Nuvole in scatola
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Da quando inizia l'età dei "perché", un genitore si trova di fronte a interrogativi che Aristotele, Hegel e Kant, a confronto, si trastullavano. Dagli assiomi matematici ai termini astratti, dalle leggi fisiche alle norme sociali, ci si ritrova a dover rendere semplici e comprensibili concetti che a volte nemmeno noi riusciamo ad afferrare in tutti i dettagli.
Eppure a volte basta la chiave giusta e anche le teorie più complesse diventano semplici da spiegare.


Perché noi Boffi siamo così? (Jonathan Emmett e Elys Dolan, Editoriale Scienza) racconta l'evoluzione in termini così semplici che si permette addirittura di metterli in rima.
Siamo sul pianeta Ciribob, abitato dai boffi, strani animali gialli, pelosi e dal collo lungo, ognuno unico per le sue caratteristiche.


Certo, in origine i boffi erano molto diversi da come li vediamo ora: erano blu, tarchiati e a pelo corto. Finché un giorno, in una cucciolata, ne nacquero alcuni con un pelo lungo e folto. Una mutazione genetica (ma qui siamo in una favola dove tutto è semplice e in rima, e queste parole non si usano).


E se all'inizio questa mutazione sembra inutile, forse anche fastidiosa, all'arrivo di un lungo e rigido inverno i boffi più pelosi sono gli unici a sopravvivere. Così, alla cucciolata seguente, tutti i boffi presentano questa caratteristica.


E quando arriva un terribile predatore, si rivela vincente la mutazione dei boffi gialli, che riescono a mimetizzarsi con l'ambiente.


Ed è così che i boffi sono diventati come li conosciamo ora (e continuano a mutare).

Alla fine, il libro esce dalla storia per offrire un excursus dell'evoluzione sulla Terra, dai primi organismi unicellulari fino agli esseri umani come li conosciamo oggi.


Tutto questo racconto si dipana tra le pagine con un testo semplice e leggero, scritto tutto in rima, ma senza che le rime appesantiscano la comprensione (merito anche della traduzione di Lucia Feoli, rispettosa dello stile, oltre che dei contenuti).
I risguardi illustrano le schede "scientifiche" degli abitanti del pianeta Ciribob, con tutte le loro caratteristiche, contribuendo alla creazione di un mondo coerente e credibile, mentre l'ultima pagina spiega brevemente da storia di Darwin e della sua teoria dell'evoluzione delle specie.

Un po' per la forma curiosa, un po' per le rime, questi boffi mi hanno ricordato molto Gli Snicci del Dr. Seuss, e come gli Snicci ci hanno saputo catturare subito con la loro simpatia. Anche l'intento, in fondo, è in qualche modo analogo: se il Dr. Seuss ha voluto trasmettere un messaggio politico / sociale, Perché noi Boffi siamo così? insegna un importante concetto scientifico.

Un concetto che ho provato a rendere più familiare con un gioco da tavolo che ne chiarisse meglio le "regole".

Tutto parte da una popolazione di mostri verdi (se volete giocare anche voi, potete usare il mio pdf stampabile), che hanno subito diverse mutazioni.
Rispetto al mostro verde iniziale (rappresentato dalla carta gialla, che non ha funzione di gioco ma solo esemplificativa) si sono sviluppati individui con il pelo, con le pinne, con le ali e più alti degli altri, oltre naturalmente a combinazioni delle diverse caratteristiche.



Naturalmente ogni mutazione porta con sé un vantaggio competitivo: i mostri pelosi sopravviveranno al ghiaccio, quelli alti alla siccità, perché come i boffi sapranno raggiungere le foglie sugli alberi, quelli con le ali potranno superare i fiumi di lava volando, mentre quelli con le pinne potranno nuotare in caso di diluvio.

