Nuvole in scatola
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Noi grandi lo diamo per scontato, ma le storie presuppongono la coscienza che a un prima corrisponda un poi, che a una causa corrisponda una conseguenza: sono cognizioni che non sono innate, ma si sviluppano nei primi anni di vita. È quello che accade ad esempio quando un bambino fa cadere ripetutamente il cucchiaio dal seggiolone e riesce a constatare che sì: cade sempre, e sì: ogni volta la mamma fa un lungo sospiro (anche questo è un rapporto causa-effetto, no?).

È attorno ai 18 mesi che questa capacità si forma e si consolida, e i prodotti dedicati a questo target devono tenerne conto, proponendo strutture narrative che il bambino sia in grado di cogliere.

Heppu - Hippu

Hippu e Heppu sono due personaggi non nuovi ma inediti, nel senso che sono appena sbarcati in Italia, grazie a Lupoguido, ma la loro creazione risale agli anni Sessanta e Settanta, ad opera di Oili Tanninen, una tra le più apprezzate autrici finlandesi per bambini, ed è chiaro immediatamente che si rivolgono proprio a questa fascia d'età.

Lo si vede innanzitutto dalle caratteristiche dell'illustrazione: i contorni netti, le forme semplici, i colori pieni, valorizzati da una stampa di qualità. Sono immagini adatte a catturare lo sguardo dei più piccoli, che si approcciano ai libri e che imparano a scoprirne le qualità, non ultima la gradevole copertina ruvida e quadrata. E le narrazioni? Seguono anch'esse di pari passo.

Hippu

Quella di Hippu Ã¨ ciò che si può definire una protostoria: un susseguirsi di azioni prive di una vera e propria parabola narrativa, che rappresentano la forma minima del racconto. I protagonisti sono animali (Hippu è un topolino, Heppu un cane), ma compiono azioni umane, quotidiane e riconoscibili, descritte con frasi minime che anche i più piccoli sanno comprendere bene:

"Il cane si chiama Heppu"

e poi 

"Hippu va al mercato.
Hippu e Heppu mangiano"

Hippu

Bastano due colori a raccontare questa storia: il rosso e il nero (oltre al bianco della pagina). Sono i primi colori che un neonato riesce a distinguere bene, per cui non disdegnerei di sfogliare Hippu già dai primi mesi di vita, per accostarsi alle figure, alle forme, al suono delle frasi.

Pur mantenendo le caratteristiche di base del primo albo, Heppu e la casa fa un passo avanti, e lo fa in entrambi i codici: quello visivo e quello testuale.

Le forme restano semplici e pulite, ma al rosso e al nero si aggiungono ora azzurro e giallo, mentre la storia inizia ad avere un principio, uno sviluppo e una fine.

Heppu

Heppu ha una casa troppo piccola, con una ciotola troppo piccola. Incontra Briciola, un cane molto piccolo con una casa troppo grande per lui, e potete immaginare come la storia si concluda.


Heppu


Heppu e la casa introduce quindi anche concetti astratti come "grande" e "piccolo", l'idea di un problema e di una soluzione.

Insieme, i due libri accompagnano i più piccoli alla scoperta delle prime storie e dei loro meccanismi, con un codice visivo e testuale alla loro portata. Immaginate un bambino che inizia a costruire con i suoi grossi blocchi di legno, e solo col tempo arriverà ai Lego con i pezzi piccoli: in fondo anche alle storia bisogna dare forma pian piano.


 

Sono ancora in tempo per presentarvi un libro dallo squisito sapore invernale?

Credo di sì, e non solo perché non sappiamo mai quando arriva l'ultima neve dell'anno, ma anche perché una storia ben riuscita non ha stagioni.

Nino e Taddeo e i primi fiocchi di neve
Chi mi segue già conosce bene Nino e Taddeo, due personaggi straordinariamente sensibili e surreali che amo molto e ho già raccontato attraverso le recensioni dei primi tre volumi "stagionali":  Nino & Taddeo dipingono la primavera, Nino & Taddeo e la torta di lombrichi, Nino & Taddeo. Un'estate in tandem.

