Nuvole in scatola
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Lo avete mai visto il terribile mostro mangiacapelli?
Dicono sia una creatura leggendaria, ma - si sa - ogni leggenda ha sempre un fondo di verità, quindi fate molta attenzione, perché potrebbe nascondersi anche a casa vostra, e aggirarsi indisturbato divorando tutto quello che gli capita.



Ve lo descriverò bene, così e lo incontrerete potrete riconoscerlo immediatamente.

Come molti altri terribili mostri, il terribile mostro mangiacapelli nasce da un uovo. 

 


I suoi occhi sono rossi, con le pupille blu.


 

Ha capelli dai colori accecanti e orride sopracciglia pelose.

 

E dal naso rosso, escono delle strane appendici che lo tengono legato alle sue terribili fauci.

 

Fate molta, moltissima attenzione, perché il terribile mostro mangiacapelli,
quando è molto affamato, si trasforma in mostro mangiapancia, mostro mangiagambe e - oh oh! -
perfino in mostro mangiaculetto!

 

"C'era una volta"
"Un re!" – diranno subito i miei piccoli lettori.
Vabbe', stavolta ci siete andati vicini. C'era una volta un sultano.



Un sultano di una storia senza morale, senza evoluzione dei personaggi, senza un esempio per i bimbi. Una storia divertente, però, e questo basta e avanza. E a noi è piaciuta tantissimo.

Trattenere il respiro: no, l'argomento non sono i pannolini da cambiare.
Il vostro fiato servirà per  sfidare vostro figlio a una gara di soffiabirinto, il gioco perfetto per le giornate di pioggia.

Soprattutto perché per costruirlo bastano pochissime cose, tutte facilmente reperibili in casa.

Iniziamo?



Qui siamo nel pieno dei terrible two.
Il Piccolo T, affettuoso, coccolone e sorridente, di tanto in tanto si trasforma un un coso urlante che si irrita per ogni singola cosa che non va esattamente come dice lui.

Bisogna insegnare a "gestire le emozioni", dicono.
Dovrebbe provare a verbalizzarle, chiamarle per nome, insegnare loro a riconoscerle, dicono.

Facile dirlo, coi figli degli altri, dico io!

Vi ricordate il mio consiglio per tutte le mamme?
Datevi alla bottiglia!
In questo post avevo descritto le bottiglie sensoriali preferite dal Piccolo T,  giochi semplici per stimolare e coinvolgere (e forse, a volte, calmare) i bimbi più piccoli.

Ne mancava una, però: quella preferita dalla mamma! È stata la più impegnativa da creare, e anche quella che il Piccolo T si è filato di meno. Ma ve la racconto lo stesso, perché è quella che ha dato più soddisfazione a me.


Non è che io abbia propriamente un accento british.
Diciamo che l'inglese l'ho imparato, più che a scuola o viaggiando, con la visione integrale (10 stagioni, e per ben due volte) del cofanetto di Friends in lingua originale.
E visto che ogni volta mi dico "se solo l'avessi imparato prima e meglio", vorrei provare a rimediare ai miei errori almeno col Piccolo T. Quindi da noi, per quanto possibile, i cartoni si guardano in inglese e ogni tanto, in inglese, ci leggiamo anche qualche libro, seppur con la mia imbranatissima pronuncia "scolastica". Meglio di niente, no?


"Anch'io cucinare!"
Sì, amore, però attento qui, ecco: il coltello non si tocca! No, fermati, lì c'è il fuoco, è pericoloso. Alt, non toccare quello: scotta!
Avete mai notato che l'interesse di un figlio alle vostre attività è direttamente proporzionale al loro potenziale pericolo?

Col tempo ho insegnato al Piccolo T a stare in piedi sulla sedia mentre io cucino, reggendosi sullo schienale, senza toccare niente, e ad intervenire secondo la nota "regola Giucas Casella": solo quando te lo dico io!


Mettete via seghe a traforo, vernici speciali, ago, filo (no, ago e filo non ve li ho mai fatti tirare fuori, è impossibile: non li so usare nemmeno io!).

Questa volta vi propongo un'attività facile facile, a prova di mamme svogliate, stanchissime, prive di risorse (non so voi, ma io a questa categoria sento di appartenere spesso).

Gli ingredienti sono solo due: un bellissimo libro per bambini e il didò.


Cominciamo dal primo: è Piccolo blu e piccolo giallo di Leo Lionni, edito da Babalibri.
Un libro che non avrebbe bisogno di recensioni o presentazioni, ma già che ci siamo, ve ne parlo lo stesso.
È la storia di Piccolo Blu e Piccolo Giallo, due amici che giocano assieme e che a un certo punto si perdono. E quando si ritrovano sono talmente contenti che si abbracciano, ma si abbracciano così forte da diventare verdi.