Ognuno dei due giocatori inizia con una popolazione di otto mostri verdi presi a caso e tirando il dado affronterà le diverse catastrofi naturali (oppure, grazie alle caselle "evoluzione", potrà ampliare la propria popolazione, o scambiare un individuo con l'avversario con la casella "incrocio di specie").
A ogni catastrofe, il giocatore dovrà scartare tutti gli individui non adatti alla sopravvivenza, conservando gli altri.
A meno che non capiti nella casella "asteroide": allora no, non c'è scampo per nessuno.
Ad esempio, se il segnalino finisce su “diluvio”, il giocatore dovrà rimettere nel mazzo tutte le carte i cui individui non hanno le pinne.



In questo gioco lo scopo non è arrivare per primi al traguardo, ma arrivarci con una popolazione di mostri verdi più ampia possibile.
Il gioco finisce quando un giocatore ha finito tutte le carte (la sua specie si è estinta!) o quando entrambi i giocatori arrivano in fondo: in questo caso vince chi è arrivato con più carte.

E se, come diceva Einstein, "Dio non gioca a dadi", magari chissà, forse a Darwin i dadi piacevano di più.


"Mamma, ehi, pss!"
"Che c'è, Piccolo T? Ti avevo chiesto di lasciarmi dormire!"
"Ma infatti ti sto chiamando sottovoce!"
Inutile: far capire ai bambini l'importanza di una bella dormita è praticamente impossibile. E come in tutte le cose, dove non ci sono soluzioni, arriva l'ironia.


Buonanotte! (editrice Il Castoro), l'ho scoperto con due anni di ritardo (sia dalla sua uscita, sia dal dialogo sopra riportato), ma è stata una folgorazione.
Jory John e Benji Davies sono riusciti a dare vita a una storia esilarante, che non nomina nemmeno mamme, papà e bambini, ma in cui i genitori si riconosceranno facilmente. È la storia di Orso, stremato dal sonno, e della sua vicina di casa Anatra, che proprio non riesce a dormire.


La prima doppia pagina mostra subito la vivacità delle illustrazioni, con colori pieni e fondi piatti, e la loro espressività, ma anche un primo, forte contrasto tra due mondi: quello dell'anatra, giallo canarino, vitale e luminoso, e quello dell'orso, blu e tranquillo.
A un "Non sono mai stato così stanco" di Orso, Anatra ribatte a distanza col suo "Non sono mai stata così sveglia".


E qui iniziano il tormento (di Orso) e il divertimento (nostro), perché Anatra bussa violentemente alla porta del vicino, appena assopito, iniziando a proporgli ogni genere di attività per passare il tempo.
È un botta-e-risposta serrato, da leggere con la vociona grossa e addormentata di Orso e quella sottile, gracchiante e su di giri di Anatra. Incalzante lei, sonnacchioso lui (è d'obbligo qualche sbadiglio mentre si legge!): il contrasto, anche nella lettura, è di quelli che tengono il piccolo ascoltatore incollato al libro.


Ma è anche nelle pause, nelle pagine "mute", che le sensazioni quasi fisiche del sonno di Orso e della veglia di Anatra traspaiono dalla forza comica delle illustrazioni di Benji Davies.
Quale genitore non si è mai trovato addormentato mentre il suo piccolo lo fissava?


E poi c'è il finale, che non vi svelo, ma che non mancherà di aggiungere al libro stupore e risate.

Buonanotte! è così: irrestibile. E no: non insegnerà ai vostri bimbi a lasciarvi riposare un po' di più. Ma forse vi aiuterà ad affrontare il sonno arretrato con un po' di leggerezza in più.


È tornato "quel" periodo dell'anno, quello in cui i nostri figli ci surclassano ampiamente nella quantità di eventi mondani a cui sono invitati (la festa di fine asilo, quella di fine catechismo, quella di fine calcio), e tra le chat delle mamme serpeggia l'annosa questione: "Cosa regaliamo alle maestre?".


L'anno scorso per il Piccolo T era l'ultimo anno di asilo (ops! Scuola dell'infanzia. Ma non riesco a non chiamarlo "asilo", visto che è lo stesso che ho frequentato io *#§% anni fa), e quando è stato il momento di trovare l'idea non ho avuto dubbi: dato che la maestra aveva frequentato con me il corso per lettori volontari di Nati per Leggere, la scelta non poteva che ricadere su un libro.
Ma quale? È stata Federica di mammamogliedonna, con un suo articolo, a farmi scoprire L'uomo dei palloncini, di Giovanna Zoboli e Simone Rea (Topipittori), la storia poetica di un venditore ambulante di palloncini.


