numero predefinito di lanci oppure quando i giocatori si dichiarano soddisfatti.
Non c'è un vincitore, solo il gusto di creare qualcosa insieme.


Questo il nostro primo risultato.
Oh, be', la "bestia" doveva essere straordinaria, mica bella, giusto?







I libri fanno sognare, viaggiare, imparare. Questo vale per tutti i libri del mondo (vabbe', facciamo che escludiamo Moccia e simili?).
Ma i libri per bambini hanno una magia in più: creano relazione.
Un libro letto insieme al papà o alla mamma è molto più di una storia con delle belle immagini: è una coccola, un momento passato insieme, un modo per conoscersi e per scambiarsi affetto.


E ci sono libri che più di altri rappresentano questa idea di "libro-coccola". Uno tra i miei preferiti è senza dubbio Morsicotti, letto, straletto e consumato dal Piccolo T e dal Piccolo D.

Più protostoria che storia (e perfetto per questo già da un anno di età se non prima), Morsicotti ha come protagonisti un topolino e un bimbo (gli stessi di Cucù. Di chi è questa manina?, sempre di Cri e Ninie e sempre edito da Zoolibri, di cui vi avevo parlato qui).
Il topolino inizia a chiederedere al bimbo cosa succederebbe se lui gli desse un "morsicotto". Ogni volta, il bimbo risponde con dei versi di animali.
"E se ti mordicchio una guancia?"
"Bau! Bau! Abbaio come un cane."


A volte i versi sono casuali, a volte sono legati alla parte del corpo rosicchiata. Così, al morsetto su una mano, il bimbo risponde pizzicando come un granchio, con le manine trasformate in chele, mentre in risposta a un morso sul culetto, be'... fa "Prooot!" come una puzzola!


E di volta in volta, nelle diverse pagine, il bimbo si trasforma nell'animale di cui parla, finché il topo non rinuncia ai suoi morsicotti e dà un bacino al bimbo, che si addormenta.


I motivi per amare Morsicotti e per proporlo ai bimbi sono tanti:
  • le illustrazioni tenere, simpatiche e adatte anche ai più piccoli, con colori e contorni netti e figure di facile comprensione.
  • La struttura ripetitiva (provocazione del topolino - reazione del bimbo, con verso e spiegazione), che rassicura i bambini e li invita ad imparare a memoria il libro e ad anticiparne i passaggi.
  • Le onomatopee, che catturano, coinvolgono e divertono.
  • Gli animali, sempre fonte di grande curiosità per i bambini.
  • Il valore didattico: leggendo, il bimbo impara a conoscere i versi degli animali, ma anche le parti del corpo, e ad acquisire consapevolezza di sé.
Ma il motivo principale, quello che lo rende un libro speciale, è un altro: Morsicotti non è solo un libro (divertentissimo), ma un'occasione per riempire di coccole e solletico il vostro bimbo.


Sì, perché è praticamente d'obbligo, leggendo, rifare al bimbo le stesse cose che gli farebbe il topolino: pizzicottare il nasino, mordicchiare l'orecchio o la pancia, fare solletico sul pancino.
Così il vostro bimbo lo vorrà ascoltare (e voi lo vorrete leggere) non solo per il testo, le immagini e i suoni, ma anche perché ogni lettura si trasformerà in un momento di gioco e contatto con voi.

È uno splendido modo per avvicinare alla lettura anche i bimbi più restii, o i genitori convinti che leggere a un bimbo significhi solo raccontare fiabe con lunghi testi e nessuna interazione. Scopriranno entrambi che leggere è tutt'altro che un'attività statica e noiosa.

E per continuare la coccola anche dopo aver riposto il libro (dopo le consuete duemila letture di seguito), ci siamo ispirati al bimbo e al topolino per creare

i dadi delle coccole


Per prima cosa, abbiamo creato  simboli da mettere sui dadi.
Un dado indica il gesto da fare: bacino, solletico e carezza (ho evitato pizzicotti e morsi nel timore che il gioco degenerasse, o di creare meccanismi che poi potessero essere ripetuti all'asilo con i compagni).
L'altro dado indica la parte del corpo a cui il gesto si rivolge: piedini, pancino, orecchio, viso, manina o gamba (in questo caso ho evitato parti intime come il culetto, proprio per non avallarle come gioco, in un'ottica di prevenzione degli abusi).


Disegnati i simboli su un foglio di carta, li ho applicati con il biadesivo ai dadi.


La cosa più semplice è attaccare la striscia di nastro biadesivo direttamente sul retro della carta per poi ritagliare i dischetti con l'adesivo già applicato.
Ed eccoli pronti. Giocateci come volete: potete tirarli a turno, oppure insieme, e farvi reciprocamente la stessa coccola.
Un dado decide cosa fare, l'altro dove farlo. È un modo divertente per imparare le parti del corpo, ma anche le prime regole di gioco (rispettare il responso del dado, aspettare il proprio turno per tirarlo).


Noi ci abbiamo passato una mezz'oretta a giocarci in tre: io, Piccolo T e Piccolo D.
Solletico sulle gambe!


E... bacino sul pancino.
Anzi, sul pancione.


Ops. Forse c'è qualcosa che ancora non vi avevo detto.  :)


   
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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