Per l'inverno, Terre di Mezzo editore ci porta una nuova raccolta di storie, scritte da Henri Meunier e illustrate con il tocco ironico e vagamente fumettistico di Benjamin Chaud.

Nino & Taddeo e i primi fiocchi di neve ci riporta in quel contesto fatto di natura, amicizia e quotidianità che abbiamo già imparato a conoscere e ad amare, e ancora una volta ci fa assaporare quell'amicizia unica tra due personaggi diversi ma uniti da un profondo affetto.
C'è il rischio, dopo tante storie, di soffrire un po' della monotonia del già visto, invece Nino & Taddeo e i primi fiocchi di neve inserisce un equilibrio nuovo nel rapporto tra i due protagonisti.

Nino e Taddeo e i primi fiocchi di neve

Se nelle puntate precedenti Topo Taddeo si dimostrava protettivo nei confronti di Nino la Talpa, e sopperiva ai problemi causati dalla sua scarsissima vista con qualche innocente bugia o intervenendo al suo posto, vediamo stavolta i ruoli in qualche modo rovesciarsi.

Nel primo dei racconti contenuti in questa raccolta, Nino la Talpa getta nel fuoco il libro di avventure che voleva farsi leggere, credendolo un ciocco di legno. Ma è lui stesso, stavolta, a trovare la soluzione, dimostrando la propria unicità. Se il libro è finito nel fuoco, si può leggere il ciocco di legno!
E solo Nino la Talpa, così poco abituato a vedere le cose e così avvezzo a immaginarle, può avere abbastanza immagini interiori da ricavare un romanzo da un ciocco di legno.


Nino e Taddeo e i primi fiocchi di neve


E anche quando, all'arrivo della prima neve, i due fanno a gara a chi riesce ad acchiappare con la bocca il primo fiocco, improvvisamente la vista non sembra più un senso così importante, perché i fiocchi cadono senza badare a chi li vede.

Nino ritrova insomma in questo capitolo una sua nuova singolarità, che fa del suo piccolo handicap un punto di forza: non sempre ciò che si vede è poi così importante.


     

Come si tiene viva la memoria di qualcosa che non si è vissuto?
Come si fa a spiegare l'inspiegabile?

La frattura enorme tra ciò che consideriamo normale e accettabile e ciò che avvenne durante l'Olocausto è anche uno dei limiti alla sua comunicazione: i racconti dei sopravvissuti ci appaiono talvolta così estremi e inaccettabili da sembrarci soltanto un brutto film distopico.

Ho l'impressione che questa frattura si allarghi, poi, col passare delle generazioni, mentre il tempo diventa un ulteriore elemento di distanza tra il presente e quel passato.

Il sole splende ancora

Credo che una delle chiavi per mantenere vivo il ricordo e il senso-privo-di-senso di quel tragico periodo sia cercare, nella tragedia, quella normalità che fa scattare l'immedesimazione, e questo vale, credo, specialmente per un pubblico di bambini e ragazzi.

Ci riesce efficacemente Michael Gruenbaum, che con il supporto dello scrittore ebreo americano Todd Hasak-Lowy ha raccontato la sua storia di bambino deportato al campo di Terezín nel romanzo Il sole splende ancora, che Lapis ha portato in Italia con la traduzione di Matteo Corradini (a sua volta autore di diversi titoli sull'Olocausto tra cui La repubblica delle farfalle, ambientato proprio a Terezín).

Il sole splende ancora

Nelle 358 pagine del romanzo (contando anche prefazioni e postfazioni, che è impossibile non leggere per il desiderio di capire meglio e di restare ancora un po' attaccati alle persone e alle loro storie) scopriamo così la storia di Misha, a partire dalla sua vita a Praga, quando ancora le leggi razziali erano una novità, un impiccio alla vita normale ma non ancora qualcosa da guardare con terrore.

