La morte, la mancanza, la presenza.

Tra i tanti "perché" a cui un genitore deve rispondere nella vita, ce ne sono alcuni più difficili di altri, a volte semplicemente a causa della complessità dell'argomento, spesso perché certe domande portano con sé un carico emotivo molto pesante da gestire.

La morte è sicuramente una di queste.
Ricordo che a un incontro Nati per Leggere per genitori una psicologa ci disse che è meglio anticipare certi temi ai bambini, in modo da lasciare che li elaborino e familiarizzino con essi prima di trovarcisi di fronte.
In soldoni: meglio non correre ai ripari comprando un libro sulla morte quando il nonno è malato e sta per andarsene, ma presentarglielo in un momento emotivamente più neutro.


Tra tutti i libri sul tema rivolti ai bambini, quello che preferisco, per la sua delicatezza e per il suo messaggio positivo, è L'ultimo canto.
L'autore Pablo Albo inizia tratteggiando un minuscolo paesino: una strada, cinque case, pochi abitanti, ognuno con una caratteristica peculiare. Il dipinto morbido dai toni scuri di Miguel Ángel Díez infonde una sensazione di pacata serenità, come di un villaggio fuori dal tempo, o forse fermato a un'antichità che non esiste più.


E come nei paesi di un tempo, infatti, ci si sveglia al canto del gallo.
Ma questo non è un gallo qualunque: quello di Filiberto e Sacramento è il primo gallo tenore al mondo, e ogni mattina sale sulla cima del campanile e sveglia il paese intonando "O sole mio".


Un giorno, però, il gallo non si sveglia più. L'albo non usa mai la parola "morte":

Una notte chiuse gli occhi per dormire 
e la mattina dopo si scordò come si faceva per aprirli,
o forse decise di continuare a dormire per sempre... chi lo sa?

Come la vita nel paese, anche la sua fine è delicata e serena: il gallo, dal viso antropomorfo e con i capelli ormai bianchi, sorride nell'ultima scena in cui lo vediamo vivo, e la gente del paese ricorda di aver notato come ultimamente fosse molto stanco.

Meravigliosa l'immagine del corteo che accompagna il gallo verso la sua sepoltura: tutto il paese lo amava.


Resta però il problema di svegliare gli abitanti, d'ora in poi.
Viene indetta una selezione e ogni giorno qualcuno prova a salire sul campanile a dare la sveglia, ma grillo e formica hanno una voce troppo flebile, il signor Giacomo è troppo stonato e così nessuno sembra degno di sostituire il gallo.


Finché, la domenica successiva, un giovane gallo sale sul campanile, timido ed emozionato, e intona il suo "O sole mio": è il figlio del gallo di Filiberto e Sacramento, di cui fino a questo momento ignoravamo l'esistenza, e da lui ha ereditato il talento canoro.

Quello che amo di L'ultimo canto è proprio questa prospettiva: la morte è vista attraverso l'eredità immateriale lasciata a chi resta. Il gallo vive nel ricordo di chi resta e negli insegnamenti lasciati al figlio. La morte è una mancanza, ma anche una presenza.
Non è la fine, perché se lasci un segno nel mondo, in quel segno continui a vivere.


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