Cosa c'entrano i palloncini con una maestra? C'entrano, eccome se c'entrano, perché

L'uomo dei palloncini conosce ogni bambino di ogni paese o città.
È questa la sua specialità.
E per ognuno sa cosa è meglio.
Sa che per un certo bambino serve il palloncino a forma di astronave, per l'altro il delfino, o il cavallo.
E riempie questi palloncini di un'aria di cui è padrone, l'aria più leggera del mondo, che fa volare ogni cosa.
E quel palloncino cambia in qualche modo i bambini, che dopo averlo ricevuto camminano

come se ci fosse
un sentiero nuovo per i loro passi.


Non è forse questo che fa una brava insegnante?
Capire ogni bambino, senza seguire per tutti la stessa strada, ma adattandosi alle loro unicità e alle loro esigenze. Donare a ognuno ciò di cui ha bisogno, mettendoci dentro qualcosa di suo, la propria "aria speciale".
E grazie a quel dono, renderli capaci di trovare il proprio sentiero.

L'uomo dei palloncini non ha una vera e propria storia, è più il ritratto di questo personaggio, tratteggiato con delicatezza, poesia e un po' di mistero dalle parole di Giovanna Zoboli. Le illustrazioni di Simone Rea accompagnano il testo nel modo più efficace, con campi lunghi che lasciano la collettività protagonista: l'uomo dei palloncini non è importante in sé, ma per il suo ruolo nei paesi che attraversa.
E non a caso il suo intervento porta colore alle cose e alle persone, e le illustrazioni passano da una preponderanza di bianco e nero a una grande vivacità di tinte diverse tra loro.


Sì, era il messaggio giusto per la maestra che aveva accompagnato per tre anni il Piccolo T e i suoi compagni di classe. Andava però accompagnato dal giusto biglietto, con il giusto testo e con un ricordo di tutti i bambini.

Per questo ho ritagliato tanti palloncini di carta doppi, che si aprissero a libro, e ne ho consegnato uno a ogni genitore.


Ogni bambino ha poi attaccato una propria foto da un lato e scritto un breve messaggio dall'altro (il Piccolo T il suo messaggio l'ha messo nella foto, limitandosi poi a scrivere il nome sull'altro lato del palloncino).


Infine, ho incollato tutti i palloncini su un grande cartellone azzurro-cielo, scrivendo il messaggio su una nuvoletta bianca:

"Grazie per aver saputo dare a ognuno di noi
il giusto palloncino per volare lontano".

Sotto ogni palloncino ho aggiunto anche qualche centimetro di spago. Chiusi, i palloncini volavano colorati nel cielo.
Aperti (qualcuno a destra, qualcuno a sinistra, perché ogni palloncino fa un po' come vuole), avrebbero ricordato alla maestra il nome e il volto di tutti i suoi bambini.


Il libro? Lo abbiamo impacchettato così: usando due palloncini per indicare destinatario e mittente.


Perché quando un palloncino vola, non si può mai sapere dove va a finire.


I mostri vivono in tanti luoghi: nell'immaginazione, nel passato, nelle favole.
Alcuni abitano nelle camerette dei bambini, ma solo di notte, quando è ora di andare a dormire.


Deve essercene uno anche in camera di Dora, la protagonista di Dora e il mostro dell'armadio (Terre di mezzo editore), ed è per questo che lei e i suoi amici, Pinguino, Leone e Orso, non riescono a dormire.


E la sera, trovano ogni scusa per non andare a letto: una storia in più, il bagnetto da finire...


Il fatto è che dall'armadio provengono dei rumori forti e spaventosi. Che mostro ci sarà dentro?
Ma poi, sarà così terribile questo mostro?
E perché bussa così forte sulla porta dell'armadio?