Vediamo il suo essere bambino in quel giocare a superare i passanti su uno dei ponti di Praga e percepiamo la sua quotidianità in modo autentico e concreto. E così, la spirale che lo conduce al campo di deportazione di Terezín, dopo avergli fatto perdere tutto ciò che rappresentava la sua vita abituale, viene vissuta attraverso i fatti e le sue sensazioni, senza digressioni storiche o filosofiche.

La storia è raccontata nella concretezza dei giorni, con pochi accenni alle sorti della guerra.
Resta la curiosità di approfondire, a volte, di capire dove si colloca nei fatti storici una certa scena del libro, e in questo i capitoli, che non hanno titolo ma semplici date, aiutano molto, stimolando anche la ricerca personale.

Il romanzo sfiora soltanto l'orrore dei campi di sterminio, narrando il terrore con cui venivano vissuti i trasporti, con il treno che portava i deportati da Terezín ad Aushwitz e Birchenau, e infine nel descrivere coloro che da là sono tornati, nel loro aspetto che ben poco aveva di umano.
Ma l'esperienza di Misha resta lì, in quella terra di mezzo tra la libertà e lo sterminio che è il campo di Terezín.

Cosa trova Misha a Terezín? Un mondo sospeso, fuori dalle norme abituali, in cui le famiglie vengono divise e la vita si vive alla giornata, senza conoscere il destino o il perché delle cose, concentrati soprattutto a sopravvivere. Ma soprattutto trova i Nesharim.
Nella grande stanza dove viene mandato a dormire insieme ad altri ragazzi della sua età (Misha ha 8 anni all'inizio del libro), c'è Franta, un ragazzo più grande che li guida e li protegge. Franta ha capito che per sopravvivere nel campo è necessario non lasciarsi andare, osservare regole precise e un'igiene scrupolosa. Soprattutto, ha capito che solo lo spirito di gruppo può tenere alto il morale, e così cambia le sorti di quei ragazzi prima di tutto dando loro un nome in cui riconoscersi: i Nesharim (aquile in ebraico) e poi organizzando una squadra di calcio e altre attività per tenere unite le persone e impegnate le loro menti.

È in questo spirito di gruppo, credo, che un lettore contemporaneo può trovare quel filo che unisce il suo essere ragazzo oggi con l'esperienza di Misha: la forza della compagnia di amici, con tutte le sue dinamiche, è qualcosa che un bambino conosce bene, che fa parte della sua esperienza quotidiana.

Lo stesso elemento che ha salvato molti dei Nesharim, tra cui Michael Gruenbaum, che ci ha potuto raccontare la sua storia, è la chiave che può far immedesimare il lettore in quei fatti così lontani eppure vissuti da un ragazzo come lui.

Il sole splende ancora

Il libro si chiude con un album fotografico in cui vediamo Michael e altri protagonisti del romanzo, prima e dopo l'Olocausto. 
E ce n'è bisogno, dopo storie come questa, di guardare quei volti e saperli reali.


 
Vi capita mai di trovarvi di fronte a un'opera (un libro, un dipinto, una canzone), pensare che è straordinariamente moderna, e scoprire che in realtà la sua origine risale a molti anni fa?

Baruffe e facce buffe

È la sensazione che ho avuto di fronte a Baruffe e facce buffe. Un libro per chi non vuole andare a dormire, della coppia (a quanto mi risulta ancora inedita in Italia) William Cole e Tomi Ungerer, un albo del 1965 portato in Italia da Lupoguido.

Baruffe e facce buffe unisce due topoi della letteratura per l'infanzia: il primo, antichissimo, è il faticoso percorso verso la nanna, il secondo, molto di tendenza negli ultimi anni, sono le emozioni espresse e rappresentate come in un catalogo. Si tratta in genere di una forma di divulgazione leggera, di "educazione emotiva", che non amo particolarmente, perché sono convinta che i libri debbano far vivere ed esperire le emozioni, anziché spiegarle, banalizzandole e appiattendole inevitabilmente. In Baruffe e facce buffe, però, la prospettiva non è quella dell'alfabetizzazione ai sentimenti, ma quella del gioco e del coinvolgimento attivo tra figlia e papà.

