Nuvole in scatola
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Ecco perché amo gli appuntamenti in biblioteca di Nati per Leggere: non solo perché mi commuovo a vedere il Piccolo T seduto e attento mentre segue il lettore e la storia, ma anche perché mi permettono di scoprire dei grandi libri, che forse altrimenti non avrei mai trovato, e mi suggeriscono spunti su come leggerli.

Sì, perché un libro può mutare forma se lo si canta, lo si recita o lo si interpreta in modi diversi, e a volte le storie più semplici possono diventare storie eccezionali.



A caccia dell'Orso (link affiliato) l'ho scoperto così: durante una lettura in lingua friulana alla biblioteca del mio paese. Non che il libro esista in versione friulana, sia chiaro, era la lettrice a tradurlo mentre leggeva, con un risultato decisamente efficace.

E dalla brava lettrice di quel giorno ho imparato anche un piccolo trucco (forse scontato, forse no. Non avevo mai visto quel libro prima e non posso sapere come l'avrei approcciato): questo libro va cantato, per farlo diventare un gioco, un rito da fare insieme. Non tutto, ovviamente, ma la filastrocca iniziale sì, per forza.



Sì, perché il libro procede ripetendo più volte la stessa struttura:
  • una filastrocca (è la canzone che sta cantando la famiglia che va a caccia):
    A caccia dell'orso andiamo
    di un orso grande e grosso
    Ma che bella giornata!
    Paura non abbiamo.
  • L'incontro con un ostacolo da superare:
    Oh, oh! Un campo!
    Un campo di erba frusciante!
  • Un'onomatopea che indica l'attraversamento dell'ostacolo.
    Svish Svush! 


E così via, fino all'incontro finale a sorpresa con l'orso.

Chi abbia letto anche solo pochissime volte a un bambino avrà già capito la potenza di questo libro: c'è la ricorsitivà, che rende le situazioni riconoscibili e anticipabili dal bimbo, c'è una storia semplice, ci sono esclamazioni ed emozioni (Oh, oh! Oh, no!) e ci sono anche le onomatopee che rendono "fisica" la narrazione.
Uhm, narrazione fisica, dicevamo? E allora proviamo, per una volta, a raccontare la storia anche con il tatto.


A caccia dell'orso (con le dita).


Bastano pochi materiali, alcune ciotole in cui infilarli, e delle dita curiose che li sappiano attraversare.
E così, come i protagonisti di A caccia dell'Orso (link affiliato) , anche il Piccolo T è passato attraverso:

un campo di erba frusciante
Creato con della carta verde piegata a fisarmonica e poi tagliuzzata con le forbici fino a ricreare i fili d'erba.


un fiume freddo e fondo
Facile, no? Basta una ciotolina con un po' d'acqua.

melma densa e limacciosa
Come rendere l'idea di una melma che ti si appiccica ai piedi-dita? Cercando nel beauty case di mamma e papà. Ho unito ai colori alimentari (ma anche delle semplici tempere diluite con un po' d'acqua vanno benissimo) la mia spuma per capelli e la volta successiva ho provato, con altrettanto successo, con della schiuma da barba. Basta non mescolare troppo, in modo che la melma resti densa e soffice.

un bosco buio e fitto
Che fortuna: quando abbiamo giocato con questo libro, papà aveva appena tagliato il prato. Così è bastato prendere una manciata di steli dal mucchietto d'erba, già un po' seccata al sole, ed ecco un perfetto sottobosco profumato che scrocchia sotto le dita.

una tempesta di neve che fischia
Volevo ricreare non solo la consistenza, ma anche la temperatura della neve. Così ho preso del cotone idrofilo, l'ho spruzzato d'acqua con le dita (senza bagnarlo completamente, altrimenti diventa troppo duro) e tenuto nel freezer per qualche ora. In questo modo la superficie del cotone diventa fredda e rigida, ma permette alle dita di affondare premendo un po', proprio come la neve.

 

E siccome dei giochi, come dei maiali, non si butta via niente, alla fine abbiamo trasformato la melma in una soffice pittura a dita. Perfetta per disegnare mostri viscidi e verdastri.



PS: Alla fine il libro lo abbiamo comprato in inglese (link affiliato) : con la sua musicalità è un perfetto approccio a una lingua straniera. Se volete le prove, cercate qualche lettura su YouTube.

PPS: dimenticavo. Il libro finisce con la famiglia che fugge dall'orso e si ripara nel lettone, sotto il piumone.
Così dopo esservi divertiti con la storia, le canzoni e le onomatopee, avete anche la scusa perfetta per rotolarvi tra le coperte con i vostri piccoli. Evviva le coccole! 


Lo avete mai visto il terribile mostro mangiacapelli?
Dicono sia una creatura leggendaria, ma - si sa - ogni leggenda ha sempre un fondo di verità, quindi fate molta attenzione, perché potrebbe nascondersi anche a casa vostra, e aggirarsi indisturbato divorando tutto quello che gli capita.