La storia continua, perché poi né mamma e papà Blu né mamma e papà Giallo riconoscono i loro piccoli così conciati, e loro troveranno infine il modo di dividersi, ma non è questo il punto fondamentale del libro.
La magia sta invece nei disegni così semplici e nella fortissima componente simbolica.
Personaggi e ambienti sono solo macchie di colore, e il bambino deve trasformarli con l'aiuto della propria fantasia, ricreando quello che non c'è (le espressioni, i dettagli) e sviluppa così una capacità fondamentale per un piccolo lettore: quella di visualizzare una scena a partire da una descrizione.
È come imparare a leggere una storia prima di saper leggere.

E la vera magia è che un bambino ci riesce davvero!
Il Piccolo T ha adorato questo libro fin dalla prima lettura e non c'era dubbio che fosse in grado di capire che quel pallino blu e quel pallino giallo erano i personaggi, i protagonisti della storia.

Un po' più difficile, invece, spiegare a un duenne il perché del cambio di colore. Ed ecco l'attività facile facile che ho inventato per dimostrare

come piccolo blu e piccolo giallo diventano piccolo verde.


Un solo ingrediente: il didò. Potete comprarlo o farvelo da soli con la ricetta che vi ho dato qualche tempo fa.



Con il didò giallo e blu abbiamo ricreato le due famiglie  dei protagonisti, poi abbiamo fatto rimbalzare qua e là Piccolo Blu e Piccolo Giallo per farli giocare come nella storia del libro.

Infine, li abbiamo fatti abracciare forte, fortissimo, forse un po' oltre il limite di quello che normalmente si ritiene lecito in un abbraccio amichevole (insomma: li abbiamo manipolati fino a farne un'unica pallina di didò) ed ecco la magia: Piccolo Blu e Piccolo Giallo si sono trasformati in Piccolo Verde!


Il gioco è piaciuto tantissimo al Piccolo T, che come vedete qui a destra ha deciso di promuovere gli abbracci tra tutti i componenti delle due famiglie Blu e Giallo.
Risultato: abbiamo quasi esaurito il didò blu e quello giallo in casa, ma se per caso vi serve del didò verde, ne abbiamo a pacchi!





La mia vita è cambiata il giorno in cui ho scoperto l'esistenza della vernice magnetica e della vernice lavagna.
 Ok, forse sto esagerando, ma in quel momento la mia mente è vagata alla ricerca di tutte le cose della mia infanzia che sarebbero potute essere molto più divertenti, se avessi potuto trasformarle in lavagne magnetiche per scriverci e attaccarci tutto quello che volevo.

Sì, perché la vernice lavagna si può anche usare sopra la vernice magnetica per ottenere (ma va'?) una lavagna magnetica!

In quei giorni il Piccolo T voleva che gli cantassi a ripetizione La bella tartaruga di Bruno Lauzi, una delle mie canzoni preferite di quando ero piccola:


E da lì ho preso spunto: perché non trovare il modo di rappresentare quello che succede nella canzone, in modo da rendere più chiaro cosa sia "un bosco di carote"?

Nella mia testa risuonavano le parole "vernice lavagna vernice lavagna vernice lavagna", e in un ripostiglio avevo un pezzo rettagnolare di truciolato che non so bene da dove arrivasse. Ed è così che mi sono inventata

La lavagna delle storie.

L'elenco completo dei materiali non ve lo metto, perché ogni storia che si rispetti è fatta prima di tutto di fantasia, ma diciamo fondamentalmente vi serviranno:
  • una base di compensato, truciolato o cartoncino spesso
  • vernice magnetica
  • vernice lavagna
  • nastro adesivo magnetico
  • materiali leggeri (carta, spugna, cartoncino, feltro, ecc) per ambiente e personaggi.

Ed ecco come ho fatto: per prima cosa, ho steso tre mani incrociate di vernice magnetica e due di vernice lavagna. Quest'ultima, anziché nera, l'ho scelta blu, perché potesse sembrare un cielo o un mare.

 
Dopodiché, ho creato lo scenario ritagliando l'erba da una striscia di feltro. Ai bordi della striscia (lasciando libero quello superiore) ho attaccato un po' di nastro magnetico per fissare il prato alla lavagna.

Per le nuvole, ho attaccato del cotone su un cartoncino azzurro.

La tartaruga, invece, è nata da un "guscio" ritagliato nel compensato (col traforo manuale: ancora non avevo il mio ultimo regalo di Natale!) e dipinto di marrone, e un corpo ritagliato da una spugna da cucina. Ho poi decorato il muso con un occhietto mobile e il guscio con dei ritagli di carta.
Mi piaceva l'idea che si sentissero le consistenze diverse della tartaruga: la corazza dura e il corpo morbido.

Dietro nuvole e tartaruga ho poi incollato (aggiungendo un po' di colla: da solo non reggeva molto) il nastro adesivo magnetico. Infine ho infilato nel prato tante carotine di cartoncino colorato e ho disegnato il sole con il gesso giallo.


Ma questa lavagna non è fatta per raccontare una sola storia, ne deve contenere tantissime!
E allora ecco come, con una base di pluriball e tanti pesci ritagliati nella spugna, il prato della tartaruga si trasforma in un mare pieno di pesci.