Baruffe e facce buffe

Sofia è una bimba che non vuole mai lasciare i suoi giochi per andare a dormire.
Una sera, anziché contrastarla, papà accoglie il suo desiderio e la sfida al "gioco delle facce": pagina dopo pagina, chiede a Sofia di fare una faccia arrabbiata, poi felice, altezzosa e così via, fino alla "faccia da bacino" per andare a dormire.
 
Si direbbe che il furbo papà voglia dare sfogo a tutte le emozioni di Sofia rimaste inespresse durante il giorno, in un meccanismo catartico che la accompagnerà più facilmente al sonno, finalmente liberata e rilassata, ma questo lo capiscono solo gli adulti che leggono.


Baruffe e facce buffe

 Il testo in rima è tradotto con risultati a volte deliziosi e altre volte non del tutto convincenti da Alessandro Riccioni e rende la lettura ritmata e divertente.
A ogni "faccia" è dedicata una doppia pagina che si conclude con un "Adesso tocca a te!" che rende il libro interattivo coinvolgendo il lettore e invitandolo a giocare a sua volta con l'adulto che legge.
 
Baruffe e facce buffe è un bel libro gioco, che parla di sonno senza essere un libro sulla nanna e racconta le espressioni senza essere un libro sulle emozioni. Soprattutto, è un libro che riesce nel difficile intento di essere contemporaneamente dalla parte del genitore e dalla parte del bambino.


"È una questione di chimica" hanno cantato Rettore e Ditonellapiaga all'ultimo Sanremo.

E non credo intendessero portare un messaggio divulgativo, però, forse inconsapevolmente, avevano ragione: è tutto questione di chimica, perché tutta la materia è composta da una combinazione di elementi, e la falsa dicotomia tra "naturale" e "chimico" è tutta una questione di marketing o di convenzioni (e convinzioni).

Nano

Eppure è fondamentale capire di cosa siamo fatti noi e il mondo, conoscere le basi su cui si costruisce tutto, ed è fondamentale conoscerlo fin da bambini. A spiegarlo ci prova Nano. La spettacolare scienza del molto (molto) piccolo di Jess Wade, una proposta di Editoriale Scienza che racconta atomi e molecole in modo semplice e discorsivo, chiaro anche a un bambino di età prescolare.

Nano

Il tono di voce che accompagna il bambino lungo il suo percorso di scoperta ricorda un po' quello di Mini. Il mondo invisibile dei microbi, della stessa casa editrice: non una dissertazione in linguaggio tecnico ma quasi un racconto che prende spunto dalle esperienze quotidiane.

Il testo, arricchito dalle illustrazioni di Melissa Castrillòn, dai vivaci colori vintage e dalle texture pastello, invita il bambino a prendere coscienza dei materiali attorno a sé, a comprenderne le caratteristiche e a chiedersi da cosa siano composti.

Da qui, il percorso divulgativo porta agli atomi, ai legami, alle molecole e agli elementi.

Nano

L'attenzione rimbalza continuamente tra teorico e pratico, rimarcando il fatto che la struttura di cui si parla è quella che compone il mondo attorno a noi e noi stessi, fino ad arrivare alle nanoscienze e ai loro possibili sviluppi futuri.

Nano rappresenta una base da cui partire, l'alfabeto che permette di comprendere i fondamenti della materia: di cosa siamo fatti e perché questo è determinante.

 

Il microscopio ad acqua.

Capire che c'è qualcosa oltre quello che siamo in grado di vedere a occhio nudo può essere sorprendente, e a volte basta poco per rendere questa scoperta più concreta. Su suggerimento del divulgatore scientifico Gianluca Pistore, abbiamo provato a costruire un rudimentale ma semplicissimo microscopio-proiettore.

È sufficiente avere una penna laser e una penna normale.