Bryony Thomson riesce a unire il mondo concretissimo della casa e della nanna con lo spazio dell'immaginazione (che poi, in fondo, è quello che fa ogni giorno un bambino).
Gli amici di Dora, personificazione dei suoi pupazzi per la nanna, ricordano un po' i compagni di viaggio di Dorothy nel mago di Oz, e Dora stessa, con i suoi capelli fucsia, sembra a volte più bambola che bambina.
Come tanti bambini, Dora in questo mondo si rifugia, scaricando un po' le sue paure e le sue colpe sui suoi compagni di gioco (è il pinguino, non lei, a volere un'altra storia!).
Dora e il mostro dell'armadio trova con lo stesso meccanismo anche la soluzione alle paure: basta far entrare il mostro nello stesso mondo dell'immaginazione che Dora ama frequentare per far sembrare tutto molto meno spaventoso.
In fondo siamo noi a creare i mostri, ed è nostro dovere trattarli bene.

A volte, anche materializzare le proprie paure può renderle più semplici da gestire.
I mostri si possono costruire, e a quel punto non possono più spaventare.
Basta qualche calzino spaiato, un po' di colla, pannolenci, gomma crepla, lana, quello che trovate in giro per casa. Ah, e gli occhietti mobili, naturalmente.


Costruire un mostro può diventare un bel gioco da fare con i bambini: un cesto di materiali a centro tavola, e ognuno sceglie come fare il proprio: corna, occhi (uno, tre o quattro?), zanne, e tutto quello che la fantasia suggerisce.


Basta poi ritagliare una scatolina, e magari rivestirla con del nastro adesivo colorato, per fare un piccolo letto.


Perché se invitiamo un mostro a dormire nell'armadio, dovremo pure trovargli una sistemazione decente, no?

Un piccolo straccio ripiegato o un tovagliolo colorato faranno da materasso e coperte. E poi scegliete se metterlo a nanna su uno scaffale o dentro un cassetto (proprio lì, dove tenete anche un po' di sogni).


E la sera, non dimenticate mai di passare a salutarlo. Anche i mostri negli armadi dormono meglio, con un bacino della buonanotte.


 
Quando immaginiamo le cose che un bambino si trova a dover imparare per affrontare la vita, ci vengono in mente le prime parole, i primi passi, e poi i colori, i numeri e così via.
Ci dimentichiamo spesso che una delle cose più importanti – e più difficili – da imparare sono le emozioni.


Ai più piccoli sono dedicate tante proposte che aiutano a riconoscere le espressioni facciali o dare un nome a ciò che proviamo (ad esempio i libri con le facce per i primi mesi, o mini-storie come Faccia Buffa).
Io fuori io dentro, di Cosetta Zanotti e AntonGionata Ferrari fa un passo oltre, aiutando i bambini a distinguere tra quello che proviamo e quello che esprimiamo.


L'abo è composto da una coppia di doppie pagine per ogni emozione rappresentata.
Nelle prime due pagine viene descritta la situazione a parole e così come appare ("io fuori").


Altre due pagine sono dedicate alla rappresentazione del mondo interiore che corrisponde alla stessa situazione. Qui si entra in un mondo più onirico, fatto di elementi spesso irreali, metafore che si fanno disegno. Si può volare leggeri o finire letteralmente a pezzi.


Alle emozioni Io fuori io dentro non dà un nome, come è giusto che sia: siamo a un livello successivo al semplice riconoscimento o alla semplice verbalizzazione. Qui si vuole spiegare che ogni emozione è un mondo, è una storia, è un turbine che la maggior parte delle volte non si può semplificare e ridurre a una sola parola. Insomma: c'è una differenza di complessità infinita tra "felicità" e "un tuffo in discesa sulle montagne russe circondato dalle persone che amo  in un mondo tutto rosa".


E in fondo è un po' questo il processo di apprendimento in tutte le cose: iniziamo con i concetti semplici, poi li approfondiamo, e non è detto che saperli etichettare sia il grado più alto di conoscenza, tutt'altro.