E perché non usare del cotone per costruire un paesaggio innevato?
O creare una bella spiaggia incollando la farina gialla su una striscia di carta?












Prima di inventarsi nuove storie, però, meglio far capire bene alla tartaruga quanto sono buone quelle carotine (si deciderà a mangiarle anche il Piccolo T, in questo modo?).




   
Mio nonno faceva il falegname.
Ho passato parecchi pomeriggi nella sua bottega, a respirare il profumo della segatura e giocare alle costruzioni con la Vinavil e i ritagli di legno scartati dai suoi lavori.

Ma no, non è questo il motivo principale per cui lo scorso Natale, alla domanda "che regalo vuoi?", anziché sbizzarrirmi chiedendo vestiti, scarpe o cene fuori ho risposto "una sega da traforo".




No, la colpa è principalmente di Giulia di Briciole e Puntini, mia collega per qualche mese e abilissima crafty blogger, che mi ha cantato le lodi del Dremel Moto Saw. E così eccolo comparire sotto il mio albero di Natale, in attesa solo di un'idea per utilizzarlo.

E l'idea mi è arrivata presto, quando ho letto al Piccolo T Il Pinguino Verde di Valentina Muzzi (Sinnos Editore).

La storia è di quelle già raccontate mille volte, e che anche alla milleunesima riescono a commuovere.
Un pinguino sogna di vivere altrove, di poter diventare un re nel regno delle rane.
Lascia la sua terra e il suo vestito nero, sceglie un bel vestito verde brillante, e parte all'avventura.
Le rane lo accettano e giocano con lui, ma il pinguino, per quanto ci provi, non è capace di saltare come loro, così  capisce che non potrà mai essere una rana.
Torna tra i ghiacci e tra i suoi amici (o da "mamma e papà", come spiega ogni volta il Piccolo T, indicando i pinguini, quando gli leggo la storia). È diverso da loro, con quel vestito strano: "Un pinguino verde non si era mai visto. Ma chi se ne importa: quello era il suo posto".
Una storia in rima, semplice e universale, che il Piccolo T conosce già a memoria. Ci sono gli animali che piacciono ai bambini e il tema della ricerca della propria vera casa, che commuove i genitori.


Anche i disegni, che riprendono la tecnica del collage, sono originali e accattivanti. Se proprio ci devo trovare un difetto, ecco (e chi mi conosce confermerà che sì, se c'è un difetto io lo devo trovare), penso che le rime si sarebbero potute studiare meglio, perché tre pagine di seguito scritte tutte con i finali in "are" (brillare, giocare, saltare, provare, ancora provare, fare) tolgono un po' di musicalità e di stupore alla lettura.

Nonostante questo, resta uno dei libri preferiti del momento del Piccolo T, e uno di quelli che gli leggo più volentieri, forse perché un po' in quel pinguino, che non sa accontentarsi di quello che è, mi ci riconosco anch'io.
Ed è per questo che ho voluto inaugurare il mio Dremel MotoSaw realizzando

il pinguino nonsoloverde.

Prima di tutto: non spaventatevi. Se il progetto vi piace, ma non avete una sega a traforo, o un seghetto da traforo manuale e tanto olio di gomito, il cartoncino andrà benissimo.
Forse il pinguino non starà in piedi, ma potrete crearlo e vestirlo allo stesso modo.

Veniamo alle istruzioni.

1. Prima di tutto, dovete disegnare un pinguino. Non sapete come fare? Se vi piace il mio, ecco uno splendido pdf stampabile tutto per voi!


2. Riportate i bordi sul compensato (o sul cartoncino).

3. Ritagliate tutti i pezzi, compreso (in un pezzetto di compensato a parte) il becco.

4. Levigate i bordi, dipingete becco e zampe di arancione e incollateli. Dipingete anche gli occhietti neri al pinguino.
Per dare più stabilità alle zampe, le ho fissate al corpo con dei chiodini, aiutandomi con del nastro adesivo per tenere il pezzo al suo posto mentre martellavo.

Avete ottenuto così un bel pinguino nudo. E i vestiti? Semplicissimo.

5. Ritagliate la sagoma (la trovate sempre nel mio pdf stampabile) su un pezzo di feltro, di stoffa, di cartoncino resistente, di quellochevoletevoi.
Fate prima una prova con della carta, perché lo spessore del materiale con cui è fatto il pinguino potrebbe influire sulla forma e la posizione dei buchi per le ali.

6. Aggiungete due quadratini di velcro per chiudere l'abito e iniziate la sfilata!

 

Oltre al classico abito nero, di rigore per qualsiasi pinguino che si rispetti, e al vestito verde che tanto piaceva al pinguino del libro, ne abbiamo preparato uno arancione (un po' demodé, ma al Piccolo T piace tanto. Uomini!) e uno azzurro a cui, con la colla glitter, ho aggiunto bordino, bottoni e taschino.
Chissà che anche al Polo non ci sia qualche occasione mondana: meglio essere pronti.



 
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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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