Nano

Si "smonta" la penna tenendo solo l'involucro. Si raccoglie con la punta una goccia l'acqua, che farà contemporaneamente da lente e da oggetto da esaminare.

Nano

Dirigendo dentro l'involucro la luce della penna laser, si potrà proiettare su un muro bianco l'ingrandimento della goccia: l'acqua di rubinetto risulterà limpida, ma provate a raccogliere con la penna una goccia d'acqua sporca, ad esempio da una pozzanghera, o da una tazza da colazione sporca lasciata qualche ora nel lavello: l'infinitamente piccolo vivrà improvvisamente sul muro di casa vostra.


 

Le storie sono ciò che ci rende umani.

E quando la nostra essenza di esseri umani rischia di sfaldarsi, solo le storie ci possono ricostruire. Jella Lepman lo sapeva, e questo l'ha resa grande.

Tedesca di origine ebraica, fuggita dalla Germania durante le persecuzioni naziste, era una donna modernissima: giornalista, scrittrice, politicamente impegnata, fu richiamata dopo la guerra per aiutare la Germania a ricostruire un popolo spezzato dal conflitto e dalla vergogna di ciò che era accaduto.

Per costruire un futuro, Jella sapeva che avrebbe dovuto iniziare da due cose: le storie e i bambini, che il futuro lo hanno tutto davanti. E così, grazie al suo carisma e a un progetto convincente, riuscì ad allestire una mostra itinerante di libri per bambini provenienti da tutto il mondo, che sarebbero confluiti poi nella Internationale Jugendbibliothek, la Biblioteca internazionale dei giovani di Monaco di Baviera.

Jella Lepman

Oggi Lapis edizioni porta la sua storia ai bambini italiani, con l'albo La Signora dei libri, di Kathy Stinson con le illustrazioni di Marie Lafrance, in cui incontriamo Jella Lepman con gli occhi di due dei tanti bambini che ha incontrato e aiutato.

Annelise e Peter sono due fratelli di Monaco. Hanno perso il papà in guerra e vivono una condizione di povertà in una città che ha tutto da ricostruire. Vagano per le strade in cerca di qualcosa da mangiare e, quando vedono una lunga fila di persone, pensano che lì si distribuisca del cibo. Seguendo la gente, scoprono invece la mostra di albi illustrati allestita da Jella Lepman, "La Signora dei libri", appunto.

L'incontro con queste storie, e con la passione che aveva la Lepman nel raccontarle, eleva i due bambini dalla dimensione più contingente che stanno vivendo, regalando loro una prospettiva. Distoglie i loro pensieri dai problemi della fame e del lavoro di ricostruzione facendoli sognare.

Jella Lepman

Lo si vede nelle illustrazioni, che lasciano insinuare nella scena reale elementi fantastici.

E così, dopo aver tratteggiato soltanto strade e grigiore, le immagini iniziano a portarci strane creature che fanno capolino dagli scaffali, proboscidi di elefante, rami fioriti.

Jella Lepman

Con un gusto che ricorda un po', soprattutto nei volti, le illustrazioni di inizio secolo (scorso), quelle ad esempio del "Corrierino", La Signora dei libri ci porta più che una storia uno spaccato di vita. La parabola narrativa non è particolarmente forte e vi sono nel testo alcune sottolineature retoriche (come quando Anneliese sente gli adulti parlare e coglie la parola "speranza"). Ma quella di Jella Lepman resta comunque una bella storia, che vale la pena raccontare ai bambini: una storia che racconta di come anche i libri siano cibo per chi ho bisogno di energia per ricominciare.

Avevo conosciuto la figura di Jella Lepman con Un ponte di libri, l'autobiografia pubblicata da Sinnos pochi anni fa. Ecco: a chi vuole leggere La Signora dei libri ai bambini, consiglio prima di scoprire nei dettagli la storia di questa donna, della sua forza, della sua grande abilità di tessere legami e di costruire e ricostruire relazioni tra Paesi (particolarmente rilevante, per la sua attività, fu ad esempio l'amicizia con Eleanor Roosevelt).