Io fuori io dentro è un albo da "sentire" e non solo da leggere, e può rappresentare il punto di partenza per tante riflessioni e dialoghi su sentimenti, emozioni e sensazioni, e sulla loro espressione, anche non verbale.

Si può anche costruirne una versione personalizzata.
Per farla, basta stampare una foto a figura intera, collocandola magari su un A4, poco a sinistra della linea di mezzo.



Si piega a metà il foglio (alla destra della foto), poi ancora a metà (stavolta a sinistra), infine lo si ritaglia lasciando intatta la piega sulla sinistra della foto. In questo modo si otterrà una specie di "libretto" con la sagoma del bambino, pronto solo da rilegare (per farlo, bastano due fori e un po' di spago).


"Io fuori" è la foto del bambino.
"Io dentro" sono tutte le pagine pronte da scrivere e disegnare al suo interno.


(Qualcosa mi dice che il Piccolo T preferisce la scrittura al disegno. Tutto sua madre.)



Ci sono libri che si leggono, libri che si cantano, libri che si recitano.
E poi ci sono libri che si camminano.


Caterina e l'orso, a zonzo per il mondo, di Christiane Pieper (edizioni Kalandraka), si legge, ma non si può non camminare. Perché questo libro non racconta una storia, ma un percorso.


Il grosso orso
se ne andava a zonzo per il mondo
(e Caterina dietro...) 




Perché l'orso vagava per il mondo? Perché Caterina lo segue? Come si conoscono? Chi è l'orso? Chi è Caterina? Non ci è dato saperlo, e tutto sommato nemmeno ci interessa: parte dello spirito di questo libro sta proprio nella spensieratezza dei due protagonisti, che vanno a zonzo per il puro gusto di farlo.

Ogni pagina ci mostra una modalità diversa: Caterina e l'orso camminano in avanti, all'indietro, su una zampa, su due, rotolando e così via.
Lo fanno perché andando a zonzo si guardano attorno e mutano la loro andatura secondo le circostanze: quando vedono un granchio, un fenicottero, un vecchietto col bastone, lo imitano e camminano allo stesso modo. Quando tutto è buio e zitto stanno in silenzio, quando la sete nel deserto li porta allo stremo, strisciano.


E se è vero che il libro, così attento a un coinvolgimento "fisico" ma privo di una vera e propria trama, si rivolge ai più piccoli (già a partire da un anno e mezzo), va anche detto che trasmette anche un contenuto più profondo, un'idea di viaggio e di percorso in cui è necessario fare attenzione ai luoghi che si attraversano e ai popoli che si incontrano. Un tipo di viaggio che non è solo visita superficiale, ma che ti coinvolge e in qualche modo ti cambia.
Un primo approccio al vero significato di questa parola, per piccoli aspiranti globetrotter.



Il viaggio di Caterina e l'orso cambia anche il loro atteggiamento: a volte curioso, a volte spensierato e liberatorio, altre volte impegnato, perché saltellare su una zampa sola non è facile come sembra.


Caterina e l'orso, a zonzo per il mondo, dicevo, non è un libro che si legge e basta, ma un libro che si cammina (e si salta, e si rotola).
Impossibile affrontarlo semplicemente stando seduti, è perfetto per una lettura animata e di gruppo, con moltissime possibilità di interpretazione. Il lettore può invitare i bambini a imitare Caterina e Orso ripercorrendone i movimenti, oppure può imitarli lui stesso. Se lo spazio non lo consente, si può trasformare ogni movimento in un gesto, magari "rumoroso" (battere un piede, batterne due...) e creare una lettura "musicale". Il lettore può diventare l'orso e il bambino (o i bambini) Caterina, che gli va dietro imitandone i gesti.

E naturalmente si può giocare, creando un percorso da seguire e da completare ogni volta al passo giusto.
Se volete proporlo anche voi, potete usare il mio pdf stampabile oppure disegnare voi stessi i segnali, appoggiarli a terra e invitare i bimbi a seguirli. Lo spazio da un segnale all'altro va percorso secondo l'indicazione del segnale stesso.