Ve lo descriverò bene, così e lo incontrerete potrete riconoscerlo immediatamente.

Come molti altri terribili mostri, il terribile mostro mangiacapelli nasce da un uovo. 

 


I suoi occhi sono rossi, con le pupille blu.


 

Ha capelli dai colori accecanti e orride sopracciglia pelose.

 

E dal naso rosso, escono delle strane appendici che lo tengono legato alle sue terribili fauci.

 

Fate molta, moltissima attenzione, perché il terribile mostro mangiacapelli,
quando è molto affamato, si trasforma in mostro mangiapancia, mostro mangiagambe e - oh oh! -
perfino in mostro mangiaculetto!

 

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"C'era una volta"
"Un re!" – diranno subito i miei piccoli lettori.
Vabbe', stavolta ci siete andati vicini. C'era una volta un sultano.



Un sultano di una storia senza morale, senza evoluzione dei personaggi, senza un esempio per i bimbi. Una storia divertente, però, e questo basta e avanza. E a noi è piaciuta tantissimo.

Trattenere il respiro: no, l'argomento non sono i pannolini da cambiare.
Il vostro fiato servirà per  sfidare vostro figlio a una gara di soffiabirinto, il gioco perfetto per le giornate di pioggia.

Soprattutto perché per costruirlo bastano pochissime cose, tutte facilmente reperibili in casa.

Iniziamo?



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Qui siamo nel pieno dei terrible two.
Il Piccolo T, affettuoso, coccolone e sorridente, di tanto in tanto si trasforma un un coso urlante che si irrita per ogni singola cosa che non va esattamente come dice lui.

Bisogna insegnare a "gestire le emozioni", dicono.
Dovrebbe provare a verbalizzarle, chiamarle per nome, insegnare loro a riconoscerle, dicono.

Facile dirlo, coi figli degli altri, dico io!

Vi ricordate il mio consiglio per tutte le mamme?
Datevi alla bottiglia!
In questo post avevo descritto le bottiglie sensoriali preferite dal Piccolo T,  giochi semplici per stimolare e coinvolgere (e forse, a volte, calmare) i bimbi più piccoli.

Ne mancava una, però: quella preferita dalla mamma! È stata la più impegnativa da creare, e anche quella che il Piccolo T si è filato di meno. Ma ve la racconto lo stesso, perché è quella che ha dato più soddisfazione a me.


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Non è che io abbia propriamente un accento british.
Diciamo che l'inglese l'ho imparato, più che a scuola o viaggiando, con la visione integrale (10 stagioni, e per ben due volte) del cofanetto di Friends in lingua originale.
E visto che ogni volta mi dico "se solo l'avessi imparato prima e meglio", vorrei provare a rimediare ai miei errori almeno col Piccolo T. Quindi da noi, per quanto possibile, i cartoni si guardano in inglese e ogni tanto, in inglese, ci leggiamo anche qualche libro, seppur con la mia imbranatissima pronuncia "scolastica". Meglio di niente, no?


"Anch'io cucinare!"
Sì, amore, però attento qui, ecco: il coltello non si tocca! No, fermati, lì c'è il fuoco, è pericoloso. Alt, non toccare quello: scotta!
Avete mai notato che l'interesse di un figlio alle vostre attività è direttamente proporzionale al loro potenziale pericolo?

Col tempo ho insegnato al Piccolo T a stare in piedi sulla sedia mentre io cucino, reggendosi sullo schienale, senza toccare niente, e ad intervenire secondo la nota "regola Giucas Casella": solo quando te lo dico io!


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Mettete via seghe a traforo, vernici speciali, ago, filo (no, ago e filo non ve li ho mai fatti tirare fuori, è impossibile: non li so usare nemmeno io!).

Questa volta vi propongo un'attività facile facile, a prova di mamme svogliate, stanchissime, prive di risorse (non so voi, ma io a questa categoria sento di appartenere spesso).

Gli ingredienti sono solo due: un bellissimo libro per bambini e il didò.


Cominciamo dal primo: è Piccolo blu e piccolo giallo (link affliato) di Leo Lionni, edito da Babalibri.
Un libro che non avrebbe bisogno di recensioni o presentazioni, ma già che ci siamo, ve ne parlo lo stesso.
È la storia di Piccolo Blu e Piccolo Giallo, due amici che giocano assieme e che a un certo punto si perdono. E quando si ritrovano sono talmente contenti che si abbracciano, ma si abbracciano così forte da diventare verdi.


La storia continua, perché poi né mamma e papà Blu né mamma e papà Giallo riconoscono i loro piccoli così conciati, e loro troveranno infine il modo di dividersi, ma non è questo il punto fondamentale del libro.
La magia sta invece nei disegni così semplici e nella fortissima componente simbolica.
Personaggi e ambienti sono solo macchie di colore, e il bambino deve trasformarli con l'aiuto della propria fantasia, ricreando quello che non c'è (le espressioni, i dettagli) e sviluppa così una capacità fondamentale per un piccolo lettore: quella di visualizzare una scena a partire da una descrizione.
È come imparare a leggere una storia prima di saper leggere.

E la vera magia è che un bambino ci riesce davvero!
Il Piccolo T ha adorato questo libro fin dalla prima lettura e non c'era dubbio che fosse in grado di capire che quel pallino blu e quel pallino giallo erano i personaggi, i protagonisti della storia.

Un po' più difficile, invece, spiegare a un duenne il perché del cambio di colore. Ed ecco l'attività facile facile che ho inventato per dimostrare

come piccolo blu e piccolo giallo diventano piccolo verde.


Un solo ingrediente: il didò. Potete comprarlo o farvelo da soli con la ricetta che vi ho dato qualche tempo fa.



Con il didò giallo e blu abbiamo ricreato le due famiglie  dei protagonisti, poi abbiamo fatto rimbalzare qua e là Piccolo Blu e Piccolo Giallo per farli giocare come nella storia del libro.

Infine, li abbiamo fatti abracciare forte, fortissimo, forse un po' oltre il limite di quello che normalmente si ritiene lecito in un abbraccio amichevole (insomma: li abbiamo manipolati fino a farne un'unica pallina di didò) ed ecco la magia: Piccolo Blu e Piccolo Giallo si sono trasformati in Piccolo Verde!


Il gioco è piaciuto tantissimo al Piccolo T, che come vedete qui a destra ha deciso di promuovere gli abbracci tra tutti i componenti delle due famiglie Blu e Giallo.
Risultato: abbiamo quasi esaurito il didò blu e quello giallo in casa, ma se per caso vi serve del didò verde, ne abbiamo a pacchi!



La mia vita è cambiata il giorno in cui ho scoperto l'esistenza della vernice magnetica e della vernice lavagna.
 Ok, forse sto esagerando, ma in quel momento la mia mente è vagata alla ricerca di tutte le cose della mia infanzia che sarebbero potute essere molto più divertenti, se avessi potuto trasformarle in lavagne magnetiche per scriverci e attaccarci tutto quello che volevo.

Sì, perché la vernice lavagna si può anche usare sopra la vernice magnetica per ottenere (ma va'?) una lavagna magnetica!

In quei giorni il Piccolo T voleva che gli cantassi a ripetizione La bella tartaruga di Bruno Lauzi, una delle mie canzoni preferite di quando ero piccola:


E da lì ho preso spunto: perché non trovare il modo di rappresentare quello che succede nella canzone, in modo da rendere più chiaro cosa sia "un bosco di carote"?

Nella mia testa risuonavano le parole "vernice lavagna vernice lavagna vernice lavagna", e in un ripostiglio avevo un pezzo rettagnolare di truciolato che non so bene da dove arrivasse. Ed è così che mi sono inventata

La lavagna delle storie.

L'elenco completo dei materiali non ve lo metto, perché ogni storia che si rispetti è fatta prima di tutto di fantasia, ma diciamo fondamentalmente vi serviranno:
  • una base di compensato, truciolato o cartoncino spesso
  • vernice magnetica
  • vernice lavagna
  • nastro adesivo magnetico
  • materiali leggeri (carta, spugna, cartoncino, feltro, ecc) per ambiente e personaggi.

Ed ecco come ho fatto: per prima cosa, ho steso tre mani incrociate di vernice magnetica e due di vernice lavagna. Quest'ultima, anziché nera, l'ho scelta blu, perché potesse sembrare un cielo o un mare.

 
Dopodiché, ho creato lo scenario ritagliando l'erba da una striscia di feltro. Ai bordi della striscia (lasciando libero quello superiore) ho attaccato un po' di nastro magnetico per fissare il prato alla lavagna.

Per le nuvole, ho attaccato del cotone su un cartoncino azzurro.

La tartaruga, invece, è nata da un "guscio" ritagliato nel compensato (col traforo manuale: ancora non avevo il mio ultimo regalo di Natale!) e dipinto di marrone, e un corpo ritagliato da una spugna da cucina. Ho poi decorato il muso con un occhietto mobile e il guscio con dei ritagli di carta.
Mi piaceva l'idea che si sentissero le consistenze diverse della tartaruga: la corazza dura e il corpo morbido.

Dietro nuvole e tartaruga ho poi incollato (aggiungendo un po' di colla: da solo non reggeva molto) il nastro adesivo magnetico. Infine ho infilato nel prato tante carotine di cartoncino colorato e ho disegnato il sole con il gesso giallo.


Ma questa lavagna non è fatta per raccontare una sola storia, ne deve contenere tantissime!
E allora ecco come, con una base di pluriball e tanti pesci ritagliati nella spugna, il prato della tartaruga si trasforma in un mare pieno di pesci.


E perché non usare del cotone per costruire un paesaggio innevato?
O creare una bella spiaggia incollando la farina gialla su una striscia di carta?












Prima di inventarsi nuove storie, però, meglio far capire bene alla tartaruga quanto sono buone quelle carotine (si deciderà a mangiarle anche il Piccolo T, in questo modo?).



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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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