Jella Lepman

È a Jella Lepman, che pensò ai libri come messaggeri di pace, che dobbiamo la nascita di una nuova concezione nella promozione della lettura (fu lei a fondare il progetto Ibby).

"Fateci cominciare dai bambini per rimettere pian piano in sesto questo mondo completamente sottosopra. Saranno i bambini ad indicare agli adulti la via da percorrere."

Non so voi, ma io credo che Jella avesse ragione.


 

C'è vita, nella natura, anche dove non la vediamo. C'è vita che dorme e vita che si risveglia.

Il giorno felice

Con un testo dal ritmo poetico e immagini fortemente suggestive, Il giorno felice di Ruth Krauss, illustrato da Marc Simont, ci svela questa vita, raccontandoci l'attesa della primavera.

L'albo, pubblicato nel 1949 appare ora per la prima volta in Italia, edito da Camelozampa con la musicale traduzione di Sara Saorin e con un'edizione di qualità, in cui spicca il giallo vivace della copertina ruvida, che fa da cornice a una "tana" bianca: un gioco di contrasti che troveremo anche all'interno.

Nella pagina imbiancata di neve compaiono le macchie scure delle tane: le vediamo come fossero scoperchiate.

I topi di campagna dormono,
gli orsi dormono,
le chioccioline dormono nei loro gusci

Parole e immagini fotografano il letargo di questi animali. Li vediamo in un paesaggio immobile e ci sembra quasi di disturbarli, di far prendere loro freddo, sollevando il velo di neve che le ricopre e guardando dentro le tane.


Il giorno felice

Le illustrazioni sono un gioco di pieni e di vuoti. Gli spaccati scuri delle tane "bucano" l'immagine, evidenziati dai forti contrasti del bianco e nero (che sarà rotto soltanto da un tocco di colore finale). 

Il giorno felice

Testo e immagini si succedono in un'anafora che segue tutti gli animali, sempre nello stesso ordine, nel loro risveglio.
I topi di campagna annusano,
gli orsi annusano,
le chioccioline annusano dai loro gusci.
Le stesse inquadrature, le stesse frasi si ripetono con la modifica di volta in volta di un piccolo dettaglio, che dà il senso di questo lento risveglio curioso verso la primavera.


Il giorno felice

Quello che all'inizio sembra un mondo immobile, si risveglia e si fa sempre più brulicante di vita: i nasi annusano, gli occhietti curiosi guardano.
Nella natura ancora immacolata, una moltitudine di animali si muove, dopo una lunga attesa, per osservare la meraviglia della primavera.

Il giorno felice Ã¨ un albo dal forte potere suggestivo. Racconta senza una trama, incanta e suscita sensazioni profonde, quasi tattili in chi guarda.

È una sinestesia del risveglio, un invito a lasciarsi trasportare dalle emozioni, e a osservare le cose più a fondo.


Cosa si aspetta un bambino quando un adulto gli legge un libro?

Molto probabilmente che la voce del lettore gli racconti qualcosa di molto simile a quello che vede nelle illustrazioni. Come scrivevo in un post di qualche tempo fa, il rapporto tra testo e immagini in un albo illustrato  per le fasce di età più piccole in genere è abbastanza lineare e scontato, con illustrazioni molto didascaliche rispetto alla storia.

Proporre un libro (verso i 3-4 anni) che mette in discussione questo stato di cose può avere un effetto inizialmente destabilizzante, provocare quell'attimo di perplessità che fa scattare qualcosa, per poi lasciare spazio all'ilarità, al fascino e a una nuova comprensione dei tanti meccanismi possibili della narrazione.

Può diventare un nuovo momento di scoperta delle potenzialità di un libro.

Guarda il gatto
 

Guarda il gatto. Tre storie su un cane, di David LaRochelle e Mike Wohnoutka, edito da Biancoenero edizioni, è fin dalla prima pagina un albo che rompe le regole classiche del libro.

Guarda il gatto.

recita il testo. Ma nella pagina accanto vediamo un simpatico e "fumettoso" cagnolino che protesta:

Non sono un gatto.
Sono un cane.

Guarda il gatto

 La voce narrante (il testo sulla pagina di sinistra) resta misteriosa: non sappiamo a chi appartiene, probabilmente al libro stesso. Per quasi tutta la narrazione mantiene un tono neutro e sembra indifferente al cane, ma il cane la sente eccome, e le risponde.

Guarda il gatto

La voce inizia a costruire una descrizione sempre più dettagliata del gatto, e il cane protesta sempre più vibratamente, finché, in uno spassoso colpo di scena finale, scopriremo che la voce non ha poi tutti i torti.

Come preannunciato dal titolo Guarda il gatto. Tre storie su un cane, a questa prima storia ne seguono altre due, nelle quali il meccanismo di interazione varia leggermente, in modo da mantenere vive la sorpresa e l'ilarità.

L'aspetto sorprendente di questo albo sta nel contrasto tra un linguaggio (sia iconico che lessicale) molto semplice e adatto anche a bambini piccoli e un meccanismo narrativo e metanarrativo insolito e raffinato.

Al piccolo lettore viene voglia di interagire con la voce narrante, correggerla, arrabbiarsi, fare il tifo per il cane. E ridendo a crepapelle scoprirà che sì: è anche così che può funzionare un libro.


La cosiddetta sospensione dell'incredulità, quel contratto implicito tra il testo narrativo e il suo fruitore che gli consente di mettere in pausa lo spirito critico ed entrare in un mondo dotato di leggi proprie, è una facoltà molto ben allenata nei bambini. Riescono ad accenderla e spegnerla molte volte in pochissimo tempo, un po' come fanno quando scoprono l'interruttore della luce, e sono perfino capaci di mantenere il pulsante a metà.

Ellen e il leone

L'avventura di leggere Ellen e il leone, piccolo capolavoro di Crockett Johnson, efficacemente tradotto da Sara Saorin per Camelozampa, trova la sua chiave proprio in quell'interruttore e nelle diverse posizioni che solo un bambino sa dargli.

Raffinato cantore dell'immaginazione infantile, dopo aver descritto con Harold e la matita viola e gli altri albi della serie la facoltà di creare mondi giocando, ora si sposta sul piano del gioco simbolico, del "facciamo che ero", del sentimento animista dei bambini che dona una coscienza agli oggetti e ai pupazzi.

Ellen sembra proprio "sorella" di Harold, nel tratto grafico inconfondibile di Johnson ma anche nella sua capacità di isolarsi in un mondo fantastico in cui nessun altro può entrare: per tutto il libro compaiono soltanto lei e il leone di pezza con cui gioca (con qualche breve incursione di altri pupazzi).

Per prima cosa, Ellen gli dà voce: lo racconta il primo dei dodici racconti di cui è composto il libro, "Conversazioni e canzoni". 

"Hai una voce profonda, così buffa!"
"Trovo che la mia voce assomigli incredibilmente alla tua" disse il leone.

e poi:

"Non possiamo cantare tutti e due assieme?" chiese Ellen.
Il leone ci pensò su.
"Non credo che potremmo", rispose. "Tu ci riesci?"

C'è sempre qualcosa che resta sul piano del non-detto, in cui si esprime la potenza narrativa di questa raccolta: l'autore non rivela mai esplicitamente che è Ellen a dare vita al leone di pezza con la propria immaginazione, ma lo insinua continuamente, e proprio questo gioco di inferenze diventa la cifra narrativa principale dei racconti.

Il sottinteso dà infatti all'opera una dimensione contemporaneamente umoristica e poetica: se da un lato sorridiamo notando gli indizi che ci suggeriscono che l'anima del leone sia Ellen stessa, dall'altro la labilità dei confini tra realtà e fantasia ci mantiene sospesi in un mondo fuori dal tempo e dalla logica, un microcosmo di sogno in cui riconosciamo l'essenza stessa del gioco.

E così il leone viaggia in Arabia sul trenino giocattolo di Ellen, diventa un paziente sotto le mani di Ellen-dottore, e con i suoi occhi di bottone controlla che dietro Ellen non ci siano le Cose che al buio le fanno paura.

Ellen e il leone

Gioco e realtà, ruoli veri e fittizi si intrecciano continuamente, e quell'interruttore tra reale e immaginario continua ad assumere tutte le posizioni possibili e anche qualcuna impossibile, mentre la bella prosa di Crockett Johnson ci porta ancora una volta in un mondo così fantastico da diventare autentico.


    

Lo conoscete il paradosso del lampione? Lo teorizzò il filosofo Abraham Kaplan e lo psicologo Paul Watzlawick contribuì alla sua fama.

È un fenomeno della mente umana esemplificato dalla storiella di un ubriaco che cerca le proprie chiavi sotto un lampione. Quando un poliziotto gli chiede dove le ha perse, lui indica un'altra zona, poco più in là.
"Ma allora perché le cerchi qui?" 
"Perché qui c'è luce".

Fuga in punta di piedi

Questa simpatica parabola dovrebbe rappresentare la tendenza umana a evitare la complessità cercando soluzioni semplici, anche se sbagliate. 

Leggere Fuga in punta di piedi di Daniela Palumbo e Francesca Carabelli, un graphic novel di Sinnos dedicato ai primi lettori, mi ha fatto pensare a questo paradosso, non tanto per la sua "morale", quanto per la metafora della ricerca che porta altrove, ma anche per una specifica scena, quella in cui la protagonista cerca la sua scarpa perduta in una chiesa, non perché pensa di trovarla lì, ma "perché nessuno andrebbe a cercare una scarpa in chiesa".

Fuga in punta di piedi

Se c'è una chiave in Fuga in punta di piedi, in effetti, è proprio il sovvertimento delle consuetudini, e anche un po' della logica. I protagonisti, Adele e Alfio, sono due abitudinari. Stanno per partire per il loro consueto mese in montagna, con una caterva di bagagli, quando lei si accorge di aver perso la sua scarpa preferita.

Fuga in punta di piedi

Il viaggio va a monte e si trasforma in un'avventura cittadina in cerca della scarpa (che pare essere fuggita di propria volontà), che prosegue con l'incontro con Aristide, il figlio della donna delle pulizie, che ad ogni agosto era solito stabilirsi, a loro insaputa, nella casa che Adele e Alfio lasciavano libera per le vacanze.

Adele e Alfio, curiosamente, non cacciano Aristide, ma si lasciano travolgere dal suo stile di vita: parteciperanno alle sue feste e conosceranno una serie di personaggi stravaganti, scoprendo un mondo diverso, fatto di improvvisazione e spontaneità. 

Tutto, in Fuga in punta di piedi, tende a fuggire dall'ordine e dalla noia, a partire dalla coppia improbabile formata dai due protagonisti, che hanno le sembianze di un uccello e un predatore (forse una volpe). Il testo di Daniela Palumbo, ricco di giochi di parole un po' nonsense, e le illustrazioni di Francesca Carabelli, con i suoi tratti vignettistici e l'insieme caotico di dettagli stravaganti, completano l'opera regalando alla storia dei tratti decisamente fuori dalle logiche consuete.

L'impressione è che, sottesa alla narrazione, vi sia una sorta di contrapposizione generazionale tra l'adulto, intrappolato nelle convenzioni che lui stesso ha costruito, e il giovane, ancora libero di esplorare, scoprire e stupirsi. 

L'intero albo, insomma, è una sorta di "paradosso del lampione" sovvertito: a volte, cercare una cosa nel posto sbagliato aiuta, se non a ritrovarla, perlomeno a scoprire qualcosa di nuovo.


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Eccomi

Copywriter e anche un po' account, co-autrice di fumetti, dilettante (ma appassionata) del fai da te, navigatrice compulsiva, divoratrice di libri e di serie TV. Divido la casa con un marito, tre figli e parecchi gatti di polvere.

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