  • Una/due/tre/quattro zampe: si avanza fino al prossimo segnale camminando su una/due/tre/quattro zampe.
  • "Inversione a U": di prosegue camminando all'indietro.
  • Freccia con cunette: si salta
  • Freccia che si avvita su se stessa: si rotola
  • Freccia ondeggiante: si striscia
  • Nota: si canta
  • Nota sbarrata: si fa silenzio.

I miei bimbi si sono divertiti a combinare tra loro le tessere ottenendo istruzioni come "A tre zampe saltando" o "strisciando e cantando".
(E poi c'è il Piccolo D, che ha inventato la carta "salire in groppa al fratello": da sempre la sua preferita.)


La fase che va suppergiù dall'anno e mezzo ai tre anni, quella dei "toddler", è caratterizzata in fatto di letture da una frase ricorrente: "Ancora!".
Se saprete proporre il libro giusto, adatto all'età, allo sviluppo cognitivo e ai gusti personali di vostro figlio, preparatevi a leggerlo e rileggerlo. E rileggerlo, e rileggerlo, e rileggerlo.


Nella selezione dei libri da proporre, diventa fondamentale, allora, che la scelta ricada su un titolo che piaccia al bimbo, sì, ma anche al genitore che glielo legge, e magari che "guidi" con la sua struttura verso una lettura partecipe, attiva, un po' interattiva (provate voi a leggere una poesia per quattrordici volte di seguito!), che permetta di superare la noia della ripetizione con quel pizzico di pepe in più.

Le mutande di Orso Bianco (edizioni Salani) risponde perfettamente a questi requisiti.
Sullo scaffale, spicca per il suo formato molto sviluppato in altezza e per... la sua bandella a forma di mutanda!

La storia, nata dal team creativo Tupera Tupera, è semplice e ricorsiva, adatta a un pubblico di piccoli, arricchita da sorprese, variazioni e momenti di ilarità. D'altra parte, impossibile non ridere quando il tema sono le mutande!



Dunque: Orso bianco non trova più le sue mutande, e un topolino lo aiuta a cercarle.
Pagina dopo pagina, gli fa vedere mutande di diversa foggia, colore e dimensione. Nessuna di queste, però, è la mutanda di Orso bianco.


In un meccanismo di "gira e scopri" e di fori nelle pagine, il bambino è coinvolto a ogni mutanda in un indovinello: attraverso una finestrella, la pagina fa vedere le mutande della pagina successiva, sfidando chi ascolta a indovinare di chi sono.

A chi apparterranno queste piccolissime mutande floreali? Dev'essere un animale piccolo, che ama particolarmente i fiori.
Girando pagina, scopriamo che si tratta di una simpatica farfalla.


Ci sono mutande a strisce, mutande con messaggi ambigui, mutande usate al contrario e infilate in testa.
Ogni volta un indovinello, ogni volta una risata, fino alla sorpresa finale: insomma, dove sono finite le mutande di orso bianco?

Oltre ad essere particolarmente coinvolgente e divertente, Le mutande di Orso Bianco aiuta a sviluppare la logica delle associazioni, del prima e del dopo e dei simboli attraverso un meccanismo di gioco.
Un gioco che può essere portato al di fuori delle pagine, preparando mutande di carta per i vari pupazzi di casa.


Basta ritagliare una semplice forma di carta da ripiegare poi sul pupazzo e fissare con un po' di nastro adesivo.
E poi, inventare il disegno perfetto per ogni mutanda e per ogni animale.


Le mutande del bruco potranno rappresentare la sua voglia di diventare farfalla, quelle dell'ape un alveare, la coccinella avrà mutande a pallini e la tartaruga? Un limite di velocità, naturalmente bassissimo.


Secondo l'età del bambino, il gioco potrà consistere semplicemente nell'abbinamento tra mutande e animaletti, oppure nella "caccia al padrone delle mutande", girando per casa. Ai più grandicelli potrà essere proposto di disegnare loro stessi la mutanda perfetta per ogni proprietario, immaginario o reale che sia (chissà che mutande disegneranno per mamma e papà